L'uomo è un animale con un'intelligenza maggiore di tutti gli altri animali apparsi sulla Terra e come tale si organizza in Società e si dà delle regole.
Queste regole derivano da idee di come deve essere organizzata la vita sociale e nel corso della storia dell'umanità l'uomo, convinto dalla sua intelligenza superiore a quella degli altri animali di avere qualcosa di divino, di comune con un'entità che ha creato il tutto, si è dato vari credi religiosi e da essi poi si è ispirato per darsi delle regole, delle leggi.
Attualmente si può sintetizzare in due tipi di società l'organizzazione degli Stati: le società occidentali che si ispirano alle religioni giudaiche-cristiane e le società orientali in gran parte ispirate all'islam. La Cina ha un'ispirazione diversa da questi due blocchi ideologici ma sempre in tutte queste organizzazioni di società la donna è ghettizzata rispetto all'uomo.
La prima domanda che viene spontanea è perché.
Dato che si tratta di culture diverse se hanno un denominatore comune non può che essere la legge del più forte che si impone sul più debole. La legge del mondo animale.
Il maschio è geneticamente più forte fisicamente: ossatura, muscolatura, complessione fisica sono più potenti che nella femmina. Fatte salve le eccezioni individuali le cose stanno così. Il maschio è portato più della femmina all'aggressività. Sempre fatte salve le variazioni individuali. E' forse quel cromosoma Y che contiene nei suoi geni l'aggressività?
Essa, però, può essere contenuta dall'educazione.
Attualmente la globalizzazione ha portato gli Stati a darsi delle leggi che, sia pure in forme diverse, tendono alla parità fra i sessi. La donna, dunque, dovrebbe essere più garantita. E rispetto al passato lo è. Ma la società, per quanto ben organizzata nelle sue Istituzioni, non riesce a garantire alla donna l'incolumità dalla violenza maschile in tutte le sue forme.
In Italia c'è un sommerso di violenza domestica che nasce in parte dalla vergogna delle vittime a denunciare una persona con la quale hanno un legame parentale o anche soltanto affettivo, e in parte perché sentono inutile il gesto della denuncia.
Da chi si va a denunciare e cosa fa la Società per difendere la donna che ha questo coraggio?
Spesso si va dai Benemeriti Carabinieri. Sulle spalle di questo Corpo Militare dello Stato Italiano finisce quasi tutto il bisogno di giustizia degli Italiani. Dovrebbero essere supportati non solo dalla Magistratura a cui poi passano le carte, ma anche da strutture di sostegno e vicinanza a chi è sotto minaccia e subisce un reato.
Una carenza nelle Istituzioni c'è nella prevenzione del danno da reato di violenza se tante donne vengono violentate, picchiate, ridotte in fin di vita, uccise.
La materia dei reati è vasta e non posso certo trattarla in un post. Voglio parlare di uno dei tanti, purtroppo, casi estremi.
Il caso dell'assassino Giuseppe Piccolomo.
Da: VareseNews
VARESE
Piccolomo, indagine sulla morte della prima moglie
Dopo il processo d'appello che lo ha condannato all'ergastolo, la procura generale di Milano chiede ai pm di Varese una nuova inchiesta per la morte di Marisa Maldera, arsa viva in un misterioso incidente nel 2003
La prima moglie di Giuseppe Piccolomo, forse, non morì per un incidente. Ne è convinta la procura generale di Milano che, al temine del processo di appello che il 6 febbraio 2013 ha condannato all’ergastolo l’uomo accusato dell’omicidio delle mani mozzate a Cocquio Trevisago, ha inviato alla procura di Varese una lettera in cui chiede la riapertura delle indagini, firmata dal procuratore generale Carmen Manfredda. Il decesso di Marisa Maldera, 49 anni, sarebbe dunque un caso irrisolto. La donna morì arsa viva dopo un brutto incidente a Caravate, il 20 febbraio del 2003, all’interno dell’auto guidata dal marito.
