...le interviste al figlio undicenne di Preiti. In tanti accusano. E ritengono sconveniente e al di là dell'etica professionale i servizi realizzati da diverse emittenti. Un diluvio di post: "D'altronde chi meglio di un bambino di 11 anni può capire cosa passa per la testa di un uomo che decide di sparare alla gente", "Pensavamo di aver visto tutto, invece...", "Mi rivolgo ai giornalisti: Fermatevi!". Interviene anche il presidente dell'Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino: "Per registrare una dichiarazione, si piantona la casa di un ragazzo di 11 anni. Lo si intervista, forse convinti di aver fatto uno scoop. Ne viene fuori, invece, solo un modo di fare informazione che sento estraneo al mio cuore, ancor prima che alle regole elementari della professione".
Protesta il Garante. "E' inaccettabile il comportamento di certa stampa che in preda a una irresistibile ricerca di spettacolarizzazione della notizia rischia di strumentalizzare il ruolo di un minorenne in una vicenda drammatica come quella della sparatoria di ieri davanti Palazzo Chigi" dichiara Vincenzo Spadafora, Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza. "I mezzi di informazione hanno una grande responsabilità nei confronti dei bambini e degli adolescenti coinvolti in fatti di cronaca e devono pertanto garantire loro una particolare tutela non solo in termini di privacy ma anche e soprattutto di rispetto della loro sensibilità in momenti come questi. Una tutela da anteporre sempre e comunque al dovere di informazione, tanto più se - come in questo caso - la notizia non esiste. Non sono certamente queste le forme di ascolto che ci interessano" ha concluso il Garante.
Il Presidente dell'Ordine dei Giornalisti non si deve limitare ad un intervento verbale come quello riportato dal Quotidiano "La Repubblica", ma deve dare le giuste sanzioni all'indecenza comportamentale di chi ha usato una simile violenza e mancanza di rispetto verso un bambino di 11 anni: sospensione o radiazione decidano loro, ma qualcosa debbono fare, altrimenti non si capisce il senso dell'esistenza di un simile Ordine!
Questa sopra è la prova dell'indecenza!
Sotto l'articolo di BLOGO che sottoscrivo parola per parola!
di Boris Sollazzo
Si fa fatica a pensare - come ha detto Emilio Marrese su twitter - che si debba pagare più di 100 euro all'anno per rinnovare l'iscrizione a un Ordine dei Giornalisti che permette a un gruppo di colleghi (ma si fa una gran fatica a definirli tali) di circondare un ragazzino di 11 anni fuori dalla sua casa.
Un atto vergognoso, violento, morboso. Già cercare fratello ed ex moglie era discutibile, ma almeno deontologicamente lecito, ma qui ci troviamo di fronte all'aggressione verbale verso un minorenne che ha subito un trauma psicologico devastante. Il padre ha appena compiuto un gesto che è andato su tutti i giornali, un genitore che già vedeva poco e che di sicuro gli aveva già dato ragioni per soffrire, lui che cerca un nuovo equilibrio in un altro nucleo familiare. Ma pur di avere un virgolettato in più, un bambino, neanche adolescente, è costretto ad affrontare questo evento devastante in pubblico, di fronte ad adulti che, francamente, non mi sembrano poi così diversi da chi imbraccia una pistola per sparare su degli innocenti. Certo, in questo caso non ci sono proiettili che ti immobilizzano in un letto, ma impugnare un microfono come se fosse un arma, questo atteggiamento vampiresco verso tutto e tutti non è giornalismo, ma sensazionalismo becero. Che può far male quanto delle munizioni. Si chiama circo mediatico, ma nella parola circo c'è un'accezione positiva che questa follia non merita.
