di: Luzzatto Sergio
(5 luglio 2006) - Corriere della Sera
Albertazzi, la Rsi e quel delitto del ' 44
Tre prigionieri inglesi fucilati sul Grappa in un feroce rastrellamento antipartigiano
Anticipiamo un estratto da un saggio su Albertazzi e la Rsi contenuto nel numero in uscita della rivista «MicroMega». «Il torbido mi attrae, perché sono solare e non ho alcun pregiudizio moralistico né etico-cattolico. Sono introvabile e scompaio sempre, chiunque può fare di me quello che vuole, ma se stringe il pugno sono svanito: sono aria e inconsistenza»: così Giorgio Albertazzi nella sua autobiografia del 1988. Ma di recente, lavorando sulle carte dell' Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, una studiosa vicentina - Sonia Residori, che sta ultimando un' ampia ricerca sulla violenza fascista nel Veneto centrale - lo ha pur trovato, il «sottotenente Albertazzi Giorgio». E ha potuto riscontrare quanto poco i pregiudizi della morale cattolica abbiano frenato lui e gli altri legionari di Salò che contribuirono ai fasti dell' «operazione Piave» (il grande rastrellamento antipartigiano sul Monte Grappa del settembre 1944, ndr). Il documento d' archivio è contenuto nella busta Tagliamento, che contiene copia degli atti del processo contro una quindicina di legionari celebrato dopo la Liberazione dal Tribunale militare territoriale di Milano, e giunto a sentenza nel 1952. Datato da Staro (presso Recoaro) il 28 settembre 1944, consiste nel diario delle operazioni compiute dalla terza compagnia del 63° battaglione M durante gli otto giorni compresi fra il 20 e il 27 del mese. Più esattamente, si tratta di una Relazione sull' azione «Piave» firmata dal responsabile della compagnia, il tenente Giorgio Pucci, e da lui inoltrata al comando di battaglione. Appena due pagine dattiloscritte, che permettono tuttavia di ricostruire con precisione - giorno per giorno, e quasi ora per ora - i movimenti degli ottantanove legionari agli ordini di tre ufficiali: lo stesso tenente Pucci e i sottotenenti Prezioso e Albertazzi, rispettivamente a capo del primo e del secondo plotone fucilieri. Da Solagna, gli uomini della terza compagnia avevano risalito i contrafforti del Grappa attraverso la valle di santa Felicita, attestandosi al limite del bosco di Monte Oro. Nel secondo giorno di operazioni, avevano fatto prigionieri «n. 3 inglesi e n. 3 italiani». Il primo scontro a fuoco era avvenuto il 22 settembre: intercettata una «pattuglia di banditi», i legionari avevano prontamente reagito, «uccide(ndo) un bandito e costringe(ndo) la pattuglia nemica a scendere precipitosamente in basso». Ore dopo, un secondo scontro a fuoco si era facilmente concluso a loro vantaggio («poche raffiche bastarono per uccidere n. 4 banditi»). Alla fine dell' intensa giornata, la compagnia si era disposta a sbarramento della valle delle Foglie: ma non prima di avere fatto altri prigionieri, «n. 5 individui nascosti nel bosco». La marcia di ritorno verso Solagna era cominciata il 24, «su tre direttrici per il rastrellamento di uomini e degli armenti». Cinque i «renitenti alla leva» catturati quel giorno, in cui fra l' altro si era provveduto a fucilare i tre prigionieri inglesi; sette gli ostaggi dell' indomani («n. 6 renitenti alla leva ed un disertore dell' esercito repubblicano»). La terza compagnia era rientrata a Solagna nella mattinata del 26, mentre già il tenente Pucci si preparava ad accompagnare la sua Relazione sull' «azione Piave» con un fiero «riepilogo dei banditi messi fuori combattimento». Il contenuto del diario del 63° battaglione M non va preso per oro colato. Forse più di ogni altro reparto della Guardia nazionale repubblicana, la legione Tagliamento risentì infatti il peso della retorica che la Bildung fascista trasmise alla generazione dei balilla. Lo ha detto bene Carlo Mazzantini nella sua propria testimonianza autobiografica, il libro di memorie - tanto più sincere che quelle di Albertazzi - intitolato A cercar la bella morte: i legionari di Salò vivevano di fanfare, e