08/02/2012 Da: La Stampa.it
Bimbo di 8 mesi ucciso a Genova. Il broker Rasero assolto in appello
"Non ha commesso il fatto": Condannato a ventisei anni in primo grado, il compagno della mamma sarà scarcerato."Oggi finisce il mio incubo"
Se non è stato lui, Giovanni Antonio Rasero, chi ha ucciso il piccolo Alessandro Mathas, 8 mesi, morto con la testa massacrata contro un muro nella notte tra il 15 e il 16 marzo 2010? La sentenza della corte d’assise d’appello del tribunale di Genova, pronunziata dopo oltre 5 ore di camera di consiglio, che ha completamente riformato la sentenza di primo grado con la quale Rasero era stato condannato a 26 anni di reclusione per omicidio volontario, pone questa domanda come fondamentale per ottenere giustizia.
Chi è stato? Chi, quella notte, ha preso la testa del piccolo Alessandro e l’ha sbattuta ripetutamente contro il muro, chi ha massacrato un bambino così piccolo, chi non ne ha ascoltato il pianto disperato? Secondo la corte d’assise d’appello non è stato Giovanni Antonio Rasero che con la madre di Alessandro, Katarina Mathas, condivideva il letto e la cocaina. Dopo quella notte orrenda, Rasero e la Mathas si sono accusati reciprocamente e oggi, dopo che la corte d’assise d’appello, in nome della vecchia norma che prevede un’ assoluzione in presenza d’insufficienza di prove, ha restituito la libertà a Rasero è lei che torna sotto la lente d’ingrandimento della giustizia. È e resta indagata, Katerina Mathas, che stasera si dice «allibita» per quell’assoluzione.
Il processo è stato lungo e difficile, pieno di contraddizioni e versioni dei fatti sempre diverse, di accuse reciproche, racconti fatti e smentiti, perizie e consulenze, le accuse di un ex amante alla madre di Alessandro. E dubbi, tanti dubbi. Katerina Mathas era stata per qualche tempo in prigione poi venne scarcerata mentre Rasero rimase in carcere. Eppure, nella sentenza della corte d’assise la madre di Alessandro non ne usciva completamente indenne. Scriveva il giudice: «L’atteggiamento complessivamente inerte e omissivo della Mathas è una conferma indiretta del suo coinvolgimento nella morte del figlio Alessandro». «Aspetteremo le motivazioni della sentenza per valutare cosa fare nei confronti di Katerina Mathas», si limita a dire il procuratore capo facente funzioni di Genova, Vincenzo Scolastico. Che spiega: «Noi abbiamo esercitato l’azione penale, convinti che ci fossero solidi elementi di accusa nei confronti di Rasero. Spetterà ora al Procuratore generale valutare le argomentazioni della Corte d’Assise d’Appello e decidere se impugnare o meno la sentenza». La difesa di Rasero si aspetta il ricorso in Cassazione, ma si dice anche pronta a difendere fino in fondo l’innocenza del giovane. «Negli atti ci sono tutti gli elementi - è la tesi dell’avvocato Luigi Chiappero, che assiste il broker insieme a Andrea Vernazza - per dire che è innocente. Questa è una sentenza importante, non era facile pronunciarla per la grande pressione mediatica sul caso». Ma non è finita: a due anni di distanza la morte del piccolo Ale non ha ancora un colpevole.
Chi è stato? Chi, quella notte, ha preso la testa del piccolo Alessandro e l’ha sbattuta ripetutamente contro il muro, chi ha massacrato un bambino così piccolo, chi non ne ha ascoltato il pianto disperato? Secondo la corte d’assise d’appello non è stato Giovanni Antonio Rasero che con la madre di Alessandro, Katarina Mathas, condivideva il letto e la cocaina. Dopo quella notte orrenda, Rasero e la Mathas si sono accusati reciprocamente e oggi, dopo che la corte d’assise d’appello, in nome della vecchia norma che prevede un’ assoluzione in presenza d’insufficienza di prove, ha restituito la libertà a Rasero è lei che torna sotto la lente d’ingrandimento della giustizia. È e resta indagata, Katerina Mathas, che stasera si dice «allibita» per quell’assoluzione.
