La tragedia di Civitanova Marche è lo spunto drammatico di riflessione su quanto del nostro destino è dovuto a noi stessi, alle nostre scelte, alla nostra capacità o incapacità di muoverci e quanto è dovuto alle scelte di chi crea leggi e regolamenti che stabiliscono confini dentro i quali dobbiamo muoverci.
Da: Cronache maceratesi.it sabato 6 aprile 2013 - Ore 20:26
Dai tre suicidi di Civitanova emerge un paese poco
civile
Le colpe della politica e la cieca visceralità di
tanta gente comune: da una parte l’abbandono degli “esodati” e dall’altra
l’avversione, stavolta assurda, per gli immigrati
di Giancarlo Liuti
Sono pieno di rabbia perché non è un paese civile quello in cui un essere umano rimane di colpo senza lavoro, non riesce a trovarne un altro e non ha né cassa integrazione né pensione. Forse Romeo Dionisi non rientrava, formalmente parlando, nella categoria degli esodati. Ma il punto non è questo. Il punto è che lui, la moglie Anna Maria Sopranzi e il cognato Giuseppe che abitava con loro hanno deciso di suicidarsi e dunque di esodarsi da soli nel senso proprio dell’esodo biblico di Mosè verso la terra promessa. Quale terra? Non la nostra di oggi, impietosa, crudele, perfino feroce. Una terra sognata, l’unica capace di cancellare le angosce e rendere sereni. La terra che c’è dopo la morte.
Indagare sulle ragioni che hanno spinto tre persone a farla finita e tentare di renderle esaurienti e financo giustificabili rischia di essere una profanazione degli indecifrabili misteri che si affollano nei sentimenti e nelle coscienze degli individui. La famiglia Dionisi non era poverissima, come oggi s’usa definire l’estrema povertà in base alle fredde statistiche sul reddito. Giuseppe, ex operaio calzaturiero, aveva una pensione di circa 900 euro mensili, Anna Maria ne aveva una di circa 500. E il capomastro Romeo, messo sul lastrico da un’impresa edile napoletana che poi era svanita nel nulla senza pagarlo, aveva pensato di potersela cavare da solo, rispettando le regole, mettendosi in proprio, aprendo una partita Iva, ottenendo un mutuo da una banca e da una finanziaria per versare i contributi che gli avrebbero garantito una decorosa vecchiaia. Ma, poi, la riforma Fornero: altri anni di attesa, col peso sempre meno sostenibile di 700 euro al mese per far fronte agli impegni e con l’aggiunta di 500 euro per l’affitto. Fatti i conti e posto che ogni risorsa fosse messa in comune, restavano 200 euro per tirare avanti in tre. Lui cercava lavoro, abbassandosi a manovale, in qualunque settore. Ma non aveva il Durc (altro ostacolo burocratico: “Documento Unico di Regolarità Contributiva”) e i lavori occasionali – molto rari e pagati pochissimo – non potevano essere che in nero. Debiti per i mutui? Debiti con l’Inps? Diecimila euro, pare. Da ultimo una cartella di Equitalia con la minaccia di pignorare la vecchia Panda. Fin qui le notizie fornite dall’informazione televisiva, cartacea e online. Notizie di cui prendo atto.
Ma c’è un particolare che emerge da ogni cronaca: la dignità di Romeo, di Anna Maria e di Giuseppe, il loro rifiuto di chiedere – quasi mendicare – un qualsiasi aiuto anche pubblico, il considerarsi titolari di un diritto – il diritto, appunto, alla dignità – di fronte alla cui violazione (per la crisi economica, la speculazione finanziaria, l’evasione fiscale, la diffusa illegalità nella società civile) si sentivano impotenti e penosamente rassegnati. E’ questo, credo, che ha spalancato in quegli animi l’abisso di una ineluttabilità impossibile da affrontare con le loro deboli forze. (“Io voglio mettermi a posto con la legge”, diceva Romeo illudendosi, da uomo onesto, nella supremazia di quel diritto). Lo sconforto, l’incubo dello sfratto (“Tranquilli”, li rassicurava inutilmente il proprietario dell’appartamento, “sono vostro amico, mi pagherete quando potrete”). E, infine, il rischio del pignoramento dell’auto. Il fallimento, così parve a loro, di un’intera esistenza. Forse il rimorso per gli errori commessi. Forse qualche reciproco dissapore. Ma ripeto: nel gesto estremo di uccidersi c’è sempre qualcosa che prescinde dalla realtà oggettiva dei fatti, qualcosa che riguarda la fragilità della psiche e dell’istinto di sopravvivenza. Qui mi fermo: questo confine non va superato, la pietà esige un attonito e misericordioso silenzio.