di miti falsi vissuti come veri. Sul versante non già della memorialistica, ma della storiografia, gli studiosi della Resistenza nel Novarese e nel Vercellese hanno sottolineato essi pure il carico di luoghi comuni che zavorravano il discorso del 63° battaglione. Un linguaggio standardizzato e iperbolico, dove l' attività dei plotoni veniva immancabilmente presentata come «intensa», e la reazione agli attacchi partigiani come «immediata e potente». Una sottovalutazione sistematica dei «banditi» partigiani, dei quali neppure si intendeva la tattica consistente nel sottrarsi allo scontro frontale, ogni volta definendone lo sganciamento come una «fuga precipitosa» Stando così le cose, il documento ritrovato in archivio da Sonia Residori va maneggiato con cautela. Ma quando lo si sfrondi della sua retorica e dei suoi stereotipi, è una fonte che parla chiaro allo storico. Dal 20 al 27 settembre 1944, un reparto fra i più sperimentati e agguerriti della Guardia nazionale repubblicana, il 63° battaglione M, collaborò con l' esercito tedesco a una gigantesca operazione di rastrellamento, che per le formazioni partigiane si risolse in una gravissima disfatta. Il battaglione era composto di varie compagnie, una delle quali, la terza, aveva per ufficiale il sottotenente Giorgio Albertazzi. Senza riuscire straordinario, il bottino militare conseguito dalla sola terza compagnia nel breve volgere di una settimana fu comunque degno di nota: oltre ai tre soldati inglesi passati per le armi, cinque i «banditi» italiani uccisi negli scontri a fuoco (tra cui il comandante della brigata Italia Libera Campocroce, Vico Todesco), venti quelli catturati (in gran parte deportati a Dachau, e mai più ritornati). Diversamente da quanto avrebbe scritto nelle sue memorie, Albertazzi non li ha visti soltanto «scappare», i partigiani, le «poche volte» che li ha visti. Li ha visti in catene, dopo averli fatti prigionieri. E li ha visti cadaveri, dopo avere loro sparato.
Sapevo dei trascorsi assassini di questo bravo attore bene invecchiato. Ma quanti lo sanno?
Mi ha colpito tempo fa vederlo in televisione in uno spettacolo congiunto con Dario Fo: quest'ultimo comunista, uomo di sinistra, dopo i trascorsi giovanili con camicia nera. Ma Fo in camicia nera non risulta che abbia mai ucciso: il bel vecchio Giorgio Albertazzi invece sì. Lo dicono i documenti ricordati in questo articolo.
Chi muore giace e chi vive ... dimentica sperando che anche gli altri lo facciano...
9 commenti:
tranquilla, signora, dorma tranquilla: non vi fiu nessun assassinio.....
Albertazzi venne accusato di aver partecipato ad una LEGITTIMA azione di guerra e venne assolto da un tribunale della repubblica. Se ogni combattente di una guerra fosse un assassino avremmo ognuno di noi almeno un boia in casa. Il fatto è che, anche per quanto riguarda il rastrellamento del Grappa, le cose andarono in maniera diversa da quella descritta dalla storia ufficiale. Quei ragazzi, cinquecento giovani quasi tutti appartenenti alla borghesia bene della pedemontana del Grappa, furono mandati a morire, per la pochezza dei capi partigiani che ignorarono gli inviti dei tedeschi a ritirarsi per un varco lasciato aperto e li mandarono a moriree, in 500 armati di schioppetti della prima guerra contro 8000 tedeschi e fascisti armati di tutto punto, su consiglio della Missione inglese del cap. Brietsche che aveva tutto l'interesse a tenere impegnati i tedeschi ritardando la loro presenza sulla linea gotica. Ovviamente i capi del Comando Unico Partigiano del Grappa si salvarono tuti, compreso il "Conte Rosso" Giovanni Tonetti(già responsabile dell'azione terroristica di Ca' Giustinian a Venezia, dove venne fatto scempio di militari della GNR e di civili) che, una volta catturato, vendette notizie ai fascisti in cambio della vita e di un'assistenza alla sua famiglia che venne protetta dai fascisti a Trento fino a fine guerra. Dopodiche' costui torno' a fare il comunista venendo eletto nelle liste del PSIUP al Parlamento italiano.
