Oscar Giannino ha detto di aver partecipato a suo tempo allo Zecchino D'Oro. Cino Tortorella, storico Mago Zurlì, ha detto che non è vero: negli Annuari della manifestazione canora per bambini canterini non esiste un tale nominativo e i bambini, da Regolamento, partecipavano tutti con i loro nomi e cognomi anagrafici!
Questa la scriviamo con colori adatti all'argomento: Oscar Giannino è malato, ora non v'è dubbio. La sua bizzarria nel vestire non era solo qualcosa di esibito per divertirsi. Eh, no! Questo poveruomo è affetto da vera e propria mitomania, che non è uno scherzo, è una malattia! Sintomo grave di psiconevrosi scrivono gli psichiatri!
Qualcuno tentava di spiegare il curriculum studiorum inventato con la volontà di dare a quello che diceva sull'economia un valore supportato da studi accademici, ma, a parte che nessuna persona sana di mente ed onesta millanta titoli accademici che non ha con l'aggravante di essere un personaggio pubblico, ora viene fuori pure che si è inventato di aver partecipato allo Zecchino D'Oro!
A cosa gli serviva dire questa cosa mai esistita?
Non gli poteva certo servire in politica!
Giannino ha una insopprimibile pulsione a mentire, ad inventare bugie, anche senza scopo, è più forte di lui, perché è malato.
Fate una piccola ricerca su siti di Medicina Psichiatrica e mi darete ragione!
Nella vita di ognuno di noi capita di incontrare gente che millanta di essere qualcosina in più di quello che è nella realtà: ma non investe tutta l'espressione della sua personalità, dunque si tratta di semplici millantatori, persone insicure, con qualche instabilità, che non sono necessariamente catalogabili come malate. Ma se un adulto mente su cose importanti che riguardano sé stesso, quello che è, poi inventa fatti mai avvenuti, dice bugie eclatanti e facilmente scopribili, senza un fine particolare che non sia solo la voglia di far credere agli altri qualsiasi sciocchezza gli passi per la disagiata mente, allora si parla di malattia.
Per fortuna non capita spesso di conoscere simili soggetti e se capita debbo dire che è un'esperienza sconvolgente, penosa. Il sentimento che suscitano è un misto di pietà e ripulsa, perché possono essere anche pericolosi.
Lascio, dunque, l'argomento agli specialisti e mi avventuro a parlare solo dei piccoli semplici millantatori.
Racconterò solo alcuni aneddoti occorsimi che sono emblematici di una millanteria che, solo apparentemente innocua, è diffusa nella Società. Trattasi di soggetti sicuramente frustrati che cercano di dare un'immagine di sé un poco più dorata di come è nella realtà, ma non inventando interamente come fa il mitomane, bensì indorando un poco qualcosa di reale e, per farlo, ricorrendo a mezzucci di vario tipo.
Pochi anni fa partecipai ad una riunione di un'Organizzazione Ambientalista di cui non farò il nome. Tale Convegno era stato organizzato con la presenza del Presidente di una Provincia e presso una Sala della sede di tale Istituzione. Il solerte e vanesio organizzatore aveva preparato un programma e fatta stampare una Locandina in cui, fra i vari Relatori, compariva una Ricercatrice dell'Università dove io, ahimé per lei, lavoravo. Costei fece il suo intervento con diapositive illustrando la situazione ambientale di alcuni Paesi esteri. Nulla di più e di diverso di semplice materiale documentaristico.
Era una donna di apparente età fra i 40-50 anni.
Dato che sono curiosa, guardai nell'Annuario, che la mia Università stampava tutti gli anni, cercando il suo nome. Non trovandolo nel Dipartimento citato in Locandina pensai che avesse cambiato Dipartimento. Guardai allora nell'elenco alfabetico, dove ci sono tutti i dipendenti dell'Istituzione: dall'usciere al Rettore. Il suo nome non c'era. Pensai: "Forse ha vinto il concorso quest'anno, quando l'Annuario era già andato in stampa!" Inserii allora il suo nome sul sito dell'Università là dove si possono cercare i dipendenti. Se aveva fatto la presa di servizio presso l'Ufficio del Personale Ricercatori sicuramente l'avevano inserita! Ma non c'era neppure lì. A questo punto inviai una e-mail al solerte organizzatore che, se persona seria, doveva aver controllato CHI inseriva nel programma ed i suoi reali titoli, pena la squalifica di simile Convegno! Egli mi rispose celermente dicendo che la "ricercatrice" li aveva aiutati molto come Organizzazione per portare argomenti sull'Ambiente, e mi fornì il suo indirizzo e-mail e numero di telefono, dicendosi sconcertato da quanto gli comunicavo e che "sì, certo, era imbarazzante e ne andava della serietà dell'Organizzazione".
Scrissi alla ricercatrice dicendole chi ero e dove lavoravo e chiedendo come mai non comparisse fra i dipendenti della mia Istituzione. L'imbarazzo fu evidente e dovette ammettere che "non era dipendente come scritto nel programma del Convegno, non collaborava neppure con un contratto presso quel Dipartimento, ma solo con un Professore che, a sua volta, aveva dei contatti e delle collaborazioni con Professori di quel Dipartimento della mia Università". Ben altra cosa!
