Il Giorno della
Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata in
commemorazione delle vittime del nazismo, dell'Olocausto e in onore di coloro che a rischio della
propria vita hanno protetto i perseguitati.
In questo giorno si
celebra la liberazione da parte dei sovietici del campo di concentramento di
Auschwitz avvenuta il 27
gennaio 1945.
Da: CASTELLINEWS.IT
Bandiere a mezz'asta su Palazzo Colonna
Redazione
Istituito dal
Parlamento Italiano con la legge 211 del 20 luglio del 2000, nel Giorno della
Memoria si ricorda «la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei
cittadini ebrei, gli italiani che subirono la deportazione, la prigionia e la
morte e tutti quelli che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti
al progetto di sterminio, mettendo a rischio la propria vita per salvare tante
altre vite e proteggere i perseguitati». Nel ricordo di quel 27 gennaio di
sessantotto anni fa, in cui i soldati dell'Armata Rossa, abbattendo i cancelli
del campo di concentramento di Auschwitz in Polonia e liberando i prigionieri
sopravvissuti allo sterminio, resero noto al mondo intero il più atroce degli
orrori nella storia dell'umanità: il genocidio nazista contro il popolo ebraico.
(Marino - Attualità) - La Città di Marino si
prepara a celebrare il Giorno della Memoria, ricorrenza nella quale il pensiero
della comunità internazionale è rivolto alle vittime della Shoah.La Città di Marino, nel ricordo delle tantissime vite spezzate e del pianto della comunità ebraica che la guerra ha colpito nei suoi affetti più cari per la follia omicida perpetrati dalla dittatura nazista, si unisce a tutti i Comuni italiani nelle celebrazioni onorando il cerimoniale che vuole, per questa data, le bandiere nazionale ed europea esposte a mezz'asta. In segno di memore omaggio alle vittime dell'olocausto e alle persecuzioni del popolo ebraico. L'Amministrazione comunale auspica che, in prossimità delle celebrazioni del 2 febbraio promosse per il 69 anniversario del Bombardamento di Marino in vista della giornata in Ricordo dei Martiri delle Foibe Istriane del 10 febbraio, gli anni trascorsi da quei tragici eventi che hanno unito in un unico pianto i popoli, possano favorire il moto d'animi mirato ad una memoria sempre più realmente condivisa in nome dell'unico popolo italiano da noi tutti formato, come recita la Costituzione, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Giulia Spizzichino, la farfalla impazzita che ha fatto estradare Priebke
Giulia Spizzichino è una bella signora romana che potrebbe
tranquillamente barare sulla sua età. A 86 anni ha l'energia e la vitalità di
una donna ben più giovane, e tutto l'entusiasmo di una scrittrice esordiente. Ha
appena pubblicato con Giuntina La farfalla impazzita,
romanzo autobiografico che ha riacceso i riflettori sulla sua
storia personale.
Giulia Spizzichino, infatti, è stata testimone della più grande tragedia del Novecento, la Shoah. Ebrea romana, da ragazzina ha visto sparire 26 persone della sua famiglia, alcune trucidate alle Fosse Ardeatine, altre ad Auschwitz. Benché i suoi genitori e i suoi fratelli si siano salvati – grazie alla lungimiranza del padre e a un po' di fortuna – la perdita di nonni, zii, cuginetti ha pesato per tutta la vita su Giulia, e si è tramutata in un dolore sordo che l'ha accompagnata costantemente. Senza farle perdere la sua grande forza d'animo: grazie a lei, che negli anni Novanta non ha esitato ad andare in Argentina a perorare la causa dell'estradizione di Erich Priebke, il criminale nazista ha interrotto il suo esilio dorato e ha affrontato la giustizia. Giulia Spizzichino non ha avuto una vita facile: due matrimoni finiti male, un figlio perduto in tenera età. “Oggi ho un compito che non mi aspettavo”, scrive, “quello di testimoniare. Devo raccontare ciò che è stato, non può cadere tutto nell'oblio”. E il suo libro ci riesce benissimo. -Perché questo titolo, “La farfalla impazzita”? «È il soprannome che mi ha dato un caro amico, Stefano Persiano. Mi sono ritrovata in questa definizione. Dopo la tragedia che ho vissuto, ho volato e volato senza sapere cosa cercare». -Quando è iniziata per la ragazza Giulia l'esperienza del dolore? «Avevo 11 anni quando per le leggi razziali sono stata cacciata da scuola. Poi mio padre fu inviato al confino, solo per aver tentato di aiutare uno zio rimasto senza lavoro a ottenere una licenza per il commercio. Mia madre si trovò d'improvviso sola, senza papà che era il nostro pilastro, a occuparsi di noi bambini e del negozio. Fu terribile. Ma il peggio doveva ancora arrivare: il rastrellamento nel Ghetto, la retata del 21 marzo 1944 che portò via sette maschi adulti della famiglia di mia madre... Io avevo 17 anni, e vissi fino al 1945 nell'illusione che tutti sarebbero