Il processo è stato lungo e difficile, pieno di contraddizioni e versioni dei fatti sempre diverse, di accuse reciproche, racconti fatti e smentiti, perizie e consulenze, le accuse di un ex amante alla madre di Alessandro. E dubbi, tanti dubbi. Katerina Mathas era stata per qualche tempo in prigione poi venne scarcerata mentre Rasero rimase in carcere. Eppure, nella sentenza della corte d’assise la madre di Alessandro non ne usciva completamente indenne. Scriveva il giudice: «L’atteggiamento complessivamente inerte e omissivo della Mathas è una conferma indiretta del suo coinvolgimento nella morte del figlio Alessandro». «Aspetteremo le motivazioni della sentenza per valutare cosa fare nei confronti di Katerina Mathas», si limita a dire il procuratore capo facente funzioni di Genova, Vincenzo Scolastico. Che spiega: «Noi abbiamo esercitato l’azione penale, convinti che ci fossero solidi elementi di accusa nei confronti di Rasero. Spetterà ora al Procuratore generale valutare le argomentazioni della Corte d’Assise d’Appello e decidere se impugnare o meno la sentenza». La difesa di Rasero si aspetta il ricorso in Cassazione, ma si dice anche pronta a difendere fino in fondo l’innocenza del giovane. «Negli atti ci sono tutti gli elementi - è la tesi dell’avvocato Luigi Chiappero, che assiste il broker insieme a Andrea Vernazza - per dire che è innocente. Questa è una sentenza importante, non era facile pronunciarla per la grande pressione mediatica sul caso». Ma non è finita: a due anni di distanza la morte del piccolo Ale non ha ancora un colpevole.
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da: Daily blog
Omicidio Matilda: la madre assolta definitivamente dalla cassazione
Di Tiziana Cazziero il 28 ottobre 2011 ore 23 : 24 PM
Elena Romani
Ricorderete tutti il caso della piccola Matilda che morì a soli a 22 mesi all’interno della sua casa di Roasio in provincia di Vercelli. Era il 2 luglio del 2005 quando la piccola vita fu stroncata nel luogo dove sarebbe dovuta essere al sicuro; al momento della morte si trovava in casa con la madre, Elena Romani, ed al fidanzato della donna di quel periodo, Antonio Cangialosi.
Il medico legale asserì che in base agli esiti dell’autopsia, Matilda era deceduta a causa di gravi traumi riportati al fegato, alla milza e a un rene. Le cause della morte furono imputabili a gravi lesioni fisiche, e a ripetute percosse, nello specifico, si ipotizzò che la morte fu decretata da un violento calcio all’addome.
Elena Romani fu imputata di essere la responsabile di quella morte prematura con la precisa accusa di omicidio preterintenzionale; invece Cangialosi, dopo il primo coinvolgimento, fu quasi subito prosciolto da qualsiasi accusa. La madre della piccola che si è sempre proclamata innocente, è già stata assolta due volte da quest’accusa; la prima nel novembre del 2007 dalla Corte d’assise di Novara e la seconda nel 2009 dalla Corte d’assise d’Appello di Torino.
In seguito alla seconda assoluzione era stato avanzato il ricorso della Procura di Torino per ribaltare questo risultato giuridico. In data 27 ottobre 2011, invece è arrivata la terza sentenza proclamata dalla Cassazione, che ha decretato in modo definitivo l’assoluzione della donna, nonché madre della vittima, dalla terribile accusa di essere lei l’assassina di sua figlia.
La corte d’appello di Torino inoltre aveva anche invitato la procura di Vercelli ad inoltrare delle ulteriori indagini sul possibile coinvolgimento dell’uomo – Antonio Cangialosi – sulla morte della piccola Matilda. Oggi con quest’ennesima sentenza di assoluzione, la morte di Matilda rimane senza un colpevole, giustizia non è stata ancora fatta.
Da: Pianeta Mamma
Assolta la mamma di Matilda
Oggi dopo 5 anni di indagini è stata assolta la mamma di Matilda. Ricordate la bambina uccisa 5 anni fa?
Elena Romani, 35 anni, è stata assolta dall'accusa di omicidio della piccola Matilda, uccisa nel luglio 2005, a soli 22 mesi.
