Questa è la lettera che ho inviato alla segreteria dell'Italia dei Valori annunciando e spiegando le mie dimissioni dal Dipartimente Economia e Finanze e la mia rinuncia alla tessera del partito.
Caro Antonio
[Di Pietro, ndr] e cari amici,
scrivo per manifestare tutto il mio disagio. Vedo che si tratta Monti come se fosse Berlusconi e questo proprio non riesco a sopportarlo.
Sono entrato in IDV e ho accettato di lavorare nel Dipartimento Economia e Finanze per varie ragioni: IDV mi sembrava allora una forza di stampo liberale, che intendeva offrire all’Italia un progetto riformista, moderno, non ideologico. La giusta enfasi sui temi della legalità poteva associarsi a quelli del libero mercato, della meritocrazia, della riforma del capitalismo italiano, che è sempre stato chiuso e collusivo.
Nel mio intervento al Congresso nazionale avevo sostenuto la necessità di posizionarci al centro dello schieramento, per occupare un’area preziosa, quella del riformismo liberale, per raccogliere i voti del ceto medio e della piccola impresa. Suggerivo di diventare un moderno “partito d’azione di massa”. Se avessimo seguito quella strada, che anche altri nel partito condividono, oggi saremmo protagonisti della partita politica. Nell’ultimo anno invece la strada seguita è stata quella della protesta un po’ estremistica e spesso populistica.
L’Italia nel frattempo è precipitata in una crisi catastrofica dalla quale si può forse uscire solo con il rigore fiscale e con una profonda opera di riforma dei mercati e dei comportamenti individuali. È il momento della responsabilità e dei sacrifici. Si tratta in queste ore di avere a cuore le sorti del paese. Avevamo provato a immaginare un’alternativa di sola sinistra: con Vendola e Bersani. Ma noi in quell’alleanza avremmo dovuto fare la parte dei difensori del rigore, delle regole, del merito, del mercato, dei valori liberali. Chi sosteneva la socialdemocrazia o l’operaismo ottocentesco già c’era, in quello schieramento a tre. Non è andata così. E la foto di Vasto è stata un tragico canto del cigno.
Di fronte al pericolo di catastrofe, fortunatamente, si è arrivati alla caduta di Berlusconi e alla nascita del governo Monti. IDV, tuttavia, si è fatta trovare del tutto impreparata a questo appuntamento. L’immagine che diamo ogni giorno è quella di un partito che non sa che strada prendere. Viviamo alla giornata. Usiamo una terminologia contro Monti e ora anche contro la Corte Costituzionale e contro il Presidente della Repubblica che davvero è sconvolgente. Li accusiamo dei crimini peggiori senza renderci conto che Monti è l’unica e ultima speranza per evitare il fallimento dello Stato e la miseria di massa e che la Corte Costituzionale ha ripetutamente dimostrato in questi anni di essere un baluardo della democrazia. Napolitano del resto è uno dei migliori presidenti della Repubblica di tutto il dopoguerra. Al mattino lasciamo credere che siamo pronti a difendere i tassisti e la sera invece ci ritroviamo su posizioni liberali.
Ammetto di essere inesperto in campo politico e forse in questo modo si possono accrescere i voti alle prossime elezioni. Ma aumentare il proprio peso politico cavalcando la rabbia repressa nel paese è, a mio avviso, una strategia fallimentare. Il risultato è che ora siamo isolati da tutti. Abbiamo rotto l’asse con il PD. Non possiamo presentarci come forza matura, capace di governare il Paese. Ma finiamo per competere per i voti in un'area sovraffollata, con Vendola, Rifondaroli più o meno rifatti, Verdi e Grillini. Tra questi molti (soprattutto i grillini) sono molto più credibili come “arruffapopolo”. Per molti anni ancora l’Italia sarà sottoposta al vaglio continuo dei mercati finanziari internazionali. E purtroppo ho molti dubbi sul fatto che IDV sia apprezzata da quei mercati, per la sua moderazione e per il suo senso di responsabilità. Abbiamo completamente gettato alle ortiche la possibilità di costruire una forza di sinistra liberale-azionista, che era secondo me la più sensata strategia di lungo periodo che si poteva seguire (per il bene del nostro partito, oltre che per quello dell’Italia, cui tengo molto).
Avevamo annunciato una svolta, avevamo detto che volevamo costruire una grande forza di governo. Ma per fare questo bisognava:
a) Avere senso di responsabilità e idee credibili.
b) Rinnovare il partito e reclutare persone competenti, capaci di rendere credibile la svolta annunciata.
Avremmo dovuto ricostruire la nostra credibilità davanti ai ceti produttivi e moderati, tenuto anche conto che dalle nostre fila sono usciti personaggi come Scilipoti e Razzi. E dovremmo renderci affidabili agli occhi di tutti gli italiani non solo di una minoranza urlante. È con grande dolore che constato il fatto che non siamo riusciti a coniugare le idee liberali e moderate con le posizioni di protesta. È colpa anche mia. Per me si tratta di una vera sconfitta personale: avevo aderito a IDV con grande entusiasmo e per la prima volta avevo deciso di impegnarmi in politica perché mi rassicurava l’onestà del ceto dirigente di IDV.
