Per un centesimo di debito la sanzione sale a 313 euro
di Saverio Fossati
Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2011 alle ore 08:23 su "SOLE 24h"
L'avviso di Equitalia (che esiste davvero ed è stato notificato di recente a uno sconcertato contribuente per un debito Irpef di 1 centesimo) reca infatti l'importo di 268,83 euro come «compenso di riscossione coattiva». Ma per fortuna Equitalia non ha i problemi informatici che affliggono le Poste e, dato che il fisco ci vede benissimo, ecco che si sono aggiunti e i compensi di riscossione per altre tre imposte. Più, come è giusto, notifica e spese di fermo amministrativo. Ad arrivare a 313,59 euro è un attimo. E giustizia è fatta.
L'importo non si riferisce al centesimo di debito residuo, dicono da Equitalia. Si tratta di spese e compensi di riscossione relativi al debito originario del contribuente ben più consistente (oltre 6mila euro). Tale debito, però, era stato in gran parte annullato (con sgravio) dall'ente creditore (l'agenzia delle Entrate) e per la quota restante il contribuente aveva correttamente versato il dovuto allo sportello.
Ma qui è scattato il fattore umano: «Quest'ultima operazione ha determinato per nostro errore un residuo di un centesimo - spiegano a Equitalia - e nel sollecito purtroppo è rimasta la cifra originaria dei compensi. È evidente che un errore di questo genere, per una società che invia milioni di documenti all'anno, non può essere considerato la regola ma rappresenta pur sempre un'eccezione. Ci scusiamo con il contribuente per il disguido e per i disagi arrecati rassicurandolo di aver provveduto a regolarizzare la situazione». La situazione, quindi, si risolverà. Un banale errore, come spesso accade, è all'origine di queste vicende che però, se trascurate dal contribuente, finiscono con l'assumere le dimensioni kafkiane delle ganasce fiscali. Infatti, anche in questo caso, la Renault Mégane del contribuente era già sotto tiro, come minacciava l'avviso di Equitalia.
«Cogliamo comunque l'occasione - dicono a Equitalia - per invitare i cittadini che dovessero riscontrare anomalie negli avvisi e nelle cartelle di Equitalia di utilizzare i nostri punti di contatto (sportelli, call center, sito internet, eccetera) per ricevere le informazioni e l'assistenza dovuta».
Forse è il caso di ricordare che non sempre i rapporti con gli sportelli, per risolvere errori o chiarire situazioni come queste, si rivelano proficui e umanamente soddisfacenti. E che rivolgersi a un giornale può essere più efficace di un ricorso per far cessare comportamenti vessatori o indifferenti alle sorti dei contribuenti. Agenzia delle Entrate ed Equitalia hanno sempre collaborato attivamente per eliminare le distorsioni segnalate. Ma la vita non sarebbe migliore se i problemi si risolvessero a monte?
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E' inutile parlare di democrazia quando il cittadino sperimenta ogni giorno che il rapporto con l'apparato statale non è egualitario ma è a senso unico: l'apparato PUO' imporre, esigere, sanzionare, mentre il cittadino NON PUO' richiedere quanto pagato in più allo Stato con la stessa esigibilità, gli stessi tempi, gli stessi diritti dell'apparato statale.
Nel nostro Paese è una realtà indubitabile perché dimostrata da migliaia e migliaia di episodi che la gente vive quotidianamente sulla propria pelle, sperimentando che i diritti sono chiacchiere dette, forse scritte, ma che nella pratica non si ottengono ed allora, sfiniti da una lotta impari, i cittadini rinunciano ai propri diritti, dando per scontato che nei fatti non li ottengono mai e lasciano, VINTI per stanchezza, che lo Stato si tenga i loro soldi pagati in più, perché per ottenerli indietro debbono spendere più del credito vantato.
L'articolo sopra riportato dà ragione dell'irrazionalità dell'Apparato Statale che, a volte, si ravvede e chiede scusa al contribuente, ma difficilmente lo fa se non viene spubblicato nella sua follia vessatoria.
Quale democrazia ha bisogno che si renda pubblico l'errore per avere il rimedio? UNA NON DEMOCRAZIA come la nostra in Italia.
Ho già trattato questo argomento in un post dei mesi precedenti ed oggi ci torno stimolata da questo articolo del "SOLE 24h".