(nella foto, Marisa Maldera e Giuseppe Piccolomo)
L'INCIDENTE
In quell’occasione, Piccolomo raccontò di aver riempito una tanica di benzina, e di averla stipata nella vettura, ma dopo essere uscito di strada, la sigaretta che la moglie stava fumando, avrebbe causato le fiamme. Piccolomo disse che riuscì a scendere dall’auto e tentò poi di aiutare la moglie a uscire. Ma la donna, che tra l’altro era soprappeso e si muoveva a fatica, non riuscì ad aprire la portiera bloccata. Il 23 gennaio del 2006, l’uomo patteggiò una pena di un anno e 4 mesi per omicidio colposo.
La notizia è stata anticipata questa mattina da un articolo a firma Luca Testoni, del quotidiano la Prealpina.
«La richiesta è sulla mia scrivania – conferma il procuratore capo di Varese Maurizio Grigo – volevo solo precisare che non siamo stati scavalcati. Tuttavia durante il processo di appello le figlie di Piccolomo hanno reso delle dichiarazioni sui loro sospetti in merito a quella morte, che il procuratore generale ha valutato interessanti e da approfondire. Ora vedrò a quale pm assegnare il fascicolo. Soprattutto dovremo chiedere al giudice per le indagini preliminari un’eventuale riapertura, poiché così vuole il codice». Contro la riapertura dell’indagine ha giocato fino a oggi un principio elementare del diritto: non si può processare una persona due volte per lo stesso reato. «In questo caso la procura generale ipotizza un omicidio volontario e non un omicidio colposo – spiega il procuratore Grigo – e sono intervenute nuove dichiarazioni a sostegno di questa tesi».
Un’interpretazione che però dovrà esser vagliata dal giudice per le indagini preliminari, e il cui risultato non è scontato. Tina e Nunzia Piccolomo accusano il padre di avere pesanti responsabilità nella morte di Marisa Maldera e l'hanno ripetuto in più occasioni.
In quell’occasione, Piccolomo raccontò di aver riempito una tanica di benzina, e di averla stipata nella vettura, ma dopo essere uscito di strada, la sigaretta che la moglie stava fumando, avrebbe causato le fiamme. Piccolomo disse che riuscì a scendere dall’auto e tentò poi di aiutare la moglie a uscire. Ma la donna, che tra l’altro era soprappeso e si muoveva a fatica, non riuscì ad aprire la portiera bloccata. Il 23 gennaio del 2006, l’uomo patteggiò una pena di un anno e 4 mesi per omicidio colposo.
La notizia è stata anticipata questa mattina da un articolo a firma Luca Testoni, del quotidiano la Prealpina.
«La richiesta è sulla mia scrivania – conferma il procuratore capo di Varese Maurizio Grigo – volevo solo precisare che non siamo stati scavalcati. Tuttavia durante il processo di appello le figlie di Piccolomo hanno reso delle dichiarazioni sui loro sospetti in merito a quella morte, che il procuratore generale ha valutato interessanti e da approfondire. Ora vedrò a quale pm assegnare il fascicolo. Soprattutto dovremo chiedere al giudice per le indagini preliminari un’eventuale riapertura, poiché così vuole il codice». Contro la riapertura dell’indagine ha giocato fino a oggi un principio elementare del diritto: non si può processare una persona due volte per lo stesso reato. «In questo caso la procura generale ipotizza un omicidio volontario e non un omicidio colposo – spiega il procuratore Grigo – e sono intervenute nuove dichiarazioni a sostegno di questa tesi».
Un’interpretazione che però dovrà esser vagliata dal giudice per le indagini preliminari, e il cui risultato non è scontato. Tina e Nunzia Piccolomo accusano il padre di avere pesanti responsabilità nella morte di Marisa Maldera e l'hanno ripetuto in più occasioni.
LE ANALOGIE TRA LE DUE MORTI
Dopo l’omicidio della ex tipografa Carla Molinari, il 7 novembre del 2009, per il quale è stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado, Giuseppe Piccolomo fu indicato dalle figlie come un padre padrone che le aveva sempre fatte soffrire. Le donne raccontarono anche delle tante analogie tra quella vicenda e la morte della madre, troppo strana per esser solo derubricata a una fatalità. Dopo la morte della prima moglie, Piccolomo si risposò con una donna più giovane che lavorava nella loro pizzeria a Caravate, tornata in Marocco dopo il suo arresto. Piccolomo si è sempre dichiarato innocente, in entrambe le vicende.
