DA: Il Corriere della Sera.it 31 dicembre 2011
Se il cane uccide, il padrone è un killer
La sentenza conferma la condanna di duplice omicidio colposo per un proprietario. I suoi cani avevano ucciso due uomini
MILANO - Se il cane toglie la vita a qualcuno
il padrone è responsabile. A dirlo è una sentenza della Cassazione che fa ricadere le responsabilità degli atti di un animale direttamente sul padrone.
LESIONI E MORSI - La Quarta sezione penale con la sentenza 48429 ha dichiarato inammissibile il ricorso di G. M., 40enne pugliese, e, convalidando la condanna del padrone per duplice omicidio colposo stabilita per due casi di decesso causati dai suoi cani, ha fatto notare che
«non può essere messo in discussione che la morte dei due uomini è riconducibile ai due cani di proprietà del ricorrente». A dimostrarlo «la presenza sul corpo delle vittime di plurime lesioni da morsi di cane in punti vitali e le concordi testimonianze delle persone, compresi i carabinieri intervenuti sul posto, che hanno assistito alla parte finale dell'aggressione, quando gli animali stavano ancora infierendo» sui due malcapitati.
ATTEGGIAMENTO AGGRESSIVO - Ma non è finita. Per la Suprema Corte, ha pesato
«l'atteggiamento palesemente aggressivo tenuto dai cani quando, rifugiatisi nell'abitazione dell'imputato, dopo il fatto, manifestarono palese aggressività anche nei confronti di chiunque tentasse di avvicinarsi a loro, compreso il padrone».
E a nulla è valso il tentativo dell'imputato di discolparsi dicendo che non poteva essere a lui attribuita la responsabilità della morte dei due uomini visto che nella notte ignoti avevano lasciato il cancello della sua villa aperto, favorendo così l'uscita dei due feroci cani. Insomma, conclude la Cassazione, «è accertata la colpa» di G.M.,
il padrone dei cani «per la mancata adozione delle cautele e sussistente il rapporto di causalità tra la sua condotta e l'evento verificatosi». Quanto al
presunto tentativo di furto da parte di ignoti, la Suprema Corte si limita a rilevare che il proprietario dei cani, presentatosi dai carabinieri per denunciare la scomparsa dei cani, «non aveva fatto alcun cenno» del fatto.
Dunque i cani erano usciti dal cancello... Come abbia fatto il lettore ad ipotizzare che i due sventurati sbranati dai cani-belva potessero essere due ladri, visto che nessuno si è introdotto nello spazio che i cani dovevano difendere, ma sono loro che ne sono usciti, come dichiarato dallo stesso padrone nel tentativo di giustificarsi per la mancata custodia, è cosa che lascia un senso di desolazione per la volontà di molti di NON VEDERE la realtà anche quando c'è una rara sentenza che fa giustizia.
Ho notato spesso una partigianeria ottusa in questi tragici casi, in cui dei dissennati si gettano in difesa dei cani e dei padroni che li detengono in nome di un mal riposto amore per i cani.
Ho sempre praticato i cani perché avevo un padre cacciatore. Era un cacciatore alla Turgenev: amava camminare da solo per ore in zone isolate con il suo cane che gli correva intorno; aveva con esso un rapporto fra esseri viventi pensanti, anche se in modo diverso, appartenendo ciascuno ad una differente specie animale.
Passavo con i cani di mio padre il periodo estivo, non potendo tenerli in città, chiusi in un appartamento avrebbero sofferto. Ho molti aneddoti su questa esperienza di vita con i cani di mio padre. Ho imparato da bambina che essi sono tutti diversi, come gli uomini, alcuni possono essere simili, come gli uomini, ma ognuno ha la propria personalità, il proprio carattere.
Racconterò solo un aneddoto perché è vivo nel ricordo e commovente, ma ne avrei tanti da raccontare...
Ero in casa, seduta al tavolo del tinello, e piangevo silenziosamente per un dolore. Senza singhiozzi le lacrime mi scendevano silenziose sul viso quando, da sotto il tavolo dove, da me dimenticato, era Bobby, o forse era Bricco suo figlio, non ricordo più bene perché avevano lo stesso mantello color marrone, sentii un lieve guaire, di quelli che i cani fanno a bocca chiusa, solo con la gola e, subito dopo, qualcosa di caldo si posò sulle mie ginocchia spuntando da sotto il tavolo: il cane aveva posto il sotto del suo muso sulle mie ginocchia e guaendo dolcemente mi guardò con i suoi occhi intelligenti e buoni. La sorpresa per quel suo sentire silenzioso il mio dolore e parteciparvi mi commosse e mi consolò.
In seguito ho avuto cani miei, non da caccia, ma da difesa e compagnia: pastori tedeschi o belga. Delle bestie umane me li hanno avvelenati e l'ultimo fatto sparire e nemmeno la denuncia fatta ai Carabinieri ce lo ha fatto ritrovare.
Amo dunque i cani e li rispetto nella loro natura. Non ho frustrazioni da spostare su di loro rendendoli aggressivi, né vanità di sfoggiarli come cose... Ora, dopo la sparizione dell'ultimo, non ne ho voluti più per non soffrire.
Una donna sciocca, che ha l'incarico di dar da mangiare a cani del mio circondario, lasciati spesso da soli, appartenenti ad una razza inserita nel decreto dell'ex-ministro Sirchia come "destinataria di una particolare custodia e cautela" da parte dei detentori, ha detto con aria supponente "che i cani hanno diritto di abbaiare come e quanto vogliono" perché sono cani. L'atteggiamento saccente dell'ignara presuntuosa nasce proprio dalla mancanza di umiltà nel valutare sia i cani sia le persone. La superficialità porta questi individui a dare lezioni senza sapere e conoscere l'esperienza di chi hanno davanti. Amare i cani non vuol dire ammettere come giusto tutto quello che fanno. Sarebbe come dire che, amando gli esseri umani, si accettino i pedofili, gli assassini, gli stupratori e via dicendo.
Cani che assordano con i loro latrati per ore ed ore sono spesso cani resi disperati dai loro detentori. Cani feroci possono esserlo perché frutto di una selezione razziale operata dall'uomo, in aggiunta ad addestramenti dissennati all'attacco in nome di una ingiustificabile difesa. I miei sfortunati cani da guardia si limitavano ad abbaiare avvertendo se c'era una presenza estranea. Mai hanno latrato per ore. Così i cani di mio padre, che abbaiavano solo quando avevano stanato la lepre...
Dunque bene ha fatto la Giustizia ad emettere la sentenza di cui parla l'articolo: è una rara sentenza saggia che, comunque, non ripaga i due uomini del fatto di non esistere più e di aver fatto una morte atroce.