Ogni tanto capita di parlare con persone vere: persone che non si atteggiano ad essere più di quello che sono, che dicono cose semplici e reali, che esprimono le loro opinioni con semplice umiltà... e se ne esce un poco arricchiti.
Una domenica d'ottobre sulla spiaggia di Sabaudia, con un mare calmo, un sole inaspettato, niente vento... I miei figli maschi, le mie nuore, tre nipoti... amici simpatici di uno dei miei figli sparsi a godersi questo regalo di sole sulla bella spiaggia ed io che, per non riempirmi le scarpe di sabbia mi fermo sulla scaletta di legno e guardo loro, il mare, il bellissimo promontorio. Non c'è quasi nessuno alle cinque del pomeriggio. Sulla scaletta, un poco discosto da me, un bel vecchio si appoggia alla balaustra e guarda il mare. Ha un cappello chiaro a coppola, un viso invecchiato bene nelle sue profonde pieghe, i calzoni rigirati sulle caviglie che scoprono i piedi nudi dentro dei sandali aperti.
Qualcuno ha lasciato in un pianerottolo della scala di legno, che consente l'accesso al mare attraversando la splendida duna, una specie di carretto "fai-da te" ricavato da due ruote di bici su cui ha saldato un piano di ferro. Il piano è pieno di buste, lattine, alcune cassette con rifiuti vari. L'ho già guardato disgustata e desolata ad un tempo insieme ad altri rifiuti sparsi sulla sabbia bionda, così insultata, alle bottiglie di plastica che giacciono sulla duna, quando il vecchio con un sorriso dolce mi rivolge la parola in un italiano perfetto, senza inflessioni dialettali:
"Hanno lasciato anche il carbone."
Lo guardo senza capire e lui, con un gesto appena accennato del suo bastone di bambù, mi indica l'orribile carrello con la sua paccottiglia di rifiuti.
Finalmente capisco e sorrido anch'io, senza gioia: "Facevano fatica a portare tutta questa roba fino alla strada e gettarla nei cassonetti."
"E' tutto così, - dice lui pacatamente - io abito qui sopra - e accenna alla Litoranea - e se vede sotto il bosco: c'è immondizia che sta lì da anni. E non la leva nessuno, si accumula."
Il suo tono è pacato, senza rabbia: una pacata constatazione rassegnata.
"Parlano, parlano, ma nessuno fa niente." Dice con una smorfia dolce che vorrebbe essere un sorriso.
"E' sempre stato così. Non cambia niente. Parlano, parlano e non cambia niente."
Lo guardo ascoltandolo conquistata dal suo tono civile e rassegnato.
"Dove abita, in Via Sant'Andrea?" Chiedo.
"Sì. Abito là. Tutti i giorni faccio una passeggiata fino qui. Io ho quasi novant'anni." Sorride dolcemente nel farmi questa rivelazione.
"Complimenti!" Gli dico sinceramente. E' così lucido, pacato e presente come non sono persone molto più giovani di lui.
Gli dico anch'io qualcosa di me: che ho da nove anni due case lì, una mia ed una di mia figlia, che ne sto costruendo un'altra, ma che non sono di Sabaudia.
Lui mi dice che nemmeno lui lo è. "Sono di Frosinone." E nomina un paese di quella provincia.
"Mi sono fermato qui dopo lo sconguasso della guerra. Qui era tutto distrutto: fra tedeschi e americani che ci bombardavano. Gli americani mi portarono via con loro. Avevano bisogno di braccia. Ho detto "Va bene..", mi hanno portato fino a Napoli, poi mi hanno lasciato libero. Da Napoli sono tornato a piedi fino qui. Eravamo un gruppo.. via via qualcuno prendeva una strada diversa verso il suo paese... alla fine ero rimasto solo. Mi sono fermato qui perché avevo uno zio qua."
"Tanta gente è tornata a piedi: addirittura so di una persona che è tornata dalla Germania a piedi dove era prigioniero in un campo di concentramento..." Ricordo io.
"Qui era tutta una distruzione... Case, strade... Tutto distrutto." Parla senza enfasi, con una dolce malinconia.
Io penso alla forza titanica che deve aver avuto la gente per ricostruire tutto e dico qualcosa in proposito, commentando che ora si sta distruggendo tutta questa fatica con sperperi protratti per anni ed anni: opere che costano il triplo, il quadruplo di quello che dovrebbero... spesso lasciate a metà... peggio dunque... soldi buttati.
Parlo io per prima di Mussolini: il "pazzo" tanto odiato da mio padre. Parlo delle opere pubbliche avveniristiche che ha fatto, come l'Università oggi chiamata solo "Sapienza", per decreto del Rettore Giorgio Tecce pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
"Era sovradimensionata per quei tempi. Faceva opere per il futuro."
"E le faceva in poco tempo." Concorda il vecchio.
Non credo sia un nostalgico, si trova d'accordo con me sugli sbagli madornali del "pazzo", primo fra tutti l'alleanza con il "mostro" Hitler.
Con un sorriso di bonaria ironia dice: "Hitler disse che avrebbe invaso la Russia e l'avrebbe conquistata in otto settimane... Sono cinquantasei giorni... Se prendi un'auto oggi e fai un giro turistico della Russia non ce la fai a girarla in 56 giorni! Mi dica come poteva pensare di conquistarla!"
Ridiamo al pensiero di tanta follia.
Poi parliamo ancora di quel periodo storico e di nuovo di oggi, del rispetto della cosa pubblica che non c'è: la pensilina della fermata del bus fatta nuova e distrutta dopo pochi giorni, e così la scaletta di legno per giungere al mare, e gli imbrattamenti dei muri... Ci distanziano 20 anni eppure pensa come me o io penso come lui. Mi ha detto l'età precisa: 87 anni.
"Una volta non si studiava tanto, ora vanno a scuola tutti: dovrebbe esserci più educazione... invece.." Mi guarda quasi interrogativo, quasi aspettasse da me una spiegazione a questa cosa che, certo, logica non è.
La nostra bella e interessante conversazione viene interrotta da qualcosa di tiepido che mi preme dolcemente e lievemente dietro la spalla: mi giro e trovo il sorriso bellissimo del mio nipotino Marco che, silenzioso, mi è arrivato alle spalle per farmi uno scherzetto.
La nostra breve amicizia finisce qui. Ci salutiamo con un reciproco sorriso. Raramente mi capita di fare una conversazione così ricca di contenuti.
Lui ha parlato senza sbagliare un verbo, in italiano perfetto e con la sua splendida semplicità mi ha detto: "Io facevo il pastore...".
Una domenica d'ottobre sulla spiaggia di Sabaudia, con un mare calmo, un sole inaspettato, niente vento... I miei figli maschi, le mie nuore, tre nipoti... amici simpatici di uno dei miei figli sparsi a godersi questo regalo di sole sulla bella spiaggia ed io che, per non riempirmi le scarpe di sabbia mi fermo sulla scaletta di legno e guardo loro, il mare, il bellissimo promontorio. Non c'è quasi nessuno alle cinque del pomeriggio. Sulla scaletta, un poco discosto da me, un bel vecchio si appoggia alla balaustra e guarda il mare. Ha un cappello chiaro a coppola, un viso invecchiato bene nelle sue profonde pieghe, i calzoni rigirati sulle caviglie che scoprono i piedi nudi dentro dei sandali aperti.
Qualcuno ha lasciato in un pianerottolo della scala di legno, che consente l'accesso al mare attraversando la splendida duna, una specie di carretto "fai-da te" ricavato da due ruote di bici su cui ha saldato un piano di ferro. Il piano è pieno di buste, lattine, alcune cassette con rifiuti vari. L'ho già guardato disgustata e desolata ad un tempo insieme ad altri rifiuti sparsi sulla sabbia bionda, così insultata, alle bottiglie di plastica che giacciono sulla duna, quando il vecchio con un sorriso dolce mi rivolge la parola in un italiano perfetto, senza inflessioni dialettali:
"Hanno lasciato anche il carbone."
Lo guardo senza capire e lui, con un gesto appena accennato del suo bastone di bambù, mi indica l'orribile carrello con la sua paccottiglia di rifiuti.
Finalmente capisco e sorrido anch'io, senza gioia: "Facevano fatica a portare tutta questa roba fino alla strada e gettarla nei cassonetti."
"E' tutto così, - dice lui pacatamente - io abito qui sopra - e accenna alla Litoranea - e se vede sotto il bosco: c'è immondizia che sta lì da anni. E non la leva nessuno, si accumula."
Il suo tono è pacato, senza rabbia: una pacata constatazione rassegnata.
"Parlano, parlano, ma nessuno fa niente." Dice con una smorfia dolce che vorrebbe essere un sorriso.
"E' sempre stato così. Non cambia niente. Parlano, parlano e non cambia niente."
Lo guardo ascoltandolo conquistata dal suo tono civile e rassegnato.
"Dove abita, in Via Sant'Andrea?" Chiedo.
"Sì. Abito là. Tutti i giorni faccio una passeggiata fino qui. Io ho quasi novant'anni." Sorride dolcemente nel farmi questa rivelazione.
"Complimenti!" Gli dico sinceramente. E' così lucido, pacato e presente come non sono persone molto più giovani di lui.
Gli dico anch'io qualcosa di me: che ho da nove anni due case lì, una mia ed una di mia figlia, che ne sto costruendo un'altra, ma che non sono di Sabaudia.
Lui mi dice che nemmeno lui lo è. "Sono di Frosinone." E nomina un paese di quella provincia.
"Mi sono fermato qui dopo lo sconguasso della guerra. Qui era tutto distrutto: fra tedeschi e americani che ci bombardavano. Gli americani mi portarono via con loro. Avevano bisogno di braccia. Ho detto "Va bene..", mi hanno portato fino a Napoli, poi mi hanno lasciato libero. Da Napoli sono tornato a piedi fino qui. Eravamo un gruppo.. via via qualcuno prendeva una strada diversa verso il suo paese... alla fine ero rimasto solo. Mi sono fermato qui perché avevo uno zio qua."
"Tanta gente è tornata a piedi: addirittura so di una persona che è tornata dalla Germania a piedi dove era prigioniero in un campo di concentramento..." Ricordo io.
"Qui era tutta una distruzione... Case, strade... Tutto distrutto." Parla senza enfasi, con una dolce malinconia.
Io penso alla forza titanica che deve aver avuto la gente per ricostruire tutto e dico qualcosa in proposito, commentando che ora si sta distruggendo tutta questa fatica con sperperi protratti per anni ed anni: opere che costano il triplo, il quadruplo di quello che dovrebbero... spesso lasciate a metà... peggio dunque... soldi buttati.
Parlo io per prima di Mussolini: il "pazzo" tanto odiato da mio padre. Parlo delle opere pubbliche avveniristiche che ha fatto, come l'Università oggi chiamata solo "Sapienza", per decreto del Rettore Giorgio Tecce pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
"Era sovradimensionata per quei tempi. Faceva opere per il futuro."
"E le faceva in poco tempo." Concorda il vecchio.
Non credo sia un nostalgico, si trova d'accordo con me sugli sbagli madornali del "pazzo", primo fra tutti l'alleanza con il "mostro" Hitler.
Con un sorriso di bonaria ironia dice: "Hitler disse che avrebbe invaso la Russia e l'avrebbe conquistata in otto settimane... Sono cinquantasei giorni... Se prendi un'auto oggi e fai un giro turistico della Russia non ce la fai a girarla in 56 giorni! Mi dica come poteva pensare di conquistarla!"
Ridiamo al pensiero di tanta follia.
Poi parliamo ancora di quel periodo storico e di nuovo di oggi, del rispetto della cosa pubblica che non c'è: la pensilina della fermata del bus fatta nuova e distrutta dopo pochi giorni, e così la scaletta di legno per giungere al mare, e gli imbrattamenti dei muri... Ci distanziano 20 anni eppure pensa come me o io penso come lui. Mi ha detto l'età precisa: 87 anni.
"Una volta non si studiava tanto, ora vanno a scuola tutti: dovrebbe esserci più educazione... invece.." Mi guarda quasi interrogativo, quasi aspettasse da me una spiegazione a questa cosa che, certo, logica non è.
La nostra bella e interessante conversazione viene interrotta da qualcosa di tiepido che mi preme dolcemente e lievemente dietro la spalla: mi giro e trovo il sorriso bellissimo del mio nipotino Marco che, silenzioso, mi è arrivato alle spalle per farmi uno scherzetto.
La nostra breve amicizia finisce qui. Ci salutiamo con un reciproco sorriso. Raramente mi capita di fare una conversazione così ricca di contenuti.
Lui ha parlato senza sbagliare un verbo, in italiano perfetto e con la sua splendida semplicità mi ha detto: "Io facevo il pastore...".