Posso testimoniare di aver pagato l'ICI della casa in cui vivo, quando ancora si pagava sulla casa di residenza, più del dovuto perché il Comune abbassò l'aliquota in corso di anno e, non sapendolo, pagai il saldo ICI ad un'aliquota maggiore, quella che avevo pagato conteggiando l'anticipo. Erano Lit. 45.000. Nessuno mi scrisse informandomi che avevo pagato di più e restituendomi la cifra. Siamo in Italia, mentre in altri Paesi Europei questo sarebbe avvenuto, in quanto, veramente democratici, esigono quel che manca ma restituiscono quello che si paga in più. Qualora avessi pagato la stessa cifra in meno, rispetto al dovuto, sarebbe arrivata una cartella con una cospicua mora, esigibile ad una rigida scadenza.
Dunque cosa vuol dire: "Lo Stato siamo noi cittadini?" E' una frase priva di senso nella realtà concreta del cittadino italiano, il quale è nei fatti un suddito di uno Stato che, nel suo agire, ricorda alcuni Stati in cui era divisa l'Italia prima dell'Unione.
Ho rinunciato a chiedere il rimborso di quell'ICI perché, l'esperienza narrata nel post, precedente a questo, su questo argomento, mi ha dissuaso dal farlo: spesi dei soldi in quantità maggiore al rimborso che ottenni, nel tentativo di riavere indietro l'importo di un bollo auto pagato due volte da due componenti diversi della mia famiglia.
Vedete bene, dunque, che la strada del passaggio di denaro è a senso unico: cittadino --- Apparato Statale, difficilmente viceversa.
Cosa vogliono dire leggi come la 241/1990 e "successive modificazioni"?
Un Comune, che doveva pagare la prebenda (per altro minima) di assessore al bilancio a mio marito, non rispose neppure invocando tale legge. Mi rivolsi al Settore del Ministero della Funzione Pubblica che si occupava dei Rapporti con la Pubblica Amministrazione. Trovai accoglienza: un efficiente Dott. Fiorini (cito a memoria) mi spiegò che in tale legge non era stato previsto il "meccanismo sanzionatorio". Spero che sia stato previsto nelle "successive modificazioni", ma comunque la musica non cambia alla luce di una mia esperienza ancora in corso di risoluzione.
Allora, quando il gentilissimo funzionario della Funzione Pubblica del Dipartimento dei Rapporti con la Pubblica Amministrazione scrisse al Comune inadempiente, la legge era di fresca istituzione. Il Comune non rispose nemmeno di fronte alla carta intestata del Ministero. La mia ostinazione si spinse fino a mandare il tutto ad una Procura della Repubblica, chiedendo se si potesse ravvisare nell'agire del Comune il reato di "omissione di atti d'ufficio". Il solerte magistrato non ascoltò mai la parte denunciante ma convocò l'ex-sindaco ed alcuni elementi del personale amministrativo (quindi la parte inadempiente alla legge 241/1990) e l'ex-assessore ricevette, a dieci giorni dalla scadenza della possibilità di presentare ricorso, la richiesta di archiviazione firmata dal magistrato perché, vi si leggeva, il Comune aveva invocato "IL SILENZIO RIFIUTO".
Dopo aver cercato di capire, con la semplice logica, come si potesse conciliare il diritto al SILENZIO RIFIUTO con la Legge 241/1990, che impone di rispondere all'istanza presentata, con regolare raccomandata con ricevuta di ritorno, entro 90 gg. salvo Regolamento che, comunque, non può superare i limiti imposti dalla legge stessa, e non essendo in grado di spiegarlo, la scrivente si rivolse ad un Ricercatore Universitario della Cattedra di Diritto Amministrativo. Costui, pur lavorando nel medesimo Ateneo, non mi conosceva ma, gentilmente, prese il documento firmato dal magistrato e lesse. Stava in piedi, mi aspettavo che mi rispondesse frettolosamente e mi congedasse, avendo molto da fare. Invece lo vidi leggere, vidi la sorpresa sul suo viso, rilesse.... Poi mi disse: "Scusi, signora, può sedersi un momento...?" Mi sedetti. Il Ricercatore rilesse ed era evidente che non capiva neppure lui quello che il magistrato aveva scritto. Cercò poi di darsi-darmi una spiegazione, ma era perplesso e capii che, pur mantenendo una facciata professionale, anch'egli aveva notato la dissonanza.
Ovviamente non mi opposi all'archiviazione. Perché spendere altri soldi oltre alle due raccomandate fatte? Questo Stato educa bene i cittadini ad essere sudditi: avete presente il meraviglioso film con Massimo Troisi e Roberto Benigni "Non ci resta che piangere?", la mitica scena del passaggio di un improbabile confine... avanti... un fiorino... indietro... un fiorino... di nuovo avanti ... un fiorino... e così via.... Siamo rimasti lì! Altro che democrazia!
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