Dalla Raccolta "Le verità nascoste"
Visioni di realtà...
L'allegra tavolata, costituita tutta da giovani medici tranne i genitori di uno di loro, sedeva nel cortile della villetta godendo del profumo delle trote che cuocevano sul barbecue.
La padrona di casa e madre di uno di loro rise alle loro facezie rovesciando il capo all'indietro e, nel farlo, vide al di là del muro di cinta una figura di donna che si stagliava scura nel quadrato luminoso della finestra di quella villa al di là del confine e, mentre la sua risata si spegneva nella constatazione che erano spiati, sentì nitida una risatella nervosa provenire dalla sagoma scura e un inusitato commento: "E' matta!"
Non disse nulla agli altri che non si erano accorti di quella inquietante presenza che, proprio perché folle, definiva lei matta perché rideva in lieta compagnia.
Sapeva da tempo che quella donna squilibrata li spiava.
Un giorno che stava facendo colazione a quello stesso tavolo dove ora si svolgeva la cena a base di pesce, sentì la voce strozzata della figlia laureata di quella donna che la chiamava sordamente: "Mamma!" Il suono era imperioso e strano e, istintivamente, Marella alzò il capo dalla lettura del giornale del giorno prima, che non aveva avuto il tempo di finire di leggere, e vide la sua vicina correre accovacciata con rapidi passetti avvicinandosi al confine e così sbirciando verso di lei. Allora capì che quello che aveva pensato alzando gli occhi distratta da quel richiamo forzato, che la ragazza fosse afona per un mal di gola, non era vero, ma la giovane donna richiamava sua madre in sordina per non farsi udire da lei, ignara di quel bisogno malato di spiarla della donna pazza.
Un giorno che stava facendo colazione a quello stesso tavolo dove ora si svolgeva la cena a base di pesce, sentì la voce strozzata della figlia laureata di quella donna che la chiamava sordamente: "Mamma!" Il suono era imperioso e strano e, istintivamente, Marella alzò il capo dalla lettura del giornale del giorno prima, che non aveva avuto il tempo di finire di leggere, e vide la sua vicina correre accovacciata con rapidi passetti avvicinandosi al confine e così sbirciando verso di lei. Allora capì che quello che aveva pensato alzando gli occhi distratta da quel richiamo forzato, che la ragazza fosse afona per un mal di gola, non era vero, ma la giovane donna richiamava sua madre in sordina per non farsi udire da lei, ignara di quel bisogno malato di spiarla della donna pazza.
Un'altra volta, quando ancora non aveva chiuso i rapporti con la scomoda vicina, stava cenando dentro la sua cucina e, sempre, leggeva il giornale. Il frequente grido domestico rivolto a figli e marito era: "Non mi buttate il giornale di ieri e nemmeno quello dell'altro ieri perché debbo finire di leggerli!!" Fra lavoro e incombenze varie di tempo ne aveva poco, ma non voleva rinunciare a leggere un giornale, ricco di informazioni che non si fermavano certo solo alla cronaca quotidiana, come era "La Repubblica".
Quella sera, dunque, leggeva mangiando tranquilla in cucina; i suoi figli erano a cena da amici e suo marito era migrato con il vassoio davanti al televisore per seguire le notizie del telegiornale. Quale migliore occasione per leggere mangiando? Cosa scorretta e impossibile qualora ci fossero stati tutti... Sentì ad un tratto di essere osservata... Eppure lo sguardo non può "sentirsi", non c'è alcuna prova scientifica di un simile fenomeno... Eppure sentì che da alcuni minuti qualcuno, al di là del vetro della porta finestra della cucina, la osservava... Fenomeno subliminale dovuto forse alla "coda dell'occhio" che vede ma non registra, essendo concentrato l'occhio altrove, nella fattispecie sul pasto e nella lettura? Fatto sta che girò il capo e vide la squilibrata vicina che, si rese conto solo in quel momento, da almeno dieci minuti stava annaffiando sempre nello stesso punto la siepe che aveva piantato proprio sul confine da poco tempo. Da quel punto poteva guardare dentro la sua cucina. La ignorò e riprese a mangiare ed a leggere.