Come vede, signora, la storia assume tinte diverse, a seconda che si faccia intervenire o meno la verità.
Gino Melloni
Non so se anche il primo commento, in senso temporale, sia del Sig. Gino Melloni, ma il concetto del primo si lega al secondo.
Io dormo tranquilla. Cerco di interpretare la vita secondo un filo morale. Se uno uccide è un assassino. E' inutile schermarsi con le parole. Anche una donna che abortisce volontariamente interrompe il corso naturale di una vita, e dunque lo è.
Poi si può inquadrare ogni fatto in un contesto che lo rende più o meno grave dal punto di vista morale. La guerra ha reso assassini anche coloro che non volevano uccidere. Mio padre, pacifista, antifascista, per tutta la sua breve vita mi ha ripetuto: "Mi hanno mandato a combattere una guerra scatenata da un pazzo, una guerra di aggressione. Non potevi rifiutarti, altrimenti ti fucilavano. Perché io ho dovuto sparare a gente che non mi aveva fatto niente?" Ecco un uomo a cui è stato imposto di uccidere per non essere ucciso, non per un ideale di difesa della Patria attaccata dal nemico, giacché la guerra la dichiarò l'Italia. Albertazzi, invece, fece una scelta: per lui quel sistema era giusto, dunque ha scelto liberamente di aderire alla Repubblica di Salò e di uccidere quei partigiani e quei prigionieri. Gli va riconosciuta la coerenza a quell'idea per tutta la sua vita. Quanto al metamorfismo di tanti partigiani, al loro opportunismo e agli orrori e la viltà di certe azioni, siamo perfettamente d'accordo. Su questo blog ho pubblicato documenti storici di violenze carnali, seguite da uccisione, di bambine di tredici anni, perpetrate per vendetta da partigiani sulle colline dell'entroterra ligure.
Onore e rispetto per chi ha scelto di non tradire la Patria e l'alleato Tedesco. Guerra fraticida causata dal Maledetto Badoglio traditore di tutti noi italiani e per le sue scellerate azioni siamo schiavi degli angloamericani fino al 2043 causa quella resa senza condizioni firmata a Cassible nel 1943. Pochi sanno che da li a poco i nostri Piaggio P.108 stavano per bombardare New York!!!! Che la battaglia dell'atlantico la stavamo vincendo. Che se quel fesso di Mussolini invece di andare in russia, destinava tutto in libia avevamo preso Alessandria, canale di suez, fatti arrivare i rifornimenti dalle dalle nostre colonie alla madrepatria. preso i pozzi di petrolio del caucaso, chiuso lo stretto di gibilterra e per la perfida albione era finita finalmente!!!! Ma l'oro ha convinto al tradimento chi non voleva combattere e soffrire come la gran parte degli Italiani faceva. Albertazzi Giorgio ha solo fatto il suo dovere di soldato. Non ha tradito e l'ha pagata carissima. Come mio padre per es. tornato a casa nel 1948 che pesava 38 kg. Non collaborazionista per i nostri invasori angloamericani. E poi che liberatori!!!! Occupatori con la loro economia, usanze e tanto altro del nostro paese!!! Ci hanno pure riportato indietro i mafiosi che il prefetto mori aveva fatto scappare a Broccolino negli anni 30!!! Capisco che persa una guerra bisogna ossequiare i nuovi padroni.. Ma rispettiamo che ci ha almeno provato a non renderci schiavi. Chi non si e' arreso come Mio padre e Giorgio albertazzi insieme a altre 800MILA combattenti della RSI tutti volontari per l'onore di Italia almeno ci ha provato.
Chiedo scusa ai miei lettori, ma sono stata costretta ad eliminare per ben due volte la mia risposta a "gianni il parà" perché il testo veniva cambiato in un pessimo italiano, come se venisse tradotto dall'inglese. Prima di ripostare dunque tale risposta sto cercando di capire cosa avviene nella piattaforma di Blogger dato che il Blog è impostato sulla lingua italiana. Spero di risolvere e poter ripostare la mia risposta a "gianni il parà".
