lunedì 19 dicembre 2011

Ancora un anticipo su novelle in fieri

Prefazione alla Raccolta di Novelle
“Le Verità Nascoste”

Le verità nascoste sono quelle, anche palesi, che non possiamo dire apertamente per motivi di opportunità, per non offendere o creare conflitti e, peggio, contenziosi legali.

Sono verità: sono lì sotto gli occhi di tutti, sono fatti, ma si negano, si fa finta di non vederle e se ne parla solo nascostamente. 

Per questo le novelle di questa raccolta hanno un taglio particolare: sono dialoghi, conversazioni segrete, oppure ascoltate per caso, o rubate. Sempre in esse si rivela la cattiveria umana, l’ipocrisia, la falsità, la menzogna. Quest’ultima, proprio perché è l’esatto contrario della verità, viene riportata svelandola attraverso i dialoghi e lo svelarla è la rivelazione di una maldicenza o, peggio, di una calunnia e la verità sta proprio nel meccanismo di portarla alla luce attraverso le parole dei protagonisti.

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Prima di anticipare questa quarta novella, che pubblicherò nella raccolta dal titolo, più o meno provvisorio, “Le Verità Nascoste”, voglio farvi partecipi del mio modo di scrivere che, per la mia esperienza di lettore, è comune a molti scrittori. Dei più grandi si conoscono pagine manoscritte con cancellature, ripensamenti, correzioni, varie stesure... Alcune opere, pubblicate, vengono sottoposte a volte al ripensamento dello scrittore, che ne cambia alcuni aspetti prima di una successiva pubblicazione.
Dunque in questo lavoro in formazione mi sono venuti dubbi e autocritiche, come accade a chiunque voglia creare ed esprimere qualcosa. In questo caso io volevo esprimere una satira, una sottolineatura di alcuni comportamenti umani, che mi è capitato di incontrare, che appaiono fasulli, grotteschi e, nel metterli nel racconto, volevo evidenziarne i difetti per dare un messaggio di ritorno ad un contegno più naturale, semplice e vero. Nel farlo però mi è venuto il dubbio di scrivere usando un linguaggio troppo vicino al parlato, con termini anche pesanti, se non proprio scurrili. Poi ho criticato gli argomenti: forse erano troppo miseri e banali...
Mi è venuta in aiuto, però, la constatazione che anche i Grandi della Letteratura hanno scelto a volte di occuparsi di racconti umoristici, con storielline in cui mettevano in risalto le umane miserie nel loro lato ridicolo. Uno di questi è Cechov, un altro è Fëdor Dostoevskij. Scoprire i loro racconti mi ha confortato nella scelta fatta e, nel lavorare sui miei ho pensato di riunirli in aree tematiche all'interno della raccolta stessa. Ad esempio: "Vicini", argomento che crea conflitti anche legali, disturbi insopportabili, in cui ciascuno può ritrovarsi. Altra area tematica può essere "Parenti serpenti", titolo dato anche ad un film italiano di contenuto più satirico che comico, per la punta di amaro sarcasmo con cui vi è descritto il cinismo e l'egoismo di certi rapporti parentali.
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Stranita umanità