Dopo l’omicidio della ex tipografa Carla Molinari, il 7 novembre del 2009, per il quale è stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado, Giuseppe Piccolomo fu indicato dalle figlie come un padre padrone che le aveva sempre fatte soffrire. Le donne raccontarono anche delle tante analogie tra quella vicenda e la morte della madre, troppo strana per esser solo derubricata a una fatalità. Dopo la morte della prima moglie, Piccolomo si risposò con una donna più giovane che lavorava nella loro pizzeria a Caravate, tornata in Marocco dopo il suo arresto. Piccolomo si è sempre dichiarato innocente, in entrambe le vicende.
12/07/2013
Roberto Rotondo
Solo ora, dopo l'omicidio dell'anziana Carla Molinari, a cui amputò le mani perché non si potessero prelevare sotto le sue unghie le tracce del suo DNA in quanto la donna l'aveva graffiato nel tentativo di difendersi, le sventurate ma dignitosissime figlie di questo mostro hanno narrato chi era quest'uomo.
Da: VareseNews
VARESE
Le figlie di Piccolomo. "Era crudele come un demonio"
Processo delle mani mozzate: in aula parlano le due donne che accusano l'imputato di averle fatte soffrire per anni e di aver cagionato la morte della madre. Testimonianza choc sulle molestie e i pestaggi
L’udienza del processo contro Giuseppe Piccolomo è stata segnata da emozioni forti. Soprattutto perché a testimoniare sono state le figlie, Nunziatina e Filomena Cinzia, che hanno raccontato come il padre abusasse di loro fin da piccole, le picchiasse con la cinghia, e percuotesse anche la madre, Marisa Maldera, morta atrocemente carbonizzata in un incidente stradale, nel 2003.
Non è stato un buon padre Pippo Piccolomo: se abbia o meno ammazzato la ex tipografa Carla Molinari,
Non è stato un buon padre Pippo Piccolomo: se abbia o meno ammazzato la ex tipografa Carla Molinari,
il 5 novembre del 2009 a Cocquio Trevisago, sarà la corte d’assise (presidente il giudice Ottavio D'Agostino) a stabilirlo, ma a giudicare dal racconto della vita domestica di queste persone, si può dire che l’imputato è stato davvero ingeneroso con i suoi cari.
«Eravamo una famiglia con tanti problemi» ha spiegato alla corte Filomena. «La famiglia Addams ci faceva un baffo» ha aggiunto ironizzando tra le lacrime. Una testimonianza che per le due donne è stata come uno sfogo: di tanti anni passati sotto il giogo di un padre padrone, che sapeva anche essere simpatico, raccontare barzellette ed fare l’animatore della compagnia; ma una volta tra le mura domestiche diveniva un despota. E la madre, Marisa , era una donna buona, generosa, amata da tutti, ma non ebbe mai il coraggio di mandarlo via di casa.
Anche dopo aver appreso il triste capitolo delle molestie sessuali. «Era una donna meridionale, ci diceva che i panni sporchi vanno lavati in casa – hanno spiegato le figlie – e che certe cose succedevano in tutte le famiglie, ma per fortuna nostro padre ci aveva solo molestato senza farci di peggio».
Le donne ricordano che il papà le chiamava nel lettone, le toccava e si masturbava fin da quando erano piccole. C’erano le botte e anche le minacce. Con il coltello e con l’ascia: «Aveva il demonio negli occhi, non era in lui». «Ammazzava di botte anche la mamma – ha detto Filomena – e anche dopo che sono scappata di casa a 18 anni, se sapeva che aveva parlato con me la picchiava». Nunzia ha raccontato di aver subito molestie mentre la madre era in ospedale per partorire il fratello minore. O ancora: di aver visto una volta da piccola, sotto un tavolo, il padre che prendeva la mano della nonna e se la posizionava sui genitali.