E non vogliamo fare la morale, ma ricordare a chi ci costringe a rimanere iscritti in un Albo, che ci sono delle regole precise in quello che rimane un nobile lavoro. Parliamo, ad esempio, della Carta di Treviso. Lì troverete bellissime frasi come "va garantito l'anonimato del minore coinvolto in fatti di cronaca, anche non aventi rilevanza penale, ma lesivi della sua personalità, come autore, vittima o teste; tale garanzia viene meno allorché la pubblicazione sia tesa a dare positivo risalto a qualità del minore e/o al contesto familiare e sociale in cui si sta formando".
Qual è il "positivo risalto" che può nascere da un'intervista come quella? E non voglio pensare che i giornalisti si attaccheranno al cavillo che quel ragazzino che frequenta la prima media a Predosa, in provincia di Alessandria non sia "autore, vittima o teste" dell'evento. Perché allora oltre che ignobili, sono anche disonesti intellettualmente: dopo i feriti e le loro famiglie, sarà proprio lui che pagherà di più le conseguenze di questo gesto.
Ma è giusto leggerla tutta, questa normativa d'indirizzo. E magari far presente ai cinici reporter d'assalto - ma sarebbe meglio definirli d'accatto - che in un paese così piccolo, anche il particolare di quella casa visto su Sky Tg 24 (gravemente colpevole, per averlo mandato in onda, ma non unico: c'era un capannello attorno a quel minorenne) può permettere di riconoscerlo. E la Carta dice che "va altresì evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con facilità portare alla sua identificazione". Sanno scrivere e fare domande, ma forse non sanno leggere questi giornalisti. Altrimenti saprebbero, per averlo peraltro studiato per superare l'esame da professionisti, che "il bambino non va intervistato o impegnato in trasmissioni televisive e radiofoniche che possano lederne la dignità o turbare il suo equilibrio psico-fisico, né va coinvolto in forme di comunicazioni lesive dell'armonico sviluppo della sua personalità, e ciò a prescindere dall'eventuale consenso dei genitori".
Leggetela tutta e scoprirete quanto quella sia una normativa precisa, puntuale e avanzata. Ma completamente disattesa da chi farebbe qualsiasi cosa per un'ultima ora in un canale all news o una colonna in prima pagina. Da anni politici e persone comuni attaccano la professione giornalistica con violenza, accusandola di ogni nefandezza: servilismo, cinismo, faziosità, mancanza di libertà. Da anni la mancanza di fiducia nei media è diffusa: Grillo non è l'origine di questo fenomeno, ma solo il megafono.
Sarebbe bello poter dire che non è vero. Fatti come questo, così come quei fotografi che correvano e saltavano subito dopo gli spari, ieri, per fotografare il corpo esanime di Giuseppe Giangrande a Piazza Colonna, davanti a Palazzo Chigi, danno ragione ai detrattori della nostra professione. Che non deve usare l'Ordine dei Giornalisti come una corporazione, come un club (neanche tanto) esclusivo o come un viatico per privilegi ormai inesistenti per i più giovani. Se un Ordine abbia mai ragione di esistere, è necessario che in questi casi agisca con fermezza e decisione verso chi infanga così questo lavoro. E non parliamo solo degli esecutori, di chi aveva microfoni o registratori in mano. Ma di tutta la catena di comando, dai caporedattori ai direttori delle testate che, 99 volte su 100, li costringono a fare determinate cose. "Eseguivo solo degli ordini", si sa dal processo di Norimberga, non è una giustificazione. Ma di sicuro deve essere una chiamata in correità.
Perché se su Blogo.it non avete visto mai una foto di Giangrande sanguinante, se su questa testata non trovate l'intervista al figlio di Luigi Preiti, lo dovete a chi decide. Agli editori e soprattutto a un direttore che non ha messo i suoi giornalisti nella condizione di rifiutare di fare un'intervista (non a caso Sarah Varetto, direttrice di SkyTg 24, ha interrotto il servizio durante la sua trasmissione). O di accettare, devastando la propria professionalità. Perché per chi decide la linea di questo portale, qualche migliaio di contatti in più non valgono la propria integrità, l a propria dignità.
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