La donna dalla voce di gatta sfiatata appena lo vide lo agganciò e dopo poco già si davano del tu come fossero vecchi amici. Invece non sapevano assolutamente nulla l’uno dell’altra.
Maria giocava con il suo nipotino in giardino: lui, cinque anni, voleva che lei facesse canestro per lui. Ma lei non ci riusciva. Non era mai stata un tipo sportivo e non riusciva ad infilare la palla in quel canestro che qualcuno dei suoi figli aveva inchiodato in alto, sul tronco di un superbo pino.
“Dai, dai!” Incitava il bambino.
“Non ci riesco Enrico – rise la nonna – è troppo alto per te ma anche per me!”
Allora ci riprovò lui, ma la palla ricadde dopo essere passata sotto il canestro. 
“E dai nonna, fallo tu!”
Lei rise divertita da quel gioco: “Vuoi che io lo faccia per te, sono il tuo alter ego!” Non faceva niente se il bimbo non conosceva quell’espressione, Maria pensava che parlando con ricchezza di vocaboli  i piccoli imparavano più parole e concetti.
Dietro la siepe c’era il nuovo vicino con qualcuno, forse il fratello che, sentendo quelle voci chiese: “Chi è? La signora?”
“Sì”
“E com’è?
“Scema.”
Maria sentì perché quel “Scema” era stato detto con voce alta e sicura.
Se si potesse disegnare il pensiero come nei fumetti, sopra la testa della donna sarebbe comparso un punto interrogativo.
“Sarà per l’alter ego?” Si chiese. Ma le sembrava esagerato, ed un giudizio così sicuro sulla sua intelligenza le sembrava affrettato data la loro scarsa conoscenza che, per il momento, si era limitata ad un saluto.
Pensò ad una malevola presentazione da parte della precedente proprietaria che era stata, fra l’altro, sua amica. Un’amicizia mediata da una ospite fissa di quella donna, una sua amica dai tempi del liceo, di ben altra fatta, che ancora la gratificava della sua stima ed amicizia. La precedente proprietaria a Maria non piaceva perché, pur avendo avuto un bimbo non riconosciuto dal padre, aveva continuato, come prima di averlo, a far entrare ed uscire uomini dalla sua vita e, con molta superficialità, aveva detto che teneva il conto ed ormai era  arrivata a settanta e passa, quasi ottanta: sotto gli occhi smarriti di quel povero bambino che vedeva sempre facce nuove chiudersi in camera con sua madre. L’amica ospite era diversa e tramite lei Maria aveva accettato anche quella insulsa sciagurata. Finché, avendo fissa dimora altrove, non aveva cominciato ad affittare la casa, e sempre a gente losca. Uno di questi, appresero dal maresciallo che comandava la locale stazione dei carabinieri, era un piccolo truffatorello, con precedenti penali di gioventù, quando abitava a Torpignattara, di furto di autoradio: pare fosse la sua specialità. Ora temevano che avesse fatto il salto di qualità nel campo degli stupefacenti. D’accordo con il suo equivoco inquilino la scomoda vicina ed amica denunciò ai vigili lo spostamento, peraltro preannunciatole, di un box che il marito di Maria stava effettuando da un lato ad un altro del giardino. Dovettero smontarlo. Al telefono la sciagurata si faceva negare a Maria, che voleva chiederle spiegazioni di quel comportamento insensato ed ostile. La scomoda amicizia finì e l’amica comune che aveva fatto da legante tentò di giustificarla dicendo: “E’ impazzita. Lei è fatta così, ogni tanto impazzisce.”
“Figuriamoci se una così può dare della scema a me!! “ Pensò la donna, addebitando il lapidario giudizio del nuovo vicino alla ex proprietaria .
Ma si  sbagliava Maria, e lo capì quando il giorno dopo sentì la voce da gatta sfiatata di Milva che chiamava per nome il nuovo vicino, come se lo conoscesse da una vita: “Francooooo! Sono andata per te per il gas….” Non sentì altro, ma le bastò. Capì da chi veniva quel giudizio insultante perché conosceva le stranezze e l’ostilità di quella donna nevrotica, abbandonata dal marito ormai stufo della sua nevrosi, che provava astio verso di lei che aveva dimostrato di saper vivere serenamente e semplicemente. Milva voleva darsi arie, si atteggiava a persona importante, anche se non era buona a nulla, e si riteneva più su di Maria. 
Poi vide che la modesta Maria lavorava, aveva una bella famiglia unita e, senza spendere tanti soldi, sapeva anche essere sempre a posto, sempre sobriamente elegante. Quando il marito non tornò più a casa la sua frustrazione, di fronte alla vicina che voleva ritenere inferiore a lei, scoppiò. Quando la incrociava non la salutava e diceva a tutti che era scema e matta. Intanto continuava ad imbottirsi di psicofarmaci.
“Ma questo Franco deve essere un cretino patentato, - pensava la semplice Maria – per sposare un giudizio altrui al punto tale da farlo proprio, senza conoscere la persona che etichetta in questo modo. Io i miei giudizi sugli altri me li formo con l’esperienza. Come si fa a spingersi a spararli così, con sicurezza, quando non sa nemmeno chi è Milva: una povera nevrotica che vive di ansiolitici e sonniferi!” 
Il cretino in questione aveva detto di essere un ispettore di una polizia specializzata nei problemi di immigrazione. Cominciò subito a darsi grandi arie girando per il suo giardino urlando telefonate importanti sul suo cellulare, o almeno lui le riteneva tali da essere di curiosità ed interesse per i vicini. Aveva dato il suo biglietto da visita con lo stemma della Polizia di Stato a Maria, girava in camicia in modo che si vedesse l’imbracatura con la pistola. Tutte cose che rafforzarono l’idea in Maria e la sua famiglia che fosse proprio un cretino.
Un giorno le parlò con aria importante di Milva chiamandola: “La signora della famiglia Beccaccini.”
“Forse intende la famiglia Fiorentini…” Lo corresse con ironica pietà, che lui non notò, Maria. 
“Non lo so, io la conosco come Beccaccini…”
“E’ il suo cognome da ragazza, ma se lei parla della famiglia, allora deve dire Fiorentini, così si chiama il marito e così si chiamano i figli.” 
“Questo stupido non sa nemmeno come si chiamano perché la nevrotica, visto che il marito se ne è andato da poco, gli avrà detto il suo nome da ragazza: prima però si pavoneggiava chiamandosi in terza persona “la signora Fiorentini”, come se suo marito fosse Frà Cavolo da Velletri e non soltanto un Dirigente mazzettaro, come ha confessato lui stesso, durante una cena, ai loro vicini e “amici”, i Sigg.ri Bruni, i quali  si sono subito premurati di ridircelo appena ci hanno conosciuti. Però questo cretino nuovo nuovo beve e fa suoi i giudizi di Milva, di cui, come sta dimostrando, non sa nulla …” Pensava la donna mentre lo guardava.


Uscendo Maria incrociò il poliziotto che indossava un’imbracatura da rocciatore e stava parlando con suo marito fuori dai cancelli delle rispettive abitazioni. Ne dedusse che la usava per arrampicarsi sugli alberi per potarli e gettò un’occhiata all’interno del suo giardino dove, in effetti, giacevano alcuni rami di pino in terra; vide anche una donna bionda ed un bambino altrettanto biondo e, per essere gentile e far vedere che si interessava a lui, nonostante il non lusinghiero giudizio sulla sua intelligenza, chiese: “E’ il suo bambino? Quanti anni ha?”
“Sì è mio figlio: Giacinta gli vuole bene come fosse suo. Io sono divorziato.”
Da questo fu chiaro che la donna, anche se aveva in comune con il bimbo il colore dei capelli, non era sua madre.


