Questo mese ho letto tre libri, tre storie umane diverse sulle quali riflettere banalmente su come la sorte sia differente per ciascuno.
Il più fortunato è stato Carlo Verdone che, con il suo libro "La casa sopra i portici", ci racconta di una bella infanzia felice, ricca di affetti, di cultura, di bella gente che riempiva la sua confortevole abitazione.
Confrontando la sua fortunata sorte con quelle di Franco ed Andrea Antonello e di Massimo Gramellini, protagonisti degli altri due libri letti, Carlo diventa quasi antipatico per la sua fortuna; però poi rifletto che con la sua comicità intelligente ha gratificato sé stesso ed ha dato a me, ed a mille altri, momenti di allegria, e gli voglio bene lo stesso.
C'è tanto bisogno di gente come Carlo Verdone per sollevare l'umore, spesso depresso da un'umanità squallida che, purtroppo, decide delle nostre vite e del futuro di questo Paese.
Del libro di Carlo ho già scritto in un precedente post, di quello scritto da Fulvio Ervas su Franco ed Andrea Antonello no.
"Se ti abbraccio non aver paura" è il titolo scelto per questo racconto del lungo viaggio organizzato da un padre coraggioso, innamorato di suo figlio Andrea autistico, che non si arrende ad una malattia ancora per molti versi misteriosa per la Scienza e, dopo anni di ogni cura e tentativo di terapia, porta con sé il figlio adolescente in un lungo viaggio attraverso parte del continente americano. Il titolo viene dall'abitudine incoercibile di Andrea di abbracciare tutti, anche gli sconosciuti. E' il suo modo di stabilire un contatto, un modo però che non è capito da tutti in quanto ormai Andrea è "uno spilungone" e la maggior parte degli umani ha sviluppato altri sistemi di contatto, meno intimi, dunque l'agire di Andrea è fuori dagli schemi rituali della maggioranza di noi, anche sé, girando il mondo, scopriamo tanti modi di relazionarsi nelle varie culture, solo che, in quel caso, ci adeguiamo senza scomporci. Insomma, come al solito, è questione di numeri: la maggioranza vince e chi si comporta in modo differente è un "diverso". Ho ammirato Franco, ed ho capito la sua forza ed il suo dolore, ma mi commuove quello che scrive Andrea, con i suoi rituali sul computer, in risposta alle domande poste dal padre usando la stessa tastiera:
Andrea: Agitato
Franco: Perché sei agitato?
Andrea: Stanco di non controllare Andrea. Crisi fuori controllo. Chiedo scusa a tutti Andrea sta male di non controllo capace. Ciao papà.
Franco: Aspetta Andre. Dobbiamo lavorare sul controllo lo sai. Prova a dirmi perché schiacci la pancia a tutti.
Andrea: Sento la pancia di persone per conoscere chi mi sta vicino. Mi presento alle persone toccandole e sto tranquillo.
Franco: Però lo sai che alla gente dà fastidio.
Andrea: Sono cosciente ma se Andrea non tocca vedo confusione e KO per Andrea che si agita.
Franco: Ma non puoi toccare la spalla anziché la pancia?
Andrea: Mi piace pancia.
Franco: Lo capisci o no che dai fastidio?
Andrea: Lo capisci che non posso controllarmi?
Franco: Non devi mai smettere di provarci.
Franco: Riesci a dirmi che prove fai?
Andrea: Devo mettere in ordine tante cose e aspetto finché non resisto più e sto male. Prolungo i tempi e miglioro.
Franco: Vuoi chiedermi qualcosa?
Andrea: Andrea chiede aiuto testa confusa male sto.
Franco: Che aiuto vuoi?
Andrea: A guarire mia condizione di autismo. Sono stanco di stare così.
Ora, riscrivendo testualmente questa conversazione scritta fra padre e figlio, di nuovo la commozione mi ha fatto salire le lacrime agli occhi come quando le ho lette... Non è una commozione di maniera, superficiale, è una commozione profonda che si lega ai sentimenti di coscienza dell'ineluttabilità di certo destino contro il quale gli esseri umani lottano con fatica, spesso sconfitti, ma indomiti, con sensi di colpa per di più, perché non si riesce a far uscire la persona amata che soffre da quel misterioso malfunzionamento del cervello che la fa soffrire e che induce comportamenti irritanti, a volte sconvenienti e, non riuscendo a sconfiggere quel muro, si diventa necessariamente bruschi con la persona amata prigioniera e, quando dalle sue parole emerge la coscienza della sua condizione, ci si sente colpevoli e quasi carnefici.
Il terzo libro, quello di Massimo Gramellini, il giornalista che abbiamo visto spesso ospite della trasmissione di Fabio Fazio "Che tempo che fa", racconta l'infanzia sofferta di lui bambino figlio unico orfano di madre. Anche qui ci sono corde che toccano il mio vissuto e quindi lo capisco fino in fondo, anche nella differenza dell'esperienza nei fatti... Anch'io sono cresciuta figlia unica e... per certi versi molto sola... Capisco Massimo e immagino il suo dramma. Per il resto non svelo nulla: leggete il libro.