Il valore della testimonianza delle due donne è soprattutto nella descrizione di Giuseppe Piccolomo che probabilmente avrà destato molta impressione nella corte d’assise: uomo a volte spietato, come quando dichiarò alle figlie che la loro madre era morta bruciata viva nell’indicente a Caravate, perché era troppo grassa; indugiando crudelmente sui particolari: «Ci disse che vide la mamma sciogliersi e che la pelle le si staccava di dosso». Le figlie l’hanno sempre accusato ma lui, anche dopo la condanna (ma solo per omicidio colposo) avrebbe risposto: «Io quando faccio le cose, le faccio bene, non sono riusciti a trovare le prove i carabinieri e le volete trovare voi?».
Le due donne hanno inoltre riconosciuto il coltello trovato da un vicino di casa della Molinari nel cassonetto dell’immondizia, una lama compatibile con la disarticolazione delle mani della vittima, utilizzato secondo le testimonianze nel ristorante “La pantera rosa di Cocquio” quando i Piccolomo gestivano il locale.
Il pm Luca Petrucci ha anche chiesto alle figlie dell’imputato se avessero mai sentito parlare di Lidia Macchi, un capitolo di questa storia ai limiti dell’assurdo: «La ragazza fu trovata a qualche centinaio di metri da casa nostra a Caravate – ha risposto Filomena - e a volte ci diceva che l’aveva ammazzata lui». Ma secondo Tina era solo una macabra minaccia fatta per spaventare le figlie e continuare il suo crudele gioco.
«Eravamo una famiglia con tanti problemi» ha spiegato alla corte Filomena. «La famiglia Addams ci faceva un baffo» ha aggiunto ironizzando tra le lacrime. Una testimonianza che per le due donne è stata come uno sfogo: di tanti anni passati sotto il giogo di un padre padrone, che sapeva anche essere simpatico, raccontare barzellette ed fare l’animatore della compagnia; ma una volta tra le mura domestiche diveniva un despota. E la madre, Marisa , era una donna buona, generosa, amata da tutti, ma non ebbe mai il coraggio di mandarlo via di casa.
Anche dopo aver appreso il triste capitolo delle molestie sessuali. «Era una donna meridionale, ci diceva che i panni sporchi vanno lavati in casa – hanno spiegato le figlie – e che certe cose succedevano in tutte le famiglie, ma per fortuna nostro padre ci aveva solo molestato senza farci di peggio».
Le donne ricordano che il papà le chiamava nel lettone, le toccava e si masturbava fin da quando erano piccole. C’erano le botte e anche le minacce. Con il coltello e con l’ascia: «Aveva il demonio negli occhi, non era in lui». «Ammazzava di botte anche la mamma – ha detto Filomena – e anche dopo che sono scappata di casa a 18 anni, se sapeva che aveva parlato con me la picchiava». Nunzia ha raccontato di aver subito molestie mentre la madre era in ospedale per partorire il fratello minore. O ancora: di aver visto una volta da piccola, sotto un tavolo, il padre che prendeva la mano della nonna e se la posizionava sui genitali.
Il valore della testimonianza delle due donne è soprattutto nella descrizione di Giuseppe Piccolomo che probabilmente avrà destato molta impressione nella corte d’assise: uomo a volte spietato, come quando dichiarò alle figlie che la loro madre era morta bruciata viva nell’indicente a Caravate, perché era troppo grassa; indugiando crudelmente sui particolari: «Ci disse che vide la mamma sciogliersi e che la pelle le si staccava di dosso». Le figlie l’hanno sempre accusato ma lui, anche dopo la condanna (ma solo per omicidio colposo) avrebbe risposto: «Io quando faccio le cose, le faccio bene, non sono riusciti a trovare le prove i carabinieri e le volete trovare voi?».
Le due donne hanno inoltre riconosciuto il coltello trovato da un vicino di casa della Molinari nel cassonetto dell’immondizia, una lama compatibile con la disarticolazione delle mani della vittima, utilizzato secondo le testimonianze nel ristorante “La pantera rosa di Cocquio” quando i Piccolomo gestivano il locale.
Il pm Luca Petrucci ha anche chiesto alle figlie dell’imputato se avessero mai sentito parlare di Lidia Macchi, un capitolo di questa storia ai limiti dell’assurdo: «La ragazza fu trovata a qualche centinaio di metri da casa nostra a Caravate – ha risposto Filomena - e a volte ci diceva che l’aveva ammazzata lui». Ma secondo Tina era solo una macabra minaccia fatta per spaventare le figlie e continuare il suo crudele gioco.
28/03/2011
Roberto Rotondo
Il primo articolo riporta la fine processuale di questo orribile fatto di sangue conclusasi con l'ergastolo anche in Appello, il secondo lo pubblico in quanto riporta le dichiarazioni delle due povere figlie già nel primo processo in Assise.
Quello che si evince da questa orrida ma non rara vicenda è che la cultura sbagliata e la paura della donna-madre e moglie del mostro ha consentito al mostro medesimo di traumatizzare le due figlie e di ucciderla alla fine in modo orrendo.
Se lei avesse parlato reagendo all'orrore di quanto il mostro faceva alle sue bambine avrebbe fatto il suo dovere di madre che deve, soprattutto, proteggere le sue creature. Leggere quello che dicono le due povere ragazze oggi non assolve questa donna che avrebbe potuto salvare anche sé stessa dalle botte e infine dalla morte atroce che quest'uomo le ha fatto fare.
Colpisce come sia riuscito con perfida finzione a dare di sé un'immagine diversa dal reale all'esterno della sua "famiglia Addams", come l'ha definita con ironico strazio la figlia vittima di un padre che non è degno di questo nome.
Le sfortunate e dignitose figlie di quello che loro stesse definiscono "un mostro": Piccolomo |
Colpisce come sia riuscito anche a far credere alla giustizia che la morte della moglie è stata una disgrazia. Ecco la carenza delle Istituzioni. Eppure le figlie avevano iniziato a parlare già da allora. Si è dovuti giungere al mostruoso ed efferato delitto della povera conoscente a cui ha mozzato le mani per fermare questa bestia sanguinaria, incestuosa e lussuriosa.
Trovo molto probabile, dunque, che Lidia Macchi l'abbia uccisa lui, nonostante persino le sue innocenti figlie stentino a credere alle sue macabre vanterie.
Come il mostro di Firenze, dietro la maschera del contadino bonaccione, nascondeva l'assassino dell'uomo che si accoppiava con la sua fidanzata, il violentatore abituale anch'egli delle povere sue figlie, così quest'altro mostro può benissimo aver collezionato altri delitti dietro la sua maschera sociale.
Lidia uscì dall'ospedale e si avviò nel parcheggio buio, potrebbe essersi accostato con un coltello il mostro, che l'ha poi violentata ed uccisa, minacciandola e spingendola all'interno della sua auto, quindi essersi portato nel luogo boscoso poco distante e lì aver consumato il delitto.
Le carenze investigative gli hanno consentito l'impunità e il continuare a distruggere altri esseri umani.
I mezzi di informazione hanno riportato le sue vanterie: “Nostro padre quando si alterava minacciava nostra madre con le testuali parole: “Guarda che non ci penso due volte a buttarti addosso una tanica di benzina e il fuoco non lascia prove”. Poi l'ha fatto.“Diceva sempre che i carabinieri non erano riusciti a trovare le prove e che non ce l’avremmo fatta nemmeno noi” , quali migliori testimoni delle figlie? m
Si vantava: "Ti faccio fare la fine di Carla Molinari". Ed ora è accertato che è stato lui, dunque era vanteria con fondamento di verità. Quindi perché, visto che nei casi riportati NON di semplici vanterie si trattava ma dietro c'erano i fatti, non si deve pensare che anche nel caso del delitto a sfondo sessuale di Lidia Macchi ci fosse dietro la verità?
Un pensiero mi va anche su quel povero prete e sugli altri due poveri innocenti che hanno sofferto per essere stati sospettati di aver ucciso Lidia Macchi.
Quanto è difficile il cammino della Giustizia!
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