Il bimbo poi sparì ed anche la donna, anche se lei veniva ogni tanto. 
“Mio figlio vive in Colombia con la madre che è di lì.” Disse Franco un’altra volta.


Poi la bionda Giacinta venne a vivere lì. 


Uscendo un giorno Maria sentì la voce del vicino che parlava con tono altissimo al telefono, tanto da sentirsi fuori dal cancello. Si voltò e vide che teneva la finestra spalancata, girava a torso nudo con un telefono fisso in mano, trascinando un lungo filo e parlando diceva: “Ma non è vero che non mi facevo trovare, non è così….”
Maria infilò l’automobile e se ne andò prima possibile. Non voleva essere coinvolta in altre pazzie dei suoi vicini: aveva già fatto altre esperienze ed ormai riconosceva subito le stranezze.


Qualche tempo dopo, sempre uscendo, (purtroppo doveva passare per forza da lì, non avendo comode uscite sul retro che consentissero di eclissarsi alla chetichella), vide la bionda che (da un po’ di tempo non si vedeva più, pur abitando con Franco) stava fuori dal suo cancello chiuso guardando i cani che si sollevavano sulle zampe dall’interno, scodinzolando ed abbaiando.
Maria non capì cosa stesse facendo lì fuori, guardando i cani così intenta e con le braccia conserte, ma non poté non darle il saluto, cercando nel contempo di risalire in auto dopo aver chiuso il proprio cancello.
Quella sembrò non aspettare altro e, indicando con aria desolata i cani, disse con sufficienza: “Sono venuta a dar da mangiare a queste povere bestie.” Come se Maria dovesse essere edotta che lei non abitava più lì.
Di matti che fanno casini e che pensano che il mondo ruoti intorno a loro e che gli altri non abbiano altro da fare che interessarsene, Maria aveva già le tasche piene. Fece finta di niente pensando: “Questa crede che è così importante che le cose sue sono uscite sul giornale? Per me abitava qui e se non parla chiaro non sarò io di certo a farle domande.”  Le chiese con tono salottiero: “A quando le ferie?” Ed avuta una risposta qualsiasi con un sorriso si eclissò.
“Che si pagassero lo psicanalista se hanno dei problemi. Ma che razza di comportamenti! Vivono in modo disordinato e ti parlano come se tu dovessi essere informata di tutti i cazzi loro! Quando di te non sanno niente ma ti definiscono “scema”, senza ragione alcuna, o “pazza” come ho sentito con le mie orecchie dire proprio da questa pazza vera, visto come vive…”  Pensava con sincera e schietta cattiveria guidando.


Un giorno il suo convivente era venuto a chiedere qualcosa a loro, era d’estate e lei in casa portava una maglietta di filo che faceva intravedere il seno che Maria, nonostante avesse cinquant’anni, aveva bello sodo e dritto… Forse l’uomo era rimasto turbato, fatto è che, nel rientrare in casa l’aveva detto alla sua convivente e Maria, che l’aveva riaccompagnato per pura cortesia fino al cancello e stava percorrendo il suo vialetto per rientrare in casa, lo sentì ed udì anche il commento di Giacinta:”Se è pazza…” 
Di nuovo il punto interrogativo insieme ad uno esclamativo comparve nel pensiero della donna: 
“Ma pazza sarà lei e quello scemo con cui vive!! Ma cosa vogliono questi? Si presenta in casa mia per chiedere una cortesia a mio marito e che debbo fare io, mi nascondo o mi cambio di abito?” 
Raccontò a suo marito quello che aveva sentito e lui sorrise e le disse: “In casa tua tu stai come ti pare. Se lui si turba perché hai i capezzoli a punta peggio per lui: con quello che si vede per la strada poi…”
“Non ne parliamo: reggiseni che spuntano come vuole la moda, abiti che sono come le sottovesti di una volta, vanno in giro a tutte le età come se stessero al mare… per la città però. Io vesto in modo classico, ma a casa mia con il caldo voglio stare comoda.”
“Poi non è che aspettassimo visite, – concluse il marito con indifferenza – fregatene.”


Poi la bionda tornò.


Franco e Giacinta ebbero una bambina e Maria portò loro un pensierino, anche perché la bionda carinamente aveva regalato un pagliaccetto al suo secondo nipotino quando era nato.
Un giorno vennero tutti e tre a far loro visita e la bionda raccontò che le avevano trovato un tumore all’utero quando la bimba era nata, disse che “aveva rischiato”, ma il medico, prontamente, lo aveva tolto. Maria le fece tanti auguri di buona salute. 


