Forse mi ripeto, forse l'ho già scritto: posseggo tutta l'Opera di Pirandello.
C'è chi ha scritto che Luigi Pirandello è migliore come novelliere che come romanziere. Forse è vero. Però, da persona che ama scrivere fin dall'infanzia (ingenue poesiole, favolette, diari) penso che questo sia riduttivo se vero.
Anch'io nel mio piccolo piccolo riesco meglio nello scrivere novelle e brevi racconti piuttosto che nei romanzi.
Il romanzo non è facile da affrontare, essendo scrittura di lungo respiro; è facile perdersi, scadere, perdere il ritmo.
Eppure questo Grande della Letteratura, premiato con il Nobel, per autorevoli critici rende meglio nella scrittura che si compie