Dalla Raccolta di novelle "Le verità nascoste"
Credevo fosse un partito….ed invece era un calesse
Sì, era proprio come il film di Troisi: “Credevo fosse amore e invece era un calesse”.
Le veniva in mente questa associazione vedendo, sentendo, assistendo a tante cose contraddittorie…. “Credevo fosse una cosa ed invece era un’altra…”.
Aveva votato quel senatore al buio: non sapeva neppure chi fosse. Solo per il partito, l’unico di cui aveva preso la tessera in vita sua. Scoprì, poi, che molti nel Paese avevano preso quella tessera senza essere stati mai iscritti prima ad alcun partito: segno che il Leader galvanizzava con i suoi discorsi, con i suoi proclami, gli animi dei puri, quelli che ancora speravano in una società giusta ed onesta e se ne erano rimasti in silenzio senza cercare tessere di comodo.
Tutti avevano la sua stessa speranza negli occhi, nel sorriso, e si davano da fare alle manifestazioni con bandiere, stanchi di camminate, di ore in piedi, ma felici, convinti di partecipare davvero ad un cambiamento.
Il senatore la ricevette subito e questo le fece una bella impressione. Aveva modi spicci e parlava con marcato accento dialettale: ma le piacque per la sua disponibilità. Gli prospettò il problema: volevano chiudere un reparto ospedaliero per ripianare i bilanci ed intanto davano euro 100.000 al mese ad un professore di un altro ospedale perché venisse ad operare con la sua équipe, una volta ogni tanto, nelle sale operatorie rese vuote da quella scelta. Il senatore prese immediatamente il telefono e chiamò il segretario del professore. Prima però le chiese due volte se era sicura di quell’informazione. Sentito il nome del professorone aveva detto con un sorriso: “E’ nostro!!” Lei capì che era anche lui del partito. Parlò con il medico che fungeva da segretario chiedendogli in modo schietto se era vero che l’ospedale dava loro quella cifra, mentre chiudeva i reparti per risparmiare. Quello non smentì l’informazione che la donna aveva dato al senatore. Parlarono, scherzarono ed in seguito non si sa come quel reparto non fu più chiuso. Lei non seppe mai se, comunque, quei 100.000 continuavano ad uscire dalle casse di quell’ospedale. Seppe solo che il Presidente di Regione era favorevole al Partito della Salvezza, era un amico.
Intanto in altri ospedali si falcidiavano professionalità e si lasciavano alla polvere attrezzature costate milioni di euro ancora nuovissime. Era per il Piano di Rientro dai debiti creati da amministrazioni precedenti di ogni colore: per i voti tutti i partiti chiedevano ai propri uomini, insediati sulle poltrone di comando, di dare e dare e dare il pubblico denaro a questa o quella convenzione, poi posti, acquisto di attrezzature, farmaci e chi più ne vuole più ne metta. Questa e solo questa era l’amministrazione dei partiti politici: chiedevano voti e, avuto il potere per poter accedere ai fondi pubblici, non all’amministrazione oculata degli stessi tendevano, ma alla loro elargizione ai proprietari di cliniche, altrimenti in deficit, alle Società produttrici di elettromedicali, di strumentazione ospedaliera, di materiale sanitario di consumo, alle Case Farmaceutiche e così via. Le casse ormai esangui chiedevano sacrifici ora, ma non a chi queste voragini nei conti pubblici aveva provocato, ma a chi con sacrificio personale economico, psicologico e fisico aveva acquisito grande professionalità: medici preparati messi in un cantuccio, non utilizzati, usati solo per fare ambulatorio.
Il senatore poi la fece parlare con un omino che fungeva da Segretario e che avrebbe dovuto tenerla informata sull’argomento. L’omino non le fece la stessa buona impressione. Dal suo ufficietto le chiese, in modo untuoso, dove lavorasse e, saputolo, le chiese subito un favore. Quella fu la prima sgradevole impressione.
In seguito conobbe una bella donna che organizzava riunioni di partito dagli intenti un po’ fumosi. Si parlava, parlava, parlava lasciando accuratamente fuori le cose concrete che la gente non sopportava più. Tutto quello spendere di tempo in chiacchiere, in inutili resoconti delle stesse, cominciò ad annoiare non solo la donna di cui narriamo e che chiameremo Giuliana, ma anche altre. Qualcuna prese confidenza e timidamente, di fronte alle perplessità che Giuliana esprimeva su quella scarsa concretezza, cominciò ad aprirsi: “Beh, sì, è vero, non si combina niente. Io vengo da lontano ed arrivare fin qui non è facile, va via tanto tempo, torno a casa tardi… Se almeno si combinasse qualcosa.”