Una domenica che stavano tutti a vedere una importante partita di calcio e Maria, non interessata, stava stendendo i panni sul balcone, Franco suonò al loro cancello, lei chiese di cosa avesse bisogno e quello, pallido e con l’aria tirata, disse: “Mi può chiamare suo marito?” Lei non gli aveva mai concesso il “tu” che Milva gli aveva dato “espresso”.
Suo malgrado andò a disturbare gli “sportivi” incollati sul televisore a seguire la palla:
“Scusate – esordì – ma c’è il vicino, Franco, che vuole uno di voi, anzi vuole te.” Disse rivolta a suo marito.
“Ma che cazz… vuole questo, proprio mo’…” Rispose il marito senza staccare gli occhi dal televisore.
“Non lo so, ma aveva un’aria…”
“Un’aria del cazzo! Ma proprio adesso? Ma questo non li segue gli Europei?!
“Ma io che ne so.” Concluse Maria.
Suo marito si alzò e lo seguì anche suo figlio che, pur non vivendo con loro, era venuto a vedere la partita con il padre.
Andarono al cancello e Maria tornò sul balcone a continuare la sua faccenda domestica.
Da lì sentì la seguente discussione:
Franco, il poliziotto, tremante di rabbia, pallidissimo: “Avete lasciato la macchina davanti al cancello ed i miei ospiti hanno faticato ad entrare in casa mia!”
Il figlio di Maria: “Ma è davanti al nostro cancello, non davanti al suo… Peraltro è uno spazio definito nel rogito notarile di proprietà privata.”
“Sì, ma c’è scritto anche che, pur essendo di proprietà privata, deve lasciare spazio per la manovra agli altri..."
“Ma l’ha lasciato, – a questo punto il marito, superscocciato dal dover star lì mentre la partita si svolgeva, imbufalito perse la sua solita formale cortesia – se i suoi ospiti sono imbranati che è colpa nostra? Ci passa un carroarmato, ci passa!”
“Ma mi sembra che, comunque, sono entrati.” Osservò il figlio, che aveva visto un po’ di gente e di auto all’interno del giardino di Franco.
Il marito di Maria girò le spalle allo scocciatore facendo un gesto verso l’alto con il braccio e si precipitò a vedere se nel frattempo avevano fatto gol…. Lasciando il figlio a discutere con l’uomo che continuava a tremare pallido e furente.
“Sono entrati ma faticando nel fare la manovra!” Stava dicendo.
“Mi dispiace, – disse il giovane a questo punto – ma sono arrivato all’ultimo minuto e la partita stava per cominciare, altrimenti l’avrei messa dentro. Comunque lo spazio per la manovra c’era…”
“Oggi io mi sono sposato con Giacinta… Capisce?!”
“Auguri!” Disse il giovane e corse dentro con lo stesso spirito del padre: sperando che non ci fossero stati gol.
“Auguri! – Disse Maria dal balcone. – Non lo sapevamo. Auguri ancora.”


A partita finita i commenti si sprecarono.
Il giudizio migliore del marito fu: “Solo uno stronzo viene a rompere i coglioni mentre la gente sta seguendo gli Europei. Anche se lui non segue il calcio è un evento che si sente anche dalle case vicine. Ma non li sente gli urli?”
“Ma si sposano adesso?” Chiese il figlio. “Ma non avevano già una bambina? Lui era divorziato mi pare, no? Però in un giorno del genere uno è allegro, felice, e passa sopra a scemenze tipo la macchina del vicino che dà fastidio alla manovra. Io ero così felice il giorno del mio matrimonio che ero ben disposto verso il mondo intero… Lui era pallido, tremava… E’ incredibile.”
La pensierosa Maria disse: “Per me non si voleva sposare. Lei l’ha indotto con quella storia del tumore che poi era una cosa benigna… E quello non stava tanto felice per questo.”
“Ma sti’ cazzi! E viene a sfogarsi qui sto’ pazzo?!” Concluse il marito.


Quando la bionda sparì definitivamente con la bambina, gli incarogniti vicini si guardarono bene dal fare domande, anche se, abbassata l’arroganza, Franco provò timidamente a far loro un po’ pena. Ma i vicini avevano alzato un muro di distacco.
Eventi precedenti, che avevano vissuto con il vicinato, li avevano portati a quel punto.


Ad esempio la precedente proprietaria con la storia del box, dopo che le avevano dato la loro amicizia e sopportato infinite follie. Come quella volta che l'avevano invitata con il suo bambino per il giorno di S. Stefano, sapendoli soli, e dopo una telefonata in cui diceva che stava arrivando da Roma, era sparita. Il marito di Maria l’era andata a cercare lungo la strada temendo in un guasto dell’auto. Non c’erano ancora i cellulari ma molti telefoni a gettone e lei, per una ruota mezza sgonfia, aveva deciso di tornare nella casa romana dove, finalmente, Maria riuscì a contattarla. In realtà rispose il figlio che disse la ragione del rientro. “Ma non potevate telefonare?” Chiese allibita Maria. “Sono le tre e noi non abbiamo mangiato per aspettarvi, il pranzo della festa si è raffreddato e mio marito è per strada a cercarvi.” 
O quella volta che, non si sa come, era caduta dal vialetto della sua villetta, adiacente alla loro, nella sottostante rampa delle auto, e Maria l’aveva caricata in auto e portata in ospedale, rimanendo con lei e riaccompagnandola  poi a casa.