Ricorderete tutti il caso della piccola Matilda che morì a soli a 22 mesi all’interno della sua casa di Roasio in provincia di Vercelli. Era il 2 luglio del 2005 quando la piccola vita fu stroncata nel luogo dove sarebbe dovuta essere al sicuro; al momento della morte si trovava in casa con la madre, Elena Romani, ed al fidanzato della donna di quel periodo, Antonio Cangialosi.
Il medico legale asserì che in base agli esiti dell’autopsia, Matilda era deceduta a causa di gravi traumi riportati al fegato, alla milza e a un rene. Le cause della morte furono imputabili a gravi lesioni fisiche, e a ripetute percosse, nello specifico, si ipotizzò che la morte fu decretata da un violento calcio all’addome.
Elena Romani fu imputata di essere la responsabile di quella morte prematura con la precisa accusa di omicidio preterintenzionale; invece Cangialosi, dopo il primo coinvolgimento, fu quasi subito prosciolto da qualsiasi accusa. La madre della piccola che si è sempre proclamata innocente, è già stata assolta due volte da quest’accusa; la prima nel novembre del 2007 dalla Corte d’assise di Novara e la seconda nel 2009 dalla Corte d’assise d’Appello di Torino.
In seguito alla seconda assoluzione era stato avanzato il ricorso della Procura di Torino per ribaltare questo risultato giuridico. In data 27 ottobre 2011, invece è arrivata la terza sentenza proclamata dalla Cassazione, che ha decretato in modo definitivo l’assoluzione della donna, nonché madre della vittima, dalla terribile accusa di essere lei l’assassina di sua figlia.
La corte d’appello di Torino inoltre aveva anche invitato la procura di Vercelli ad inoltrare delle ulteriori indagini sul possibile coinvolgimento dell’uomo – Antonio Cangialosi – sulla morte della piccola Matilda. Oggi con quest’ennesima sentenza di assoluzione, la morte di Matilda rimane senza un colpevole, giustizia non è stata ancora fatta.
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Da: Pianeta Mamma
Matilda |
Oggi dopo 5 anni di indagini è stata assolta la mamma di Matilda. Ricordate la bambina uccisa 5 anni fa?
Elena Romani, 35 anni, è stata assolta dall'accusa di omicidio della piccola Matilda, uccisa nel luglio 2005, a soli 22 mesi.
Per l’opinione pubblica era un secondo caso Cogne: una giovane madre, una bambina uccisa, una scarpa come arma del delitto e una «confessione» carpita all’assassina grazie a un’intercettazione ambientale.
Ma Elena Romani non è Annamaria Franzoni, Roasio non è Cogne. E così, testimone dopo testimone, perizia dopo perizia, le «granitiche» prove iniziali si sono sfaldate una dopo l’altra. La scarpa, una décolleté rosa con una fibbia a mezzaluna, non è compatibile con la ferita, l’intercettazione ambientale è confusa. Anzi, secondo i giudici della Corte d’Assise di Novara, perfettamente spiegabile con quanto poi dichiarato dalla madre. Elena Romani, l’hostess di Legnago accusata di aver ucciso la sua bimba di 22 mesi, Matilda, è stata assolta in primo grado perché le prove erano insufficienti.
Ieri, dopo che il processo d’Appello a Torino ha portato alla luce nuove circostanze, è stata assolta con formula piena. Roasio non è Cogne. Il 2 luglio 2005, il giorno in cui Matilda è stata uccisa, Elena Romani non era sola in casa come Annamaria Franzoni. Accanto a lei c’era il suo compagno dell’epoca, Antonio Cangialosi, un vigilantes conosciuto qualche mese prima in un centro commerciale. Cangialosi, dall’inchiesta, uscì subito: per due volte il sostituto procuratore di Vercelli Antonella Barbera aveva chiesto nei suoi confronti il non luogo a procedere. E per due volte il Gip aveva chiesto, invece, di approfondire.