I temi posti dalla coordinatrice erano fumosi, triti e ritriti: la condizione della donna, la violenza sulle donne… Ma parlarne e basta a cosa serviva? Tirarono fuori una piccola pubblicazione dopo molti tentennamenti sui soldi da trovare per realizzarla: dapprima si era parlato addirittura di fare una colletta.
“E che siamo in parrocchia?” Si era chiesta Giuliana.
Le altre non volevano dire che oltre ai viaggi che pagavano per venire fin lì, nella sede del Partito della Salvezza, erano restie a pagarsi anche quella pubblicazione che pochi avrebbero letto e che non risolveva certo i problemi delle donne violentate.
Alla fine il senatore tirò fuori un poco di soldi del partito e pagò le spese. Giuliana, visto che il partito ribadiva di essere per la trasparenza e lei non aveva dubbi che così non fosse, chiese alla Tesoriera: “Ma i rimborsi elettorali che vanno alla sede centrale non vengono distribuiti alle varie sedi?” Lei era contraria che si fosse fatta una legge che, di fatto, era un finanziamento ai partiti con i soldi pubblici, visto che era stato bandito un referendum in cui gli italiani si erano pronunciati per il no. Invece che “zuppa” l’avevano chiamato “pan bagnato” e del risultato referendario, dei costi sostenuti per ottenerlo, non gliene era fregato niente a quelli di Montecitorio e di Palazzo Madama. Visto, dunque, che il Partito della Salvezza prendeva milioni di euro era giusto che pagasse una piccola pubblicazione inutile a risolvere i problemi delle donne.
Arrivarono le elezioni europee e la coordinatrice disse che lei e un consigliere regionale “avevano fatto un passo indietro” e non si erano candidati per far posto ad un ex attore, assolutamente ignoto, poi giornalista, altrettanto incolore anche in questa veste. Quell’insistere su: “Io e l’On. Cocci abbiamo fatto un passo indietro”, fece capire a Giuliana che, invece, la donna ci aveva sperato e mirato, ma qualcuno, forse il senatore, le aveva fatto capire che il Leader voleva far convergere i voti sul giornalista.
Giuliana lo votò comunque, ritenendolo una persona se non altro onesta.
Un’infermiera arrivata fresca fresca alle riunioni aveva detto, senza mezzi termini, che voleva candidarsi alle regionali: “Sono qui per questo!”
A Giuliana era venuto un po’ da ridere: le sembrava una richiesta velleitaria. Ma fu accolta e fu messa in lista, insieme ad un’insegnante e ad una che si definiva professoressa universitaria perché aveva un contratto di insegnamento per una scuola di specializzazione in giornalismo, che si teneva in una università, ma che in realtà vivacchiava con una piccola casa editrice dove pubblicava i testi che alcuni professori universitari scrivevano, sperando che qualcuno glieli comperasse.
Queste donne vennero messe ad adeguata distanza da coloro che dovevano essere eletti e che erano in cima alla lista. I voti da loro racimolati sarebbero serviti ad impinguare la quantità raccolta dalla lista nella sua interezza.
Esse passarono molto tempo a girare in tutte le manifestazioni del Partito della Salvezza, a parlare con la gente, seguendo il senatore, ma gli eletti furono quelli che, appunto, erano in cima: due consiglieri uscenti che furono riconfermati, una tizia proveniente da un altro partito con un curriculum che comprendeva genitori sindacalisti e come unico mestiere la politica, ed il capolista che si sapeva da prima che lo voleva il Leader perché, si diceva, “doveva un favore al suo avvocato”.
Le illuse rimasero come prima, ma con tanto tempo perso senza concludere niente.
Dopo un po’ la coordinatrice sparì e non si fece più vedere al partito. Si vociferava che l’aveva voluta il senatore e che, delusa nelle sue aspettative di deputata europea, se ne era andata.
Altre sparirono senza farsi più vedere. Una, dichiaratasi disoccupata, si seppe che bazzicava la Regione facendo qualche lavoretto, pagato con i fondi di quella amministrazione, grazie ad un consigliere del Partito. Un’altra, nuova, si seppe che lavorava come stagista precaria in Regione e sperava di rimanerci lavorando per il consigliere Cocci. Una graziosissima coordinatrice, invece, aveva il lavoro fisso in Regione. Forse per questo si dava tanto da fare nel Partito? Era la segretaria del consigliere Cocci, sposato e padre, ma i maligni dicevano che fosse la sua amante. Ecco, questo pettegolezzo malevolo Giuliana non lo accettava. Sapeva che la bella giovane aveva un marito, anche lui nel locale direttivo giovani del partito, e trovava queste malelingue e la relativa ipocrisia di facciata poco consone ad un partito nuovo, che con le parole del Leader si presentava limpido e trasparente.