Ma oramai mi sembra evidente che siamo su strade troppo distanti. Non credo più agli annunci cui poi fa seguito sempre la solita pratica. La direzione è cambiata rispetto a Vasto del 2009 quando per la prima volta io sono salito sul palco e ho parlato al fianco di imprenditori ed altri economisti. La posizione attuale del partito non è quella decisa al Congresso nazionale. Ci si è attestati su posizioni di radicalismo di vecchio stampo, con una sola logica elettorale. Io non sono più disposto ad assistere alla continua oscillazione tra un liberalismo virtuale e un concreto estremismo populista. La mia storia personale mi impedisce di restare in silenzio. Sono abituato per formazione a dire sempre quello che penso. Ho la netta sensazione che anche questa mia condotta non sia apprezzata.
Le numerose volte che ho provato a organizzare un convegno con i piccoli imprenditori o con gli artigiani mi sono sentito dire che “IDV è il partito degli estremisti oltranzisti” e quindi nessuno era disposto a venire. In varie occasioni ho pensato che fare politica significhi anche rispettare la linea del partito ma penso che ora siamo a un punto di non ritorno. Ho pensato di impegnarmi in politica per provare a fare qualcosa di bene per l’Italia e per i giovani; non per ambizione personale. E comunque le idee contano molto di più del tornaconto personale. Non mi spaventa quindi rinunciare a una possibile candidatura al Parlamento. Ho già un lavoro che mi da soddisfazioni.
Mi dimetto pertanto dall’incarico di Responsabile del Dipartimento Economia e Finanze; e restituisco la tessera del partito. Non ho alcuna intenzione di sollevare scontri sanguinosi. Vorrei uscire di scena senza recriminazioni e senza rancore. La questione è politica e non personale, vorrei che questo fosse chiaro.
Spero di mantenere, con tutti voi, rapporti di stima e di amicizia personale.
Un caro saluto,
Sandro Trento
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Si è laureato in Economia e commercio presso “La Sapienza” di Roma (1986); ha conseguito un M.A. in economia presso la Northwestern University (1990); è stato visiting scholar presso la Stanford University (1995-1996). Dal 1990 al 2004 ha svolto attività di ricerca presso il Servizio Studi della Banca d’Italia, dove è stato anche Capo dell’Ufficio Analisi settoriali e territoriali e poi Condirettore. Dal 2004 è stato Capo della Divisione Analisi e studi sul sistema del Servizio Concorrenza, Normativa e affari generali della Banca d’Italia. Dal 2006 è Direttore del Centro Studi Confindustria. È autore di numerosi articoli e saggi su temi di economia industriale, regolazione, antitrust, corporate governance. Nel 2005 ha pubblicato Economia e politica della concorrenza. Antitrust e regolamentazione, Roma, Carocci, seconda edizione (con C. Bentivogli); e Proprietà e controllo delle imprese in Italia. Alle radici delle difficoltà competitive della nostra industria, Bologna, il Mulino (con M. Bianchi, M. Bianco, S. Giacomelli e A. Pacces).
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Siamo in tanti ad essere delusi da Italia dei Valori. Da non confondere con chi se ne va perché pensava di ottenere subito una poltrona: quelli che erano entrati per approfittarsene sono un genere facile da vedere. Si agitano, cercano di avere visibilità senza particolari meriti... Sono artificiali ed artificiosi... Credo che questo professore di Economia fosse spinto dalla voglia di impegnarsi e credeva che fosse ... amore...invece era un "calesse".
Un calesse da cui gente sale e gente scende: ho visto gente che dichiarava alle riunioni che proveniva da Forza Italia, che poi metteva la moglie in lista alle regionali... Per fortuna senza riuscire a farla eleggere... Ne ho viste di tutti i colori. Speravo, come tutti, che tante cose Antonio Di Pietro non le sapesse... Ma mi sono dovuta arrendere che è impossibile che non le sappia, anche perché la gente gli scrive e gliele dice.
Chissà qual'è il suo disegno finale, forse andare al potere comunque e con chiunque: con riciclati di tutte le risme... Continuando a parlare di una trasparenza che non c'è, dei partiti che mettono i loro uomini nei C.d.A. delle società partecipate dagli Enti Locali, e poi lo fa pure lui e per di più questi uomini di IdV, che lui si tiene, fanno tutto meno che gli interessi della comunità; continuando a parlare di Coordinatori eletti dalla base... quando la base ne ha viste di tutti i colori ai Congressi: date apprese all'ultimo minuto, delegati che non erano delegati ma poi hanno potuto votare lo stesso, tessere prese ad inizio anno che in prossimità dei congressi sparivano per impedirti di votare... poi riapparivano... Mi fermo qui. Non provasse a negare lo staff ancora in auge a IdV, perché ho tante persone deluse, che si sono allontanate in silenzio, altre con lettere di dimissioni, che sono testimoni del fatto che quel che scrivo, purtroppo, è vero.
Dov'è l'anima di questo partito Di Pietro? Mi dicevano: "E' un partito come tutti gli altri." Ed io non ci credevo. Sono come S. Tommaso, ho toccato con mano e ci ho dovuto credere per forza.