Una mia carissima amica, che in gioventù ha conosciuto Massimo Fini, giornalista e scrittore il cui pensiero apprezzo, mi segnala questo articolo da lui scritto sul Romanzo. Mi trova d'accordo su tutto: è vero, tutti scrivono del "loro ombelico", ma forse a volte, non sempre, attraverso la propria esperienza vissuta, attraverso persone incontrate, si può costruire una storia che trasmette un messaggio eterno. La realtà è così ricca di stimoli, anche grazie alla velocità degli scambi per tutto il Globo, cosa che non avveniva all'epoca del Manzoni, che si rischia di inventare un Romanzo che è al di sotto della realtà, che ormai la supera anche in fantasia!
La morte del romanzo ha ucciso anche la critica letteraria
Nell'amibito del Salone del Libro di Torino a
Uno Mattina mi hanno chiesto di parlare della crisi della critica letteraria. Ho
risposto che non esiste più una critica letteraria, per la semplice ragione che
non esiste più la letteratura se per tale si intende il romanzo. Per un paio di
secoli il romanzo è stato la forma di espressione della borghesia. Scomparsa la
borghesia come classe sociale dominante in Italia (all’incirca negli anni
Sessanta) lentamente è morto anche il romanzo. Gli ultimi che ci hanno provato a
scrivere un vero romanzo sono stati (semplifico naturalmente) Stefano D’Arrigo
ed Elsa Morante. Il povero D’Arrigo ci ha messo vent’anni, come Manzoni per i
Promessi Sposi, per scrivere il suo ambizioso Horcynus Orca, con fatiche
inenarrabili, ma il romanzo, pubblicato nel 1975, fu un clamoroso flop non solo
come vendite ma come risultato. Horcynus Orca non è rimasto nella storia della
letteratura italiana. La storia (1970) di Elsa Morante è andata meglio come
vendite (anche per il gran battage pubblicitario che gli fu costruito intorno)
ma è un romanzo irrisolto e molto lontano dalla felicità espressiva dell’Isola
di Arturo. Insomma se non ci sono più i Buddenbrook, romanzo giovanile di Thomas
Mann, non si può scrivere dei Buddenbrook. Vanno semmai i gialli svedesi, cinesi
o quelli dei nostri Camilleri e Riondillo; ma sono più che altro un pretesto per
delle descrizioni d’ambiente. Sarebbe difficile definirli "letteratura" in senso
proprio. Oggi al posto della borghesia, classe strutturata, c’è un ceto medio
indifferenziato i cui scrittori, per dirla col Gaber di "Trani a gogò", "parlano
di sè fra sè e sè". Non è certo un caso che in testa alla classifica della
Narrativa ci sia "Fai bei sogni" di Massimo Gramellini, che è un’autobiografia.
Ricevo molti dattiloscritti di ragazzi. A volte non sono nemmeno scritti male,
ma gli autori parlano esclusivamente del loro ombelico, senza nemmeno il
tentativo di una mediazione artistica, di costruire personaggi anche al di fuori
del proprio Io. A scrivere della propria vita siam buoni tutti (tutti abbiamo
una vita). E infatti oggi scrivono tutti. La crisi del romanzo e della
letteratura si inserisce nella più generale crisi dell’editoria. I dati
presentati quest’anno da Nielsen sono eloquenti: il fatturato è diminuito
dell’11,8% da 313 a 276 milioni di euro e le copie vendute da 23,7 milioni a
21,1. Per capire com’è conciata l’editoria italiana basta entrare in uno di quei
megastore che sono diventate le librerie Feltrinelli. Somigliano a uno spazio
dell’Ikea o a un outlet: vi si vende di tutto incidentalmente anche dei libri.
Che libri: dominano i personaggi dello star-system (in questo momento Alessandro
Del Piero, Luciano Ligabue, Marco Paolini) o i manuali che suggeriscono diete o
ricette di cucina (la dieta Dukan, Dimagrire con i perché, I menù di Benedetta).
Sono lettori "una tantum" che comprano libri come in autogrill, non sapendo che
altro fare, si prendono l’orsacchiotto per il bambino. I cosiddetti "lettori
forti", quelli da 50 o 100 volumi l’anno, sono in costante diminuzione, un po’
per moria, un po’ perché sono refrattari al caos dei megastore e molto per
l’indecenza dell’offerta. Paradossalmente l’unico libro di letteratura, anzi di
grande letteratura, primo in classifica questa settimana sta nella sezione per i
ragazzi perché a Saint-Exupéry saltò il ticchio di scriver il Piccolo
Principe.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 18 maggio 2012
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