Ma il “taglia e cuci” non risparmiava neppure il creatore del Partito della Salvezza: di una deputata che gli stava sempre vicino si diceva che avesse avuto la poltrona perché era la sua amante. Giuliana rifiutava questo fango interno ed obiettava che quella deputata teneva in ordine i conti del partito, questo era un ruolo che al Leader serviva… E poi la moglie era spesso accanto a lui… Dunque? Ma quelli non si convincevano e restavano della loro idea.
Di un cognato del Leader, anch’egli deputato, che non era venuto ad una riunione importante con personalità del mondo del Teatro Classico a cui leggi recenti avevano tagliato i finanziamenti, i bene informati dissero che “stava scopando con una minorenne”, né più né meno di quello che faceva quel porcone del partito di governo.
“Ma come è possibile?!!” Chiese Giuliana esterrefatta. “E’ sposato!” Aggiunse. Ma intorno a lei sentì indifferenza e compatimento per la sua stupida ingenuità.
Nonostante ciò lei non volle credere del tutto a questo putridume di malvagità, però ci rimase male perché il clima fra i militanti non era fatto di fratellanza, ma di ipocrisia e cinismo.
Lei cercava di diffondere in un vasto territorio volantini elettorali del partito che parlavano bene di vari consiglieri regionali, fra cui Cocci che, però, per un problema che riguardava proprio gli abitanti di quel territorio, non aveva fatto nulla, adducendo a motivazione che in Regione non avevano le mappe di alcuni servizi di quei luoghi.
“Ma come hanno fatto allora a creare i capitolati di appalto, stanziando i fondi ovviamente, senza mappe?” Si chiese in una illuminazione la donna. “Se non si sa dove tali servizi sono già stati costruiti e dove, invece, si debbono ancora costruire…. Come hanno fatto a fare i progetti, stabilire i costi, fare i disegni tecnici?”
“Ma soprattutto – le disse qualcuno a cui esternava la sua meraviglia – come fa questo a dire certe baggianate sperando di essere creduto?!”
Seppe poi che l’omino che fungeva da segretario del senatore era stato messo su un’importante poltrona di un Consiglio locale in cui veniva pagato molto bene con i soldi dei contribuenti. L’omino veniva da un partito molto diverso dal Partito della Salvezza e non era l’unico ex di altri partiti, anche ideologicamente molto lontani dal partito che privilegiava la trasparenza, che era entrato con l’assenso del Leader . Molti di quelli che non avevano mai avuto una tessera, se non quella del Partito della Salvezza, se ne andavano delusi e rimanevano invece quelli che avevano cambiato casacca con un intento certo non ideale. Molti della base delusa si rivolgevano al creatore del partito, convinti che lui non sapesse, non vedesse, certe candidature imposte dall’alto, certi congressi in cui le votazioni non si facevano se non per alzata di mano, o per acclamazione, senza un conteggio rigoroso, con il candidato già imposto con il passaparola…
Delle donne, molto battagliere, decisero di creare un gruppo che comprendeva tutte le militanti, del Partito della Salvezza nel Paese, che volessero aderirvi. Giuliana vi aderì. C’erano donne di valore, molto motivate; al Congresso Nazionale ottennero di parlare con una personalità politica che navigava di poltrona importante in poltrona, passando per varie formazioni politiche, di cui una creata da lui che, essendosi ridotta di seguaci, lui aveva abbandonato, per confluire nel Partito della Salvezza, il quale accoglieva tutti: transfughi della sinistra, della destra e del centro… L’importante è che portassero voti. La prima cosa che chiese alle più entusiaste gelò il loro slancio: “Voi, come Gruppo Organizzato, quali voti rappresentate?” Gli ideali si infrangevano come onde sugli scogli. Il Partito della Salvezza, ricco di ideali urlati dal Leader, altro non era che un Partito come gli altri che necessitavano di voti, comunque acquisiti.
Il Gruppo delle Donne a poco a poco si sfaldò, le e-mail che si scambiavano con le esperienze locali si affievolirono fino a scomparire … Ognuna vedeva le stesse cose nella propria regione, nella propria zona: decidevano tutto i capi e la base era solo usata per fare il “portatore d’acqua”, che voleva dire non solo portatore di voti, ma galoppini ai banchetti per le raccolte firme per gli scopi nobili più vari e che servivano a misurare quanta gente simpatizzava per il Partito, o fare numero nelle manifestazioni con le bandiere…
A poco a poco capirono che il Leader vedeva e sapeva, ma gli stava bene così. Poi cominciarono a notare le macroscopiche contraddizioni: in televisione ed in Parlamento diceva delle cose che non si concretizzavano con i fatti, oppure criticava aspramente azioni che poi gli uomini in vista nel Partito della Salvezza facevano… Era sconcertante.
“Ma hai visto quell’intervista che ha dato a quel quotidiano?” Disse Giuliana ad un compagno di partito.
“Quale, ne dà tante.”
“Quella che oggi ha messo sul suo sito… Dice delle cose… Non capisco.”