L'indomani la vicina le fece un discorso insinuante con aria melliflua: "La sera si cena tutti insieme no? La sera una famiglia unita cena tutta insieme intorno ad un tavolo no? Noi la sera ceniamo insieme!" Dopo un poco Marella capì, non subito, ma quella insisteva e lei non capiva dove volesse andare a parare. Capì che la poveretta insinuava che se lei la sera prima stava mangiando da sola voleva dire che non erano una famiglia unita. E portava ad esempio se stessa come "famiglia unita". Le lasciò credere la realtà che voleva pensando a quanto era pazza nel non ricordarsi quello che diceva insistentemente, sicuramente non solo a lei, semplice vicina di casa, e cioè che suo marito "se lo teneva solo per la vecchiaia", "che lei gli aveva fatto firmare tre volte almeno la richiesta di separazione per scuoterlo dalla sua abulia", "che lei andava in vacanza da sola" (senza neppure le figlie) ecc. ecc. ecc.. Ora bastava cenare insieme intorno allo stesso tavolo "per essere una famiglia unita".
Ma non se ne era liberata del tutto neppure chiudendo con un atto di aperta scortesia i rapporti.
La donna smaniava di ricevere gente a cui mostrare la sua casa che aveva riempito di oggetti costosi e "kitsch" e spesso traghettava le persone più disparate in un giro turistico della sua abitazione. Il suo narcisismo malato ne aveva bisogno e dunque pensava che anche gli altri ricevessero per questa ragione. Riteneva la casa di Marella modesta rispetto alla sua e, quando un giorno vennero in visita dei vecchi compagni di liceo del marito di Marella con le loro consorti, scoppiò da dietro la siepe ormai cresciuta, che celava la sua malata presenza in ascolto, una secca quanto rara risata isterica della poveretta. Infatti rideva raramente e mai con morbida gioia. Marella, dietro insistenza curiosa delle sue ospiti, si era affacciata sul cortile dicendo brevemente che lì c'erano due vani di servizio: cantina a destra e lavanderia a sinistra. Il riso derisorio della malata voleva sottolineare che "nulla c'era di bello e di prezioso da mostrare" in quella casa, di certo inferiore alla sua!
Ella infatti aveva fatto portare da uno di quei luoghi che vendono anche caminetti e balaustre imitazione stile neoclassico, come anche i sette nani, statue di donne poggiandole sul muro esterno della casa, insieme ad una fontana a forma di fungo... In casa, durante il giro museale di prammatica, aveva mostrato a Marella una enorme statuina di una damina settecentesca poggiata sul suo comò in camera da letto; poiché quella non reagiva con gridolini di meraviglia come lei si sarebbe aspettata, insistette ripetendo due o tre volte: "E' di bisquit, è di bisquit..." Intendendo forse che era di porcellana di Biscuit. Marella la trovava brutta nel suo lucido splendore ad occupare gran parte del ripiano del comò dell'orgogliosa padrona di casa, convinta di possedere una vera opera d'arte...
Soprammobile kitsch: damina di porcellana |
Marella si era guardata bene dal mostrarle mai le ceramiche ed un grande disegno incorniciato di un noto ed importante artista che suo marito e lei avevano avuto l'onore di conoscere e frequentare, né alcune stampe autentiche del '600 su carta filigranata, né una riproduzione in argento di un quadro di Vitali in limitata tiratura, né una stampa autentica del 1800 ecc. ecc.. Essendo oggetti che la poveretta proprio non poteva capire né apprezzare, come il fatto che Marella e la sua famiglia amavano quegli oggetti per il loro valore artistico ma, anche, perché avevano una storia affettiva legata a chi li aveva loro regalati e non era loro abitudine farne mostra. Certo chi se ne intendeva, entrando in casa loro, li notava subito: ma non era il caso della poveretta.
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