Ma ribolle in me un altro genere di rabbia che non voglio nascondere, perché non è un paese civile quello in cui una simile tragedia scatena, come sta accadendo, sfrenate speculazioni politiche in vista di probabili nuove elezioni e tanta cosiddetta gente comune – si leggano parecchi commenti su Cm – ne trae l’occasione di aggredire verbalmente sia il sindaco Tommaso Claudio Corvatta per avere ospitato a casa sua, a Natale, una famiglia Rom con una donna incinta e un’altra malata di cancro, sia Laura Boldrini, il nuovo presidente di Montecitorio e già collaboratrice dell’Onu sullo scottante tema mondiale dei rifugiati per guerre, persecuzioni e genocidi. Con la terribile vicenda di Romeo, Anna Maria e Giuseppe l’amministrazione comunale civitanovese non c’entra assolutamente nulla e nulla avrebbe potuto fare per impedirla e nulla le era stato chiesto – per dignità, per pudore – dalle stesse vittime. Ancora meno c’entra Laura Boldrini, la cui figura di donna non militante in alcun partito e portatrice di lunghe esperienze internazionali rappresenta invece un passo avanti – non sgradito perfino ai Cinque Stelle – nell’evoluzione democratica del nostro paese. Eppure questa orribile storia ha fatto emergere, assurdamente e paradossalmente, quel viscerale disprezzo verso gli immigrati, ai quali tutto – e troppo – si può magari rimproverare ma la cui presenza non va in alcun modo collegata al suicidio di Romeo, Anna Maria e Giuseppe. Perché, allora, questa totale perdita del lume degli occhi? Perché questa incapacità di distinguere, riflettere, capire? Solo collera contro la politica? Diciamo di sì. Anche in questa sciagura, infatti, la politica – la vecchia politica, quella di due, quattro, dieci, venti, trent’anni fa – ha le sue colpe e l’ho detto all’inizio. Ma temo che alla radice ci sia qualcosa di peggio. Ed è che purtroppo, per un verso e per l’altro, non siamo un paese civile.
Ho scelto questo articolo di una cronaca più locale perché, a differenza della genericità di altri, dice più precisamente i fatti, dai quali non si può prescindere se si vuole fare una serena riflessione.
Primo dato è la reale situazione economica della famiglia dal punto di vista dell'introito mensile: in tutto euro 1.400, giacché il fratello di lei, che si è suicidato dopo di loro, viveva insieme alla coppia.
Non era certo una gran cifra, ma era sempre qualcosa.
Quello di cui ha colpa la società, invece, è la situazione di Romeo, il punto debole che ha ulteriormente indebolito la già risicata situazione economica.
Non è vero che egli fosse un esodato, come sottolinea l'articolista e come io avevo capito filtrando le notizie che arrivano in ogni forma, colpa di un giornalismo superficiale ed ignorante. La figura dell'esodato ha una connotazione ben precisa: è una persona che ha fatto un patto con lo Stato e che lo Stato non ha rispettato, causa la dissennata gestione della Cosa Pubblica degli ultimi vent'anni almeno. Senza stipendio e senza pensione ci stava pure Romeo COME gli esodati, ma per ragioni affatto diverse.
L'impresa edile per la quale lavorava era fallita e non l'aveva pagato. Ecco, prima colpa di come lo Stato si dà leggi e regolamenti che non tutelano l'onesto e consentono al disonesto di approfittare sempre e comunque. Nella mia esperienza di vita, per ragioni diverse ed ambienti diversi, ho constatato che in questo Paese si può creare una Società, fallire, sparire dando un indirizzo fittizio, poi ricicciare con altre ragioni sociali a più riprese continuando a far piangere dipendenti e fornitori.
Possibile che non ci sia un modo per porre fine a queste "economie truffaldine"? Magari con un maggior rigore e controllo su queste Società? Magari privando chi le mette su dei salvacondotti che consentono di non rifarsi sui beni dell'imprenditore e dei suoi familiari a cui, di solito, intestano i beni di famiglia per salvaguardarli dal fallimento?
Romeo DOVEVA essere messo in grado dalle leggi di questo Paese di avere i suoi soldi. Invece, spesso per non dire sempre, servono altri soldi per avvocati per recuperare quelli dei propri crediti. In questo aspetto sta una parte della colpa della morte di Romeo e dei suoi cari conviventi.
E qui subentra l'INPS. Romeo apre una partita IVA e deve versarsi i contributi per una pensione che ora non prenderà più, ma quei contributi l'INPS se li terrà, come molti altri. Perché? L'INPS deve essere una PREVIDENZA, ed invece si è trasformata in una sanguisuga, in un Moloc che vuole i contributi ciecamente, anche senza logica, col solo scopo di impinguare le proprie casse.
Ma Romeo era la vittima sacrificale giusta: era l'uomo onesto che non può che vivere rispettando le regole.
Se si faceva furbo avrebbe potuto fare i suoi lavoretti in nero e poi, dopo una certa età, chiedere la pensione sociale, se i contributi che il datore di lavoro gli aveva versati (ammesso e non concesso che l'avesse fatto!) non erano sufficienti per ottenerla! Senza la proprietà di una casa e senza lavoro credo ne avesse i requisiti. Attendo smentite da chi ne sa più di me in materia.