“Ma cosa?”
“Dice che nelle Società partecipate dagli Enti locali i partiti mettono tanti Consiglieri superpagati dai cittadini, quando basterebbe un unico Amministratore.”
“Ah! Certo, capisco. Loro hanno messo quell’ex socialista su quella importante poltrona di quella Società partecipata da quel grosso comune…”
“Appunto! Una Società di Servizi che poi i servizi non li dà che male e fa pagare pure quello che non dà… Ma perché dice queste cose e le mette pure in risalto sul suo sito, quando deve sapere benissimo che quella persona del suo Partito è stata messa lì?! Critica i partiti “che mettono”… Ma se lo fa pure lui?!”
“Sono tanto deluso anch’io. Quelli che venivano in sede io non li vedo più. Sono rimasti in pochi: quel commesso di libreria che sta cercando anche lui di infilarsi in Regione per poter lavoricchiare… Sai Cocci riesce, con i fondi di cui può disporre, a pagare un po’ di gente. Poi c’è quella cicciona… Sì quella lì. Anche lei lavora ora a tempo determinato in Regione.”
“Quella aveva un baretto sulla spiaggia, una specie di chiosco, per di più in società con un’amica e che è fallito.”
“Questa è tutta gentarella che sta nel partito perché è senza arte né parte e spera di intrufolarsi e di lavorare.”
“Quelli che hanno una professionalità e ci stanno non per la pagnotta ma per un ideale se ne vanno delusi.”
“E’ un Partito di sfigati in cerca di posto e di arrivisti in cerca di poltrone, poltroncine e strapuntini politici.”
Queste erano le tristi conversazioni di chi, a poco a poco, prendeva consapevolezza di un Partito falso come e più degli altri, perché, più degli altri, aveva fatto davvero sperare nell’onestà e nella limpidezza degli scopi e degli intenti.
Tornando da una riunione Giuliana si trovò a parlare con uno idealista come lei: “Hai visto Cocci? Ha messo nel Consiglio di Amministrazione dell’Azienda Municipalizzata dei Trasporti Urbani un ragazzo di trenta anni. Uno che non ha nessuna professionalità specifica nel ramo, ma solo per ….” E l’uomo non finì la frase.
“Per?”
“Non lo so il perché. So solo che è uno senza titoli di studio né niente. Non si capisce perché nel partito non si potesse trovare…che so…un ingegnere… o comunque una persona con una qualsivoglia esperienza nel ramo. So soltanto che è nel Direttivo Giovani del partito di questa città.
Un altro aspetto che Giuliana andava scoprendo, confrontandosi con altri iscritti, era che alcune sedi venivano aperte in tempo di elezioni e poi lasciate chiuse, abbandonate, non attive, nonostante la gente chiedesse: “Ma sono passato nella sede più volte per chiedere delle informazioni ma l’ho trovata sempre chiusa… Volevo tesserarmi…” Chi apriva ed abbandonava codeste sedi era di solito in cima alle liste locali e, ottenuto il posto di Consigliere, comunale o regionale che fosse, non si curava più di tenere aperta la sede. Uno le spiegò che l’affitto costava ed il Partito lasciava a lui la spesa.
“Sedi in franchising…” Venne da pensare a Giuliana. Un investimento momentaneo per avere visibilità e poi….. Spesso veniva il Leader all’inaugurazione…. Ma per aprire queste sedi, sia pure momentanee, serviva il placet di qualche pezzo grosso del partito. Giuliana ed altri capirono che servivano a promuovere certi nomi ed a farli arrivare su una qualsiasi poltrona, poi l’attività finiva lì. E le tessere? Non erano molto interessati alle tessere, se non come “pacchetto” di potere che ciascun pezzo grosso deteneva per fronteggiare altri notabili del partito. I primi nemici, infatti, erano dentro il partito stesso, con lotte sotterranee in cui alcune tessere sparivano e poi ricomparivano in vista dei congressi. In teoria un tesserato poteva votare, ma questo non doveva sfuggire al controllo di un notabile del partito… Perché non esisteva un voto libero: bisognava votare non secondo la singola coscienza, ma secondo quello che voleva il controllore del “pacchetto”…. A volte sfuggiva loro di mano qualcuno ed allora si ricorreva a trucchetti miserabili in prossimità delle date dei congressi: tessere che sparivano, iscrizioni fatte o rinnovate ad inizio anno che non si trovavano, infine non si votava nemmeno per iscritto, ma per acclamazione e, nel caso migliore, per alzata di mano l’unico candidato rimasto in quanto voluto dal Leader…
I delusi scendevano dal calesse che, comunque, andava avanti con i voti di coloro che, da lontano, non vedevano che era un calesse; altri illusi vi salivano per scendervi dopo un po’, lasciandovi sopra gente che pensava solo a sistemarsi.