Amici della sciagurata, che lei aveva loro presentati, entrambi separati con figli, erano venuti a vivere lì vicino e suonavano al loro cancello in ogni ora, anche quelle del riposo, per chiedere ogni tipo di aiuto e di favore. La loro convivenza era durata solo due anni ed avevano cercato anche di coinvolgerli nelle loro diatribe.
Prima di unirsi in questa rapida ed infelice convivenza, questa coppia di separati, veniva nella villetta della sciagurata che dava loro le chiavi per usarla come garçonnière.
Non era l’unica coppia a cui le dava e nella casa c’era un certo via vai…
A Maria ed alla sua famiglia aveva chiesto la cortesia di tenere un mazzo di chiavi per la sua comodità: “Se deve venire un operaio per fare qualche intervento basta che gli telefono da Roma e voi gli aprite, così non sono costretta a venire su.”  Aveva motivato la sua richiesta ringraziandoli per il disturbo. Ma aveva dimenticato di dire che altre chiavi le dava ai suoi amici, spostati come lei, per altri usi.
Le prime volte, allarmati, avevano temuto che fossero entrati i ladri. Poi, guardando preoccupati dalla loro casa, si erano resi conto che l’intrusione era di altra natura.
Erano già molto seccati con la loro vicina per aver dato loro quell’incomodo delle chiavi, senza avvertirli degli altri usi a cui adibiva la casa, quando, una sera che stavano cenando con dei loro parenti, la sciagurata suonò al loro campanello.
“Chi sarà a quest’ora?” Si chiesero un po’ tutti.
Andò ad aprire Maria e, visto che era la scomoda vicina a cui, grazie alla sua ex compagna di scuola che veniva spesso come sua ospite, avevano dato la loro amicizia, sia pure con una certa riserva, la fece accomodare in ingresso. Quella, senza scusarsi per l’ora ed il disturbo, disse che doveva parlare loro di una cosa che era accaduta, ma che voleva che ci fosse anche suo marito.
Doveva essere qualcosa di molto grave per  costringere delle persone ad interrompere la cena, con l’aggravante che avevano degli ospiti.
Maria scese in taverna e chiese a suo marito di salire in ingresso, mentre i loro parenti chiedevano: “Ma che è successo?”
I due attoniti vicini si sentirono fare il seguente racconto:
“Oggi arrivando ho trovato delle feci nel bagno e dei peli nel bidet. Dato che voi avete le chiavi volevo sapere se ne sapete qualcosa.” Era seria e per nulla in imbarazzo per aver interrotto la cena ai due e per essere piombata in casa loro a quell’ora.
I due la guardavano basiti. Pensavano che fosse successo qualcosa di grave e mai, neppure con la più sfrenata fantasia, avrebbero pensato di sentirsi proporre un simile problema!
Certo l’educazione li inibì al punto tale da non farli reagire come molti avrebbero fatto e, forse, sarebbe stato giusto fare e, nel loro intimo, pensarono di fare ma non fecero, cioè dirle: 
“Ma, brutta matta, ti presenti qui mentre stiamo cenando, nemmeno ti scusi, ci fai mangiare freddo e lasciare i nostri parenti da soli per dirci questo?!! Ma che cavolo ne sappiamo noi di quello che succede dentro quella specie di bordello che è casa tua? Noi abbiamo le chiavi? Ma riprenditele subito, per noi sono un peso, un fastidio ed una responsabilità, visto il via vai che c’è in quella casa. Ma vallo a chiedere a quegli zozzoni a cui dai le chiavi per far loro favori! Noi te lo facciamo il favore e qui non si è visto mai un operaio, perciò riprendetele e vai affanc……!”
Invece i poveretti risposero educatamente che non ne sapevano nulla, che in quella casa ovviamente non erano mai entrati, avendo due bagni a casa loro….
Quando ridiscesero, mangiando la cena ormai gelata, i loro sbalorditi parenti dissero loro:
“Ma ridatele le chiavi. Questa è una pazza totale che proietta sugli altri il suo mondo sudicio, fatto di incontri furtivi… Avrà pensato che ci siete andati voi con qualcuno…”
“Allora è da camicia di forza! – Esclamò Maria indignata. – Come si fa a pensare che avendo mio marito qui io vada là con qualcuno o viceversa?!”
“Ognuno vede il mondo attraverso gli occhiali che porta sul naso, mia cara!” Concluse saggiamente suo marito.
Ma Maria non stette zitta e appena ebbe modo di incontrare l’unica amica saggia che quella sua dissennata vicina aveva e che era stata il tramite fra di loro, le raccontò tutto.
Forse per l’antica amicizia che la legava alla sua ex compagna di liceo, la saggia amica tentò una giustificazione all’assurdo: “Ma lei ve lo ha solo chiesto.” Come fosse normale.
“Mi stupisco proprio di questo, - insistette Maria – che senso aveva chiederlo a noi? Che noi andiamo ad usare i suoi bagni? O facciamo entrare persone che lei non ha autorizzato ad usarli?”
L’insensatezza del comportamento di quella folle si poteva spiegare solo con il dubbio di un uso improprio delle chiavi da parte loro. Ma qui Maria registrò nella comune amica una mancanza di censura dell’agire della sua antica compagna di scuola, cosa che fece pensare poi a lei ed a suo marito che, se erano così intime da tanto tempo, qualcosa in comune dovevano avere, anche se la saggia sembrava diversa. Questa, insieme a suo marito, anche lui ospite frequente della ex compagna di scuola di sua moglie, tentò una spiegazione minimale e banale del fatto che aveva provocato l’incongruo e grottesco comportamento della padrona di casa: “La domenica precedente eravamo venuti tutti insieme, sai, quando si è in tanti… Può darsi che qualcuno aveva già chiuso l’acqua e qualcun altro ha avuto bisogno all’ultimo minuto del bagno… Magari uno dei bambini…”
Maria non disse più niente, ma non poté fare a meno di pensare che i bambini non hanno peli del pube da lasciare nel bidet.