E qui bisogna parlare della disonestà di tanta gente comune che i lavoretti in nero NON LI PAGA, o li paga con immensi ritardi... Anche questa gente ha ucciso un po' Romeo e la sua dignità per prima... So da persone che hanno fatto piccoli lavori edili presso la mia abitazione che noi siamo un'eccezione, perché paghiamo subito il saldo, il giorno che il lavoro finisce, perché prima abbiamo già dato un anticipo... Ci raccontano cose che dimostrano che sì, è vero, la nostra società non è civile affatto. Ma per questo e non solo per la ragione che l'articolista mette nel suo articolo. Infatti, dalla mia serena posizione di persona aperta a tutte le razze e a tutte le culture, posso serenamente dissentire su quello che il giornalista Giancarlo Liuti scrive: "quel viscerale disprezzo verso gli immigrati". Se c'è è di pochi, gli Italiani sono un popolo abbastanza accogliente. Quello che non va bene è l'immigrazione forzata ed illegale che comporta altre spese e disordine sociale ed ignorarlo è ipocrita. Non bisogna poi ignorare che certa immigrazione fa comodo a certe Associazioni senza fini di lucro, che così possono succhiare finanziamenti pubblici e quindi vivere.
Mi spiace ma non posso neppure essere indulgente con il sindaco che ospita a Natale la famiglia Rom con la donna incinta e una malata di cancro. A che pro? Per dimostrare cosa? Non tutti gli zingari, ma molti, non si vergognano di mendicare, anzi, fa parte della loro cultura, per me inaccettabile perché presuppone che ci sia un'altra cultura che produce per loro, quindi la loro è una cultura parassitaria. Se io scelgo di vivere come i Rom sono dunque da non giudicare male se faccio dormire i miei figli in una roulotte, se li mando a mendicare? Oppure debbo rispettare le leggi di questo Paese? Se mi ammalo di cancro o se debbo partorire è giusto che gli ospedali mi accolgano perchè pago le tasse da generazioni, e lo posso dimostrare. Perché i Rom non pagano le tasse per avere gli stessi diritti? E non mi si venga a tirare fuori la carità, perché qui stiamo parlando di diritti e di doveri. Anna Maria, Romeo, Giuseppe, avevano avuto i prelievi dello Stato dai loro magri introiti e SI VERGOGNAVANO A MENDICARE, a differenza dei Rom. Per questo e solo per questo la gente si indigna. Bisogna essere pragmatici, guardare in faccia la realtà e non i gesti di pura facciata come quello fatto dal sindaco a Natale.
Ma torniamo sull'INPS ed al tanto sospirato DURC da Romeo che, pateticamente, nel foglietto che il Presidente del Consiglio Comunale ha mostrato alle telecamere aveva scritto "DURCH".
Quel documento gli serviva solo nel caso in cui avesse dovuto fatturare ad un Ente Pubblico, giacché solo le Pubbliche Amministrazioni non possono pagare se il fornitore del servizio non è in regola con la contribuzione INPS, INAIL e, se non ricordo male, Cassa Edili nel suo caso. Ma la gente come Romeo ha paura, subisce in toto le regole che vengono dall'alto, anche quando, come nei casi come il suo, sono regole che non si attenuano per le situazioni di estrema necessità. Per contro, apprendo dal TGR Lazio, che a Latina prendevano la pensione INPS delle zingare per invalidità dovuta a depressione...
Da una parte i rubinetti chiusi, a meno che gente come Romeo non si indebiti per "metterci l'acqua", e dall'altra il furto dei rubinetti rotti con "l'acqua che esce a rotta di collo"! Anche questa gente ha ucciso un po' Romeo.
Bisogna riformare l'INPS, ma non come ha fatto "lacrime di coccodrillo" Fornero.
Bisogna consentire alla gente l'opzione di scegliere di non pagare i contributi all'INPS e farsi un'assicurazione se gli va, oppure niente, visto che quasi niente avranno pure quelli che riusciranno a versare contributi fino a 70 anni (sempre se ci arrivano!). Basta con questo Carrozzone Statale che dà pensioni a chi lo truffa e chiede soldi ai Romeo!
Ho già scritto in un post che è vergognoso ed insensato che non ci sia aumento di pensione oltre i 40 anni di contributi ma, se si continua a lavorare, l'INPS pretenda ugualmente i versamenti. Per farne cosa se non incamerarli proditoriamente? Quale legge, quale regolamento iniquo consente un simile obbrobrio a senso unico? Non hai contributi sufficienti? Mi incamero quelli che hai oppure vai ad indebitarti per pagarmeli!
Hai superato i 40 anni di contributi? La pensione è sempre quella legata a quei versamenti, ma se vuoi lavorare devi versarmi altri contributi ugualmente! Per quale previdenza? Perché di previdenza si tratta, o no??!! Allora è furto.
Avete presente la mitica scena del film "Non ci resta che piangere"? Con quei due geni di Massimo Troisi e Roberto Benigni: i gabellieri ottusi che ripetevano sordamente senza pensare e senza ragionare "Un fiorino, un fiorino, un fiorino", qualsiasi movimento i due esterrefatti protagonisti facessero avanti o indietro. Ecco è lo specchio della nostra Previdenza applicata ottusamente.