Poi, a pochi giorni dall’inizio del processo contro Elena Romani, la Cassazione aveva dato ragione alla procura: nessun sospetto su Cangialosi. Ora tutto è cambiato. La Corte d’Assise d’Appello di Torino, presieduta dal giudice Alberto Oggè (tra l’altro lo stesso che ha condannato la Franzoni), non solo ha assolto Elena Romani ma ha predisposto l’invio degli atti alla procura di Vercelli perché si valuti la revoca del proscioglimento nei confronti di Cangialosi. Le indagini, secondo la corte, devono ripartire.
Un successo su tutta la linea per Elena Romani e i suoi due difensori, Tiberio Massironi e Roberto Scheda, che hanno sempre sostenuto che le indagini su Cangialosi erano state chiuse troppo in fretta. «All’epoca si parlava solo del processo Cogne, tutti volevano vedere in Elena Romani l’assassina della sua bambina, nessuno ha indagato su Cangialosi, nemmeno quando si contraddiceva sugli orari». A ribaltare la situazione in Appello sono state le perizie dell’anestesista Elsa Margaria e alla neuropsichiatra Maria Fagiani.
Le due esperte hanno stabilito che la bambina non poteva aver subito quelle ferite (frattura della costa, recisione del rene, spappolamento del fegato e scapsulamento del due organi per la violenza del colpo) senza lamentarsi. Un elemento fondamentale nella ricostruzione che Romani e Cangialosi fanno di quel pomeriggio: la bambina è nella camera da letto quando vomita. La Romani, che dorme sul divano con Cangialosi, si alza per andarla ad accudire.
Poco dopo si sveglia Cangialosi. La Romani gli affida la bambina ed esce per stendere fuori federe e cuscino sporcati da Matilda. Mentre la mamma è fuori, la piccola perde conoscenza. Diventa fredda, bianca, non respira. I due si prodigano, chiamano i soccorsi, ma quando arrivano i medici è ormai troppo tardi. La tesi della procura di Vercelli, ripresa in appello dal Pg Vittorio Nessi che ha chiesto 10 anni per la Romani, è sempre stata una: il colpo, inferto dalla madre, ha avuto i suoi effetti quando la bimba era con Cangialosi, che invece è innocente.
Ma le perizie pongono un dubbio pesante: come ha fatto la bimba, dopo un colpo del genere, a camminare, parlare e venir presa in braccio senza lamentarsi? Per questo la Corte ha chiesto nuove indagini su Cangialosi. Elena Romani, novella assolta, non può fare a meno di lanciare un appello a Cangialosi: «E’ finita. Sii uomo, confessa quel che è successo. Fallo per Matilda». Elena Romani non è Annamaria Franzoni. E Cogne non è Roasio. Le indagini non sono ancora concluse.
Fonte: la stampa
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Mi è terribilmente penoso scrivere di questi argomenti, ma non si può non rilevare quanto sia incapace la Magistratura di condannare e dare almeno giustizia a questa strage di innocenti.
Piccoli fiori umani che andrebbero solo difesi e amati e che, invece, vengono fatti a pezzi nel modo più vigliacco e brutale da adulti preoccupati solo del proprio egoistico vivere, che non tiene conto in nulla della loro piccola presenza, avvertita solo come un fastidio.
Chi uccide delle creature indifese è un mostro. Ho già scritto e ribadisco che le pene previste (e non date in questi due terribili casi) sono un'offesa alla società civile che, con queste pene risibili per reati così ripugnanti, dimostra di non esserlo affatto civile.
Chi ha una coscienza ed una logica si interroga con sconcerto su come sia possibile che una creatura in tenerissima età, affidata a chi ne ha la responsabilità legale, la madre, venga uccisa, massacrata di botte e che le madri siano assolte!! Madri presenti nei luoghi dei misfatti! Non lontane al lavoro!
Tutti innocenti: loro, le custodi legali di quelle povere creature, ed i loro occasionali compagni!
Non si può non dire con sarcastica amarezza: SONO MORTI DA SOLI ALLORA!!! Le persone presenti sono solo state a guardare un evento soprannaturale che spezzava le ossa tenere e gli organi di quei sfortunati bambini!!
Una Giustizia che non riesce a risolvere nemmeno questi casi plateali è un FALLIMENTO DI SISTEMA GIUDIZIARIO.
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