Insomma, l’elenco delle follie che avevano dovuto subire era lungo, ormai quei fatti ed altri li avevano cambiati ed avevano capito che non valeva la pena aiutare la gente la quale, lungi dall’esserti grata, dopo averti creato problemi, parla anche male di te.


Franco, frustrato dall’indifferenza di quei due vicini, aveva legato con un tale Carlo che aveva preso in affitto una casa di campagna, costruita totalmente abusiva, per viverci con la sua convivente, la bambina che avevano messo al mondo, il figlio di lei e la figlia di lui, nati dalle precedenti unioni. 
Franco ammirava Carlo perché addestrava cani all’attacco. Amici e conoscenti gli affidavano i cani per farli diventare aggressivi, scopo: la guardia.
Ne teneva dai cinque ai sei alla volta e, chiusi in gabbia o lasciati liberi, abbaiavano ferocemente per gran parte del tempo.
Inutile chiudere le finestre nell’andare a dormire: si sentivano ugualmente. In giardino era impossibile anche parlarsi, perché i latrati superavano le voci. A Franco questo non dava fastidio, anzi, apprezzava Carlo e, guardando oltre la testa di Maria che si lamentava del fatto che non si riusciva più a leggere un libro in giardino, né a sentire il piacevole canto degli uccellini, disse con alterigia: “Lui è Presidente dell’Associazione degli addestratori di cani”. Come se avesse detto “lui è Presidente dell’Associazione degli Ingegneri o dell’Associazione dei Medici Internisti….
Inutile dire che Maria riferì a suo marito che commentò: “Hai capito?!!! E chi “cacchio” sarebbe? Chiunque può fondare un’Associazione, che so: “Associazione amatori del fringuello maschio!” Poi si autoelegge Presidente e trova sempre quattro scemi che si iscrivono per dare un senso alla propria inutile vita, al proprio vuoto mentale!”


Un giorno uno di questi cani morsicò Franco ad una mano. Lui cercò di non farlo arrivare agli antipatici vicini, i quali se ne accorsero lo stesso, e disse a Carlo di stare un po’ più attento con quei cani.
Un altro giorno si sentì un ospite di Carlo gridare perché uno dei cani l’aveva attaccato.
“Ride, questo ride (evidentemente si riferiva  al “Presidente dell’Associazione degli addestratori di cani”), ma sei scemo! Tu sei tutto matto! Questo non si rende conto… Sei pericoloso.. Tu non ti rendi conto!!”
Ma Franco trovava tutto questo normale. Quando uno dei figli di Maria si trovò a studiare nella casa dei genitori per avere un poco di tranquillità, (fino ad allora ce ne era stata), adirato inveì contro quel latrare continuo e Carlo gli rispose a parolacce. Chi era presente sentì il seguente scambio di battute:
Il figlio di Maria: “Ma basta! Non si riesce a fare niente con questo casino!”
Carlo: “Sono cani, hanno il diritto di abbaiare!”
“Ma cosa dice! Ma che è normale l’abbaiare furioso di cinque cani tutti insieme?!”
Carlo: “Ma non stare a rompere il cazzo!”
“A stronzo! Io non riesco a concentrarmi ed a studiare da dentro casa mia e sono io che rompo?”
Carlo: “Ecco così mi piaci! Se me dici stronzo me poi pure piacé!” Questo è il linguaggio che capisco! Potemo pure diventà amici!”
“Ma che razza di incivile è lei?! Come cavolo ragiona?!”
“Incivile a me?!! Ma io t’ammazzo!!”


Maria ed il marito erano in vacanza a Capri. Al ritorno, appreso l’episodio dal figlio, si recarono dai Carabinieri e sporsero denuncia per insulti e minacce nei riguardi del loro figlio ed esposero i fatti: questo Carlo addestrava cani all’attacco.
I Carabinieri fecero un sopralluogo. 
La convivente di Carlo, beffeggiando i denuncianti, raccontò ad amici, vicini e conoscenti che “persino i Carabinieri ridevano”. 
Nei giorni successivi suo figlio si esercitò in una fitta sassaiola diretta al giardino degli insofferenti ai latrati. Il marito di Maria trovò le piante del suo piccolo orto piene di sassi. Maria furibonda disse: “Se c’era qualcuno gli spaccava la testa questo incivile teppista!” I sassi arrivavano infatti superando il muro e la siepe, quindi il teppista di circa dodici, tredici anni, non poteva vedere chi c’era dalla parte opposta.
I Carabinieri dissero a Maria ed a suo marito che l’addestratore, convocato, era stato ammonito perché non aveva alcuna licenza per fare quello che stava facendo: cioè addestrare cani all'attacco dentro un terreno non autorizzato. Venne convocato anche il proprietario del terreno e della casa che Carlo aveva in affitto e quello disse che non ne sapeva nulla di questa attività che il suo affittuario aveva improntato nella sua casa e si indignò moltissimo.
Da quel momento Carlo, per ritorsione, non gli pagò più il mensile e parecchio tempo dopo se ne andò inseguito da citazioni per morosità da parte del locatore e da diffide dell’Autorità Giudiziaria per attività non autorizzata, maltrattamenti di animali e quant’altro.
Con incredibile superficialità Franco disse che Carlo se ne era andato perché era moroso. 
“Fortuna che “l’uomo di legge” lo ammirava, chissà se lo ammira pure ora!” Commentò acidamente Maria.


