Confesso che provo un certo ribrezzo a pubblicare le foto di questi due mostri su questo blog ma, se voglio parlare di come per certi crimini la Giustizia Vera sia impossibile, devo corredare il post con le immagini di questi due umani a riprova che l'aspetto esteriore non dice molto dell'orrore interiore che essi rappresentano.
Da: La Gazzetta di Parma - 15 ottobre 2008
IL CASO
Da ieri Ferdinando Carretta è proprietario dell'appartamento di via Rimini 8.
L'appartamento dove diciannove anni fa uccise madre, padre e fratello. E dopo la
firma davanti al notaio, Carretta è stato intervistato dalla Gazzetta di
Parma.
di Georgia Azzali
Non è più il Ferdinando che si
torturava le tempie davanti alle telecamere. Pare sereno. Ha voglia di futuro.
Sono passati dieci anni da quando Carretta pronunciò in tv la sua verità più
profonda. Diciannove da quella sera in cui il dolore si trasformò in follia. Da
quando sparò al padre, alla madre e al fratello nella casa di via Rimini 8.
Riparte da quell'angolo di disperazione per riprovare a sfidare la vita. Ora c'è
la sua firma sotto quell'appartamento: la casa della tragedia è da ieri
pomeriggio ufficialmente sua.
Perché ha scelto l'appartamento che
rischia di essere ricordato per sempre come quello della strage?
«A dire
il vero, fino alla firma di oggi (ieri, ndr), ho avuto molti dubbi. Ci ho
ripensato più volte, perché so che il pericolo è quello che sia sempre collegato
a ciò che è accaduto. Ma poi ho deciso di mantenere inalterato l'accordo, perché
già da alcuni mesi avevo raggiunto un'intesa con mia zia Paola: a me la casa di
via Rimini, a lei quella di via Campioni».
Ma ciò significa che
tornerà a vivere in quella casa? «No, non me la sento. Per ora, visto
che l'appartamento è affittato, riscuoterò i canoni. Poi, è probabile che lo
venda. Comunque, al di là della casa di via Rimini, non ho intenzione di tornare
a vivere a Parma».
E dove cercherà di ricominciare?
«Penso di
rimanere a Forlì. Da più di due anni sono in comunità, ma al mattino lavoro come
impiegato in una cooperativa nel centro della città. Anche grazie agli appoggi
della comunità, spero di poter trovare un lavoro a tempo pieno».
Ha già avuto alcune offerte?
«Sì, qualcosa pare si stia muovendo.
E se poi, un domani, vendessi la casa, potrei riuscire ad avere una mia vita
indipendente».
Ma come immagina il suo futuro?
«Con un lavoro
stabile, ma anche con una famiglia: è il mio desiderio».
Famiglia. E
anche figli? «Sì, certo, quando avrò trovato la persona giusta con cui poter
costruire una famiglia. Per ora, non è ancora il momento. Sono uscito con alcune
ragazze, ma non ho la fidanzata, se è questo che interessa».
Per ora,
però, è ancora in libertà vigilata. Quali vincoli ha?«Non posso fare ciò
che voglio, anche se c'è chi pensa il contrario. Devo rispettare gli orari
imposti dalla comunità. Posso lavorare, naturalmente, ma se desidero
allontanarmi dalla città o assentarmi negli orari non previsti, devo chiedere il
permesso. E, la notte, devo dormire in comunità».
Una situazione
destinata a cambiare?«Sì, mi auguro di poter ottenere la libertà
definitiva in tempi brevi. D'altra parte, prima della comunità, avevo già
trascorso sette anni e mezzo in ospedale psichiatrico giudiziario. E non ho mai
dato problemi. Ho fatto il mio percorso di riabilitazione, come era giusto che
fosse, ma ora mi sento pronto ad affrontare la vita».
Ha anche
riallacciato i rapporti con le sue zie. E' soddisfatto?
«Certo. Sono
passati anni, ma sono molto contento di averle ritrovate dopo tutto quello che è
successo».
Pensa spesso ai suoi familiari? «Soprattutto in questi ultimi mesi,
quando ho dovuto affrontare la questione dell'eredità, il pensiero era costante.
Ma quello che è stato non potrà mai essere cancellato».