tornati a fine guerra. Fu mia madre a stroncare le mie speranze, dicendomi erano tutti morti». –Nel suo libro, c'è un passaggio scioccante: lei dice che la morte del suo bambino fu sconvolgente, ma il dolore provato per il massacro dei suoi familiari è “una vetta che non si può sfiorare”... «Sulla tomba di mio figlio ho potuto piangere. Ma i miei familiari sono diventati polvere, non c'è un luogo dove io possa piangere per loro». -Il suo ruolo è stato decisivo per l'estradizione di Priebke. «Dopo la morte di mia madre, ho sentito il dovere di essere testimone. Non c'era in me desiderio di vendetta, ma di giustizia. Quando ho saputo che Erich Priebke viveva tranquillo in Argentina, sono partita e ho fatto di tutto perché fosse processato. Ho partecipato a incontri, trasmissioni televisive. Ho incontrato ambasciatori, vescovi. Credo che Priebke sia stato costretto a lasciare l'Argentina nel 1995 anche per il lavoro che ho svolto, raccontando la mia storia». -Lei ha presenziato a tutti i processi al criminale nazista. Che impressione ha avuto di lui? «Credeva di potersene andare. L'ho sentito chiedere in spagnolo, che io parlo, a persone a lui vicine durante il processo, di comprargli camicie, vestiti, che voleva portarsi in Argentina, al suo rientro. Ho pianto disperata quando è stato assolto, al primo processo. Per due anni, finita la vicenda Priebke con la condanna all'ergastolo, mi sono stati assegnati degli agenti della Digos per proteggermi, perché ho ricevuto minacce di morte». –Come è nata l'idea del libro? «Ce l'avevo nel cassetto da tempo. Ho sempre amato scrivere. Da ragazza scrivevo racconti, poesie e canzoni, ho collaborato con il giornale “Bella”. Come scrivo nel libro, mi piacerebbe che mandasse un messaggio, che riesca a trasmettere qualcosa a chi lo leggerà». Un messaggio di speranza: perché una storia raccontata, come quella di Giulia Spizzichino, non sarà una storia dimenticata. Preservare la memoria è un dovere nei confronti di chi – ebreo come la famiglia di Giulia, partigiano o vittima innocente scelta dal caso – si è tentato di cancellare. Info: La farfalla impazzita. Dalle Fosse ardeatine al processo Priebke di Giulia Spizzichino, con Roberto Riccardi. Giuntina, 12 euro
Mai dimenticare. Io, di certo, non ho bisogno delle ricorrenze per ricordare. Non perché sia stata toccata personalmente da questo orrore, dato che non sono di cultura o religione ebraica, ma perché sono stata toccata nella parte più intima di me stessa, a 14 anni, dalle immagini dei filmati girati nei campi dagli Americani. Fino a quell'età avevo sentito solo degli accenni a quanto era successo prima che io nascessi. Né la mia famiglia, di cultura e formazione cattolica, né la Scuola, né la Parrocchia che frequentavo, mi avevano mai parlato della realtà di quell'orrore. Forse per preservarmi?
So soltanto che l'idea del mondo che fino a quel momento avevo introiettato era di un mondo evoluto, gli orrori erano esistiti nel passato, quando gli uomini erano più ignoranti e quindi più brutali...
Lì, davanti a quelle immagini in bianco e nero trasmesse da un piccolo televisore della mia casa di Via Ottaviano a Roma, scoprii con sgomento che l'orrore era a pochi anni da me, non nel buio Medio Evo, non relegato nelle pagine lontane della Storia, ma a pochi passi dalla mia nascita: ed io provai un sentimento devastante, pensai che non avrei mai voluto nascere in un mondo che era stato capace di fare questo. Nel secolo in cui l'Uomo sembrava aver fatto passi da gigante rispetto ai secoli precedenti, levandosi in volo, scoprendo la Relatività e come fosse fatto l'Universo, e le cellule che compongono la vita biologica e tante altre scoperte, agiva peggio di ogni bestia della Terra sui propri simili, senza pietà, senza umanità... Ecco era l'Umanità stessa che veniva negata e uccisa dalle azioni mostruose di uomini su altri uomini. L'insensatezza di un simile agire mi sprofondava in un rifiuto totale di quegli uomini. Non potevo difendermi se non elaborando un concetto diverso del mondo da come me lo avevano rappresentato fino a quel momento la mia famiglia, i miei insegnanti, i cultori della mia educazione religiosa, per i quali il massimo dell'orrore rappresentatomi era la crocifissione di Gesù Cristo. Orribile condanna a morte che, scoprii in seguito, era stata comminata ad un numero infinito di poveracci e non solo a Gesù...
Nessuna ideologia, nessuna guerra, possono spiegare quell'orrore. L'unica spiegazione che sono riuscita a darmi, ormai giunta a 66 anni, è che esistono esseri umani fuori fatti apparentemente come noi e dentro mostruosi e cercano solo una scusa, appunto una guerra, un'ideologia folle, per sbranare altri uomini, godendo della loro sofferenza.
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