Durante quel contenzioso erano accadute molte cose.
Il figlio di Maria, indispettito per quel latrare continuo, aveva sparato in giardino alcuni mortaretti avanzati dal Capodanno nell’intento di spaventare i cani.
Carlo li aveva controdenunciati, scrivendo che aveva sentito degli spari e accusava il marito di Maria. Il quale, però, quel giorno era a Capri e non lo querelò perché lo riteneva non degno di altra attenzione ma, il suo amico poliziotto fece qualcosa  per cui avrebbe potuto essere denunciato per abuso di potere. Fece una ricerca usando i mezzi del suo ufficio per vedere se i vicini avevano un’arma e si presentò dai Carabinieri offrendosi come paciere fra le parti.
Maria ed il marito lo seppero dal Maresciallo dei Carabinieri, che lo riferì con un lieve sorriso di compatimento: aveva capito pure lui di avere a che fare con un cretino.
Immerso nel suo ruolo tipo “Ispettore Clouseau”, Franco si presentò dai vicini che avevano denunciato il suo amico Carlo i quali, nonostante i fastidi e gli indebiti commenti  denigratori su di loro, lo fecero accomodare nella loro graziosa veranda.
Franco: “ Sono stato dai Carabinieri ed ho parlato con Carlo: se potete ritirare la denuncia è meglio per tutti.”
Il marito di Maria, diffidente ed incazzato:” E perché? Noi non possiamo più godere del nostro giardino, non riusciamo neppure a parlarci se ci sediamo sui dondolini per prendere un po’ di sole in tranquillità…. Il suo caro amico ha minacciato mio figlio dicendo: “Io t’ammazzo!”. Mi sembra abbastanza.”
Franco: “Ma se voi ritirate la denuncia la ritira pure lui…”
L’altro: “Che fondamento ha la denuncia di questo signore? Lo potrei querelare perché ha scritto il falso: qui c’era mio figlio ed ha denunciato me che dai registri di un albergo risulto a Capri quel giorno! E’ ridicolo e grottesco e non voglio perdere tempo per i tribunali con un simile soggetto, altrimenti ho tutti gli elementi per fargliela pagare. Questa storia dei cani è vergognosa. Per dispetto ha divelto la rete e li ha fatti entrare per due volte nel mio giardino: ci hanno rotto due vasi, oltre tutto!”
Con un sorriso, che voleva essere furbo e conciliante insieme, Franco giocò quella che credeva essere una carta investigativa: ”Voi avete un fucile.”
A questo punto intervenne Maria: “Certo, era di mio padre ed è regolarmente denunciato. Lo ha lasciato al primo nipote maschio che non è cacciatore, dunque lo detengo io per ragioni affettive. Sta, smontato, nell’armadio. E allora?”
“Bèh, - il sorrisetto ora era proprio  alla “Clouseau” – potreste aver sparato con il fucile.”
Maria non si arrabbiò neppure, perché quell’uomo stava dimostrando, in modo penoso, di essere proprio un perfetto idiota. Le faceva quasi pena. “Ma chi ce le darebbe le cartucce secondo lei?”
“Se lo detiene regolarmente le può comprare….”
Maria cominciò a parlargli come si fa con i bambini quando non capiscono: “Lei è un poliziotto e, dunque, dovrebbe sapere meglio di me che per acquistare le munizioni di un’arma bisogna avere il porto d’armi, che nessuno di noi ha. Lei ha fatto un’indagine su di noi, anche se non poteva farlo, dunque ha visto che l’arma è detenuta senza porto d’armi, per sole ragioni affettive, avendola ricevuta in eredità.”
“Bèh, ma si può lo stesso…” Replicò incerto “l’uomo di legge”.
“Ma cosa dice?! – Si meravigliò la donna. – Nessuna armeria dà niente senza porto d’armi!”
A questo punto l’emulo dell’Ispettore Clouseau cominciò a rendersi conto di aver detto qualche sciocchezza e tentò di spiegare: “Sa…Io mi occupo di un altro settore…”
“Ma se lo so pure io che non sto in Polizia!! – Disse implacabile la donna. – E poi come si fa a confondere lo scoppio di mortaretti con il rumore di uno sparo di una carabina?!” Stava per aggiungere: “Ma mi faccia il piacere!” Ma soprassedette.
Poi, scherzando con suo marito per alleggerire l’atmosfera, disse una battuta citando il titolo di una nota commedia di Goldoni: “Noi siamo un po’ burberi, come “I quattro rusteghi”.”
L’epigono di Clouseau fece un sorrisetto e con aria beota chiese: “Lei è veneta signora?”
La donna rispose di no e pensò che oltre che scemo quel tipo era pure ignorante.