Che cosa si rimprovera di più?
«Continuo a pensare al fatto che la
tragedia poteva essere evitata. Se io mi fossi curato, quello che è successo non
sarebbe mai accaduto. E' un pensiero costante. Ma c'è anche un altro peso enorme
con cui continuo a fare i conti».
Quale?
«Il fatto che i
corpi di mio padre, mia madre e mio fratello non siano mai stati ritrovati».
Da: TGCom 24 - Panorama.it
La casa dell’orrore torna all’uomo che di quell’orrore fu protagonista.
Ferdinando Carretta ha ottenuto in eredità l’abitazione in cui sterminò l’intera
famiglia. L’uomo nell’agosto del 1989 uccise padre, madre e fratello e nel ’99
fu assolto perché incapace di intendere e volere. Tornò libero dopo un periodo
trascorso in ospedale psichiatrico e in comunità. Lo
racconta la Gazzetta di Parma, precisando che
probabilmente non tornerà mai più a viverci. Carretta ha infatti trovato un
accordo con le zie, chiudendo così la causa civile che si era innescata proprio
a proposito dell’eredità della famiglia Carretta.
La casa comprata dal padre di Ferdinando nel 1973, del valore di circa
300mila euro, è stata assegnata a Carretta in seguito a un accordo firmato con
le zie Paola Carretta, Adriana e Carla Ghezzi. Al nipote andranno anche circa
45mila euro in contanti, che sommati al valore della casa di via Rimini
compongono un patrimonio di circa 350mila euro. L’intesa con le zie giunge dopo
6 anni di battaglie legali tra l’uomo e la zia Paola, sorella del padre, che gli
fece causa per ottenere l’eredità. Nel 2005, infatti, il giudice Giacomo Cicciò
assegnò l’intero patrimonio (di cui fa parte anche un altro appartamento in via
Campioni del valore di circa 200mila euro) alle zie, in considerazione del fatto
che l’eredità era caduta “in prescrizione”, erano cioè passati 10 anni senza che
Ferdinando Carretta l’accettasse formalmente. Un pronunciamento contro il quale
Carretta fece ricorso, ma che oggi è stato ritirato in seguito all’accordo
raggiunto.
Una conclusione che, al di là del paradosso evidente, corrisponde a ciò che
prevede la legge: è vero che l’uomo uccise i suoi familiari, ma in quanto
ritenuto incapace di intendere e di volere al momento del triplice omicidio non
è stato condannato, venendo invece avviato a un percorso terapeutico prima
nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere e poi in
comunità. E così non ha perso il diritto civile all’eredità dei familiari, che
nel frattempo sembrava destinata alle zie.
Dopo il triplice omicidio era scomparso per quasi 10 anni e dunque sembrava
imminente la dichiarazione di morte presunta: e invece venne individuato e poi
arrestato a Londra. Ammise anche le proprie responsabilità e indicò in una cava
della provincia di Parma il luogo della sepoltura dei familiari. Ma i corpi,
nonostante minuziose ricerche,
non vennero mai trovati.
Redazione - Giovedì 29 Maggio 2008
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Alla domanda: "Come ha fatto ad ereditare?" Risponde bene l'articolo: "....è vero che l’uomo uccise i suoi familiari, ma in quanto ritenuto incapace di intendere e di volere al momento del triplice omicidio non è stato condannato, venendo invece avviato a un percorso terapeutico prima nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere e poi in comunità."
Questa è l'unica ragione per cui non si è potuto applicare quello che il Codice Civile stabilisce in fatto di successioni ereditarie al Titolo I, Capo III, art. n. 463 Casi di indegnità: "E' escluso dalla successione come indegno: 1) chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta....."
Dunque, essendo pazzo, ha potuto comunque ereditare e se una parte di quella amara eredità è andata anche alla sorella del padre ucciso e alle sorelle della madre uccisa è solo perché egli, nei 10 anni successivi all'accertamento della morte dei suoi tre familiari, non ha reclamato l'eredità, altrimenti, essendo pazzo, quindi non punibile, gli sarebbe andata tutta.
Le povere zie, travolte da questa immane tragedia, hanno concesso un accordo quando l'assassino si è risvegliato tardivamente a reclamare i suoi interessi.