Gentile Gianni, rispetto tutti i punti di vista e non mi ripeto su chi sono e di chi sono figlia, basta che lei legga la mia risposta ad un commento precedente. Aggiungo che mio padre non ha mai voluto prendere la tessera del Partito Fascista, anche se quando le Camice nere lo fermavano chiedendo i documenti e lui dava la Carta di identità gliela strappavano dopo avergli chiesto la tessera del fascio perché, a loro avviso, la Carta di identità non era sufficiente. Dopo di che dichiaravano che era senza documenti e lo mandavano una notte "al tavolaccio" senza aver fatto niente e stanco dopo una giornata di lavoro. Mio padre chiamava Mussolini "quel matto" e lo odiava, però da uomo intelligente mi elencava tutte le cose buone che "quel matto" aveva fatto: la legge che imponeva di dare un lavoro ad una donna vedova con figli, lo stop alla Mafia in Sicilia in cui "se vedevano una finestra aperta a calata di sole sparavano sui vetri, la notte non doveva andare in giro nessuno".. Ed altro.. Dunque lo odiava per la guerra ingiusta che gli aveva rubato anni di vita e salute per sempre, ma riconosceva le cose che aveva fatto bene. Certo le Leggi Razziali sono una cosa indegna. Sull'aspetto storico sono preparata in modo superficiale rispetto a mio padre, ma ho un marito esperto di Storia e persona di idee assolutamente anticomuniste a cui ho chiesto di leggere quanto da lei scritto e di risponderle al posto mio, questo quanto da lui scritto:
1) I nostri bombardieri Piaggio P108 erano scarsamente affidabili, ne avevamo costruiti solo qualche decina e comunque non avevano l'autonomia necessaria ad attraversare l'Atlantico. Inoltre un eventuale fantasioso bombardamento di NY non avrebbe certo scalfito l'incredibile potenziale industriale bellico degli S.U..
2) La guerra fratricida non è certo stata provocata dall'armistizio, ormai inevitabile dal momento che gli alleati avevano già invaso parte del Sud con forze 10 volte superiori a quanto potevamo mettere in campo per contrastarli, quanto dalla decisione di Mussolini di voler continuare, spaccando l'Italia, una guerra malamente condotta e drammaticamente ormai perduta. Condivisibile il giudizio su Badoglio opportunista incapace e condannabile su tutte le sue azioni.
3) E' corretto che l'invio di un’armata in Russia ha impedito il rafforzamento del fronte africano, la probabile presa di Malta, con conseguenze imprevedibili come l'occupazione di Suez e dell'intero medio Oriente con i preziosi rifornimenti petroliferi.
4) La scelta dei militari italiani fra Nord e Sud dopo l'8 settembre non fu certamente una cosa facile. Molte delle cose che oggi sono note allora non si conoscevano nella loro atrocità. Invece è totalmente condannabile il comportamento delle squadracce fasciste che agli ordini dei tedeschi hanno massacrato civili inermi colpevoli solo di essere stanchi di una guerra inutile.
5) Il continuo parlare di tradimento dell'Italia rispetto all'alleato tedesco è un non senso anche dal punto di vista storico. Per citare un esempio clamoroso, alla fine della prima guerra mondiale dopo la vittoria di Vittorio Veneto, l'Austria-Ungheria chiese l'armistizio all'Italia pur non essendo ancora stata invasa nel suo territorio nazionale. In quel momento la Germania era ancora in guerra e sia pur in ritirata non aveva ancora perduto una battaglia determinante. L'armistizio dell'alleato austriaco ha determinato il crollo della Germania che ha chiesto la pace 20 giorni dopo. Eppure gli Austriaci non sono mai stati considerati traditori dai tedeschi.
6) Gli Americani dopo la pace non ci hanno mai schiacciato sotto il loro peso economico ma ci hanno aiutato a sopravvivere (ricordo il primo pane fatto di farina dopo l'arrivo a Roma delle truppe americane) e successivamente ci hanno aiutato a ricostruire il Paese distrutto (le dice nulla il piano Marshall?).
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