Alla festa che un tizio teneva ogni anno per il suo compleanno, raccattando invitati un po’ dovunque in giro, ed a cui la famiglia di Maria, dopo le prime noiosissime volte, si sottraeva con mille scuse, fino a quando, offeso, il tizio non li invitò più, andò Franco, invitato per la prima volta, Carlo con la convivente e la mista figliolanza, una coppia che Maria aveva allontanato per le stranezze del loro comportamento e per certe notizie poco edificanti che le erano giunte su di loro, e tanta altra gente che, evidentemente, non aveva di meglio da fare.
L’argomento, per loro esilarante, fu il fastidio dei cani. Tutti, accomunati dall’ostilità verso la famiglia di Maria, sia pure per motivazioni diverse, risero del fatto che il marito di Maria si affacciasse alla finestra gridando: “Bastaaaa!” Quando il coro dei latrati durava per ore ed ore. La donna della coppia che Maria evitava per il loro ménage poco edificante, disse che a lei i cani non davano alcun fastidio e che lei dormiva benissimo, omettendo di dire che per farlo prendeva i sonniferi. Definì Maria una povera matta ed anche suo marito. Il padrone di casa, pur sapendolo, evitò di rivelare che la donna girava vantando lauree mai conseguite, un tumore cerebrale che, qualora veramente esistente, l’avrebbe portata in breve a morte certa ed altre follie inventate la cui lista sarebbe lunga da descrivere, perché preferiva che passasse per matta Maria, che si rifiutava di andare alla sua festa, tanto importante per lui. Così Carlo si sentì confortato e nel giusto e Franco con lui. 
Purtroppo le leggi non erano d’accordo con quella stranita umanità e non consentivano di addestrare cani senza le dovute licenze ed autorizzazioni, né la legge riteneva giusto che cani incattiviti dalle pratiche dell’uomo sconfinassero in giardini altrui, così Carlo dovette smettere la sua attività e migrò altrove con la sua tribù, compreso il “tirasassi” naturalmente.


Le verità nascoste, negate e seppellite, aleggiano nell’aria come ectoplasmi e, quasi ci fossero leggi fisiche che le regolano, a volte si concretizzano in improbabili incontri, fu così che Maria, girando per una città con milioni di abitanti, essendosi persa in un quartiere che non conosceva, si fermò a chiedere un’informazione ad alcune donne in attesa alla fermata dell’autobus. Una di queste, piccolina, bruna di capelli, vestita con sobrietà, si chinò gentilmente al suo finestrino e le rispose indicandole la strada. Maria cercò di memorizzare le svolte a sinistra, poi a destra, poi ancora… E provò a ripeterle per vedere se aveva capito. La donna pazientemente le ripeté, poi disse che lei abitava proprio nella direzione in cui doveva recarsi Maria e, se voleva darle un passaggio, poteva condurla proprio dove lei doveva andare. Maria realizzò che la donna aveva l’aspetto rassicurante di una brava persona che stava tornando a casa dal lavoro e che le due esigenze si potevano sposare. Era una zona all’estrema periferia dell’immensa città e le indicazioni della donnina le furono molto utili. Il percorso durò un buon quarto d’ora e mentre guidava Maria fece dei commenti sul traffico prepotente e disordinato. La donnina si trovò d’accordo e disse che lei viveva a Roma solo da diciotto anni, essendo di un piccolo paese della Puglia, aveva sposato un romano, e certo nei piccoli centri si viveva molto meglio, a lei mancava il mare del suo paese. Maria chiese che paese era e la donna disse il nome. Maria schivò uno scellerato che la superò a destra e, ripreso il pensiero sul nome di quel paese, ricordò che Franco le aveva detto di essere proprio di quel piccolo centro pugliese sul mare. “Ho un vicino di casa che è di B.: si chiama Carrieri. E’ un poliziotto.”
“Ah! Lo conosco. Conosco tutta la famiglia. Ma loro non sono della “marina”, sono dell’interno di B..”
Maria sorrise: “Io conosco solo il fratello.”
“Eh! Lo conosco.”
“E’ un tipo strano.” Volle dire Maria, ripensando a quando, nonostante lo “Scema” sentito dalla bocca di Franco, salutava con un sorriso educato quando lo incrociava nella comune strada e, se con lui c’era il fratello in visita, questi non salutava e non sorrideva neppure per un gesto di normale educazione.
A questo punto il tono timido ed educato della sua passeggera salì in una esclamazione: “Eh! Io non volevo dirlo! Ma vedo che lo pensa anche lei! E’ proprio così.”
Sorpresa e divertita la guidatrice aggiunse:” Comunque anche lui, il poliziotto, lo è! E’ un tipo pesante da sopportare. Anzi, le dirò, è proprio un matto.”
“Ma è tutta la famiglia che lo è. Li conosco: è tutta la famiglia.” E questo lo disse col tono tranquillo di chi esprime qualcosa risaputa da sempre. “Ecco, signora, io sono arrivata, accosti pure dove può… Grazie infinite.”
“Sono io che la ringrazio, ci siamo fatte un favore a vicenda.”
“Lei prosegua fino alla rotonda, poi prende a destra ed è arrivata. Grazie ancora. Arrivederci.”
Maria la guardò attraversare la strada stretta nel suo sobrio soprabito beige e pensò: “Come è piccolo il mondo e come sono strani i casi della vita.”


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