Ora si avverte che i Codici non fanno mai Vera Giustizia. La Ragione e il Sentimento di ciascuno lo avvertono.
Gli psichiatri stabiliscono che costui è pazzo, secondo i parametri convenzionali del DSM (Diagnostic
and Statistical Manual of Mental Disorders) ma di certo questo Ferdinando Carretta ha ucciso senza lasciare tracce, ha falsificato la firma del fratello su un assegno ingannando la banca e riscuotendo la cifra che gli ha consentito di fare un biglietto aereo per la Gran Bretagna e di sopperire alle sue prime necessità, ha trovato in quel paese una abitazione ed un lavoro ed è vissuto lì senza che nessuno lo rintracciasse o lo vedesse fuori di testa per quasi dieci anni!!
Il camper con cui ha detto poi di aver trasportato i poveri corpi è stato ritrovato perfettamente parcheggiato a Milano e pulito. Solo dopo che ha confessato sono riusciti con il luminol a trovare rare tracce di sangue nel bagno della casa dove mise i corpi prima di trasportarli nella discarica dove, dopo 10 anni, non c'è da stupirsi se non hanno trovato più nulla!!
Quello che è riuscito a fare dimostra una logica, un pensiero lucido senza sbavature, in cui da perfetto criminale ha pensato solo a coprirsi molto bene dalle conseguenze del proprio orrido misfatto.
Gli psichiatri lo hanno dichiarato pazzo completamente, quindi non punibile, solo da curare e custodire in un manicomio criminale.
Ma come ha fatto un malato mentale così grave a fare perfettamente cose che un sano avrebbe sbagliato magari più volte?
1) Ha guidato e parcheggiato perfettamente un camper;
2) ha falsificato perfettamente una firma su un assegno senza mostrare segni di follia davanti allo sportello della banca, senza destare sospetti negli impiegati;
3) ha pulito perfettamente la casa ed il camper;
4) si è disfatto della pistola che era del padre e con cui ha ucciso in modo che non la trovasse più nessuno;
5) ha fatto un biglietto aereo programmando un viaggio;
6) ha saputo inserirsi tanto da sopravvivere per 10 anni in un paese straniero...
Ma allora la pazzia cos'è? Non dovrebbe essere prima di tutto un distacco dalla realtà? Questo individuo mi sembra che si è saputo muovere molto bene nel mondo reale.
Debbo confessare che sono disgustata dalla Giustizia italiana ma, in questi giorni, assistiamo al processo di un altro mostro in un Paese diverso dal nostro, un Paese che spesso diciamo più civile del nostro: la Norvegia.
Da: Cronaca -Nera.it
di Andrea
Minotti
Finalmente la
controperizia ha capovolto la precedente valutazione del trentaduenne Anders
Behring Breivik, che da psicotico, schizofrenico e paranoide, è stato ritenuto
ora "sano di mente", quindi penalmente responsabile del
massacro del 22 luglio scorso, quando ha ucciso 77 giovani
laburisti sull'isola di Utoya e Oslo.
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I giovani uccisi da Anders Behring Breivik |
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Anders Behring Breivik sorride parlando con uno dei suoi avvocati in Tribunale durante il processo
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Ecco la mia riflessione: il DSM, che ha valore internazionale, va ad interpretazione?
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Da: Yahoo notizie:
Se dichiarato colpevole e sano di mente
Breivik, rischia una pena massima di
21 anni, ma potrebbe essere detenuto sino alla fine dei suoi giorni se
considerato ancora pericoloso. Se dichiarato incapace di intendere, verrebbe
invece rinchiuso a tempo indeterminato in un istituto psichiatrico con revisioni
periodiche.
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21 anni divisi per 77 giovani morti quanto fanno a morto? Fate voi il calcolo.
Mi dispiace ma la Giustizia in Norvegia è anche peggio che in Italia! Forse va rivisto il concetto di CIVILTA'!
Civiltà, per me, è GIUSTIZIA PER LE VITTIME che, anche con l'ergastolo, non rende mai abbastanza il danno di chi NON VIVE PIU' e di chi AMA CHI NON VIVE PIU' che, per sempre, ha la vita rovinata.