Un'abitudine che mi colpisce è quella dei titoli in inglese. Però siamo in Italia!
Lunghe frasi in cui compaiono parole incomprensibili fra cui quasi sempre "Manager", "Special Project", "Digital Media Content Manager presso University of ..." Un po' come quando si scrive "gay", per parlare di omosessuale, o "escort" per parlare di prostituta: come se l'inglese mascherasse un po' qualcosa che non si vuole chiarissimo e che si vuole rimanga un poco fumoso in modo da nobilitarlo.
Su Linkedin ci sono molte di queste oscure qualifiche e mi è capitato di esplorarne una su una giovane donna che una volta abitava vicino a me.
Dato che la sua lunga qualifica in lingua inglese la collocava in una precisa Università Italiana dell'Alta Italia, sono andata sul sito di quella Università e l'ho cercata fra i dipendenti: non c'era. Eppure quella Università, a differenza di quella dove io lavoravo fino ad un anno fa (ora sono in pensione), mette fra i dipendenti anche persone a contratto per collaborazioni momentanee, specificandolo però! Ma la donna non c'era proprio!
Ecco, questi sono casi di millanteria. Magari la giovane che io conoscevo farà pure le cose che scrive, ma non le fa in quella Università che lei, per qualificarsi di più, inserisce nel suo profilo Linkedin.
Pochi anni fa partecipai ad una riunione di un'Organizzazione Ambientalista di cui non farò il nome. Tale Convegno era stato organizzato con la presenza del Presidente di una Provincia e presso una Sala della sede di tale Istituzione. Il solerte e vanesio organizzatore aveva preparato un programma e fatta stampare una Locandina in cui, fra i vari Relatori, compariva una Ricercatrice dell'Università dove io, ahimé per lei, lavoravo. Costei fece il suo intervento con diapositive illustrando la situazione ambientale di alcuni Paesi esteri. Nulla di più e di diverso di semplice materiale documentaristico.
Era una donna di apparente età fra i 40-50 anni.
Dato che sono curiosa, guardai nell'Annuario, che la mia Università stampava tutti gli anni, cercando il suo nome. Non trovandolo nel Dipartimento citato in Locandina pensai che avesse cambiato Dipartimento. Guardai allora nell'elenco alfabetico, dove ci sono tutti i dipendenti dell'Istituzione: dall'usciere al Rettore. Il suo nome non c'era. Pensai: "Forse ha vinto il concorso quest'anno, quando l'Annuario era già andato in stampa!" Inserii allora il suo nome sul sito dell'Università là dove si possono cercare i dipendenti. Se aveva fatto la presa di servizio presso l'Ufficio del Personale Ricercatori sicuramente l'avevano inserita! Ma non c'era neppure lì. A questo punto inviai una e-mail al solerte organizzatore che, se persona seria, doveva aver controllato CHI inseriva nel programma ed i suoi reali titoli, pena la squalifica di simile Convegno! Egli mi rispose celermente dicendo che la "ricercatrice" li aveva aiutati molto come Organizzazione per portare argomenti sull'Ambiente, e mi fornì il suo indirizzo e-mail e numero di telefono, dicendosi sconcertato da quanto gli comunicavo e che "sì, certo, era imbarazzante e ne andava della serietà dell'Organizzazione".
Scrissi alla ricercatrice dicendole chi ero e dove lavoravo e chiedendo come mai non comparisse fra i dipendenti della mia Istituzione. L'imbarazzo fu evidente e dovette ammettere che "non era dipendente come scritto nel programma del Convegno, non collaborava neppure con un contratto presso quel Dipartimento, ma solo con un Professore che, a sua volta, aveva dei contatti e delle collaborazioni con Professori di quel Dipartimento della mia Università". Ben altra cosa!
Un'abitudine che mi colpisce è quella dei titoli in inglese. Però siamo in Italia!
Lunghe frasi in cui compaiono parole incomprensibili fra cui quasi sempre "Manager", "Special Project", "Digital Media Content Manager presso University of ..." Un po' come quando si scrive "gay", per parlare di omosessuale, o "escort" per parlare di prostituta: come se l'inglese mascherasse un po' qualcosa che non si vuole chiarissimo e che si vuole rimanga un poco fumoso in modo da nobilitarlo.
Su Linkedin ci sono molte di queste oscure qualifiche e mi è capitato di esplorarne una su una giovane donna che una volta abitava vicino a me.
Dato che la sua lunga qualifica in lingua inglese la collocava in una precisa Università Italiana dell'Alta Italia, sono andata sul sito di quella Università e l'ho cercata fra i dipendenti: non c'era. Eppure quella Università, a differenza di quella dove io lavoravo fino ad un anno fa (ora sono in pensione), mette fra i dipendenti anche persone a contratto per collaborazioni momentanee, specificandolo però! Ma la donna non c'era proprio!
Ecco, questi sono casi di millanteria. Magari la giovane che io conoscevo farà pure le cose che scrive, ma non le fa in quella Università che lei, per qualificarsi di più, inserisce nel suo profilo Linkedin.