Romano Prodi: “D’Alema mente. Siamo in una gabbia di matti, e la chiave è persa”
In una lettera al Corriere della Sera l'ex dirigente Pci nega di essere stato lui il regista del complotto. Il professore al Fatto: "Quei giorni del 1998 hanno una loro storia, ci sono dei fatti. E quelli restano”
Al professor Romano Prodi, come sempre, bastano poche parole. “Le cose non andarono così e non capisco neppure perché lo abbia fatto”. Si riferisce alla lunghissima lettera al Corriere della Sera nella quale Massimo D’Alema ricostruisce gli ultimi giorni del primo governo Prodi, quando l’allora segretario dei Democratici di sinistra prese il posto a Palazzo Chigi dell’unico esponente del centrosinistra che sia mai riuscito a sconfiggere Silvio Berlusconi.
Il governo guidato dal professore – ministro della Difesa Nino Andreatta, alla Giustizia GiovanniMaria Flick, al Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, non un governicchio, per intenderci – restò in carica per due anni, cinque mesi e quattro giorni, ma venne affossato da quello che sostanzialmente le cronache di allora ci raccontarono come un complotto dello stesso D’Alema, appoggiato nel suo disegno da Franco Marini. E D’Alema, ieri, forse richiamato in causa da molti che vedono quello tra Letta e Renzi come un remake di quelle trame, o forse spinto da altri giochi, ridisegna la storia di quei giorni. Ma lo fa spostando troppe pedine e persone. In sostanza dice che gli errori furono tutti di Prodi, che avrebbe voluto il voto, mentre il presidente della Repubblica di allora, Oscar Luigi Scalfaro, non voleva e non aveva la minima intenzione di sciogliere le Camere. E così la scelta, dopo aver sondato Ciampi, ricadde su lui, Massimo D’Alema. Non solo: secondo l’ex premier diessino, fu determinante l’azione esclusiva di Francesco Cossiga che bocciò Prodi e affossò la possibilità di un governo Ciampi.
Prodi, raggiunto al telefono dal Fatto Quotidiano, non solo dice che così le cose non andarono, ma spiega di far “molta fatica a capire perché sia stata scritta quella lettera”. E, aggiunge, disarmante, ma tutt’altro che disarmato: “Ormai siamo in una gabbia di matti e qualcuno ha buttato via la chiave. Ma non voglio andare oltre. Quei giorni del 1998 hanno una loro storia, ci sono dei fatti. E quelli restano”.
Cosa accadde, retroscena a parte, è noto. E che un complotto di D’Alema ai danni di Prodi ci fu, lo sappiamo anche grazie a una intervista che Franco Marini rilasciò nel maggio 2001 al Corriere della Sera. Sia Marini, sia D’Alema in quei giorni avevano l’interesse di affossare Prodi. C’era un patto tra i due per far saltare Prodi e con lui lo spirito ulivista della coalizione. Obiettivo dell’accordo, ricordava nel 2001 Marini, era esaltare piuttosto il potere dei due partiti, Ds e Ppi. Al primo, con D’Alema a Palazzo Chigi, sarebbe spettata la presidenza del Consiglio. Al secondo sarebbe spettato nel 1999 il Quirinale. Poi il patto saltò quando al Quirinale andò Ciampi e Marini non la prese bene, ma questa è un’altra storia. Quel 9 ottobre 1998 Prodi rimase stritolato e con lui il futuro del centrosinistra.
In quell’autunno del 1998 a Marini spettò il compito di lavorare ai fianchi gli umori di Cossiga, decisivo in quell’equilibrio fragile (il governo Prodi non ottenne la fiducia per un voto) e D’Alema invece dovette ingraziarsi il Vaticano. Perché in quel momento un post comunista alla presidenza del Consiglio non era assolutamente gradito nella Chiesa. Ma c’è un passaggio chiave in tutto questo: il leader degli allora Ds, proprio in quei giorni, da presidente del Consiglio quasi incaricato, riesce a farsi ricevere pochi minuti da papa Giovanni Paolo II. Clemente Mastella definirà il colloquio “amorevole”.
Sembra storia vecchia, archeologia, ma in realtà, da quel momento in poi, D’Alema aprirà la breccia per quelle che sono le larghe intese che – pur essendosi materializzate solo anni dopo – già erano nell’aria da tempo. L’epilogo lo conosciamo. D’Alema a Palazzo Chigi durò abbastanza poco. Il primo a voltargli le spalle fu proprio quel Marini che oggi il nostro ha dimenticato nella lettera alCorriere della Sera. Così come vengono dimenticati un’altra serie di particolari.
A chi voglia rivolgersi D’Alema non lo sappiamo. Forse invita Renzi a darsi una calmata. Prodi non ne ha proprio idea. Più maliziosi, invece, sono i pensieri dei prodiani che non vedono altra lettura possibile: “Si tratta del seguito della guerra dei 101, secondo noi molti di più, e della mancata elezione di Prodi al Quirinale. Solo a questo gioca D’Alema”.
Da Il Fatto Quotidiano del 13 febbraio 2014
Posso aggiungere a questo i miei ricordi personali: Prodi disse che D'Alema "era stato spietato" e questo fu riportato dai giornali.
L'impressione generale fu che D'Alema aspirava ad essere Presidente del Consiglio dei Ministri, quindi, sfilata la sedia da sotto il sedere di Prodi, ci si sedette lui.
Una cosa che mi colpì fu che l'ex-comunista in eschimo si precipitò a far visita al Papa e poi al Presidente degli USA.
Tornò dagli States con un finanziamento della Philips Morris per la Fondazione di cui si nominò Presidente.
"Philips Morris, una delle compagnie di tabacco leader nel mondo, è tra i finanziatori di Italianieuropei di Massimo D'Alema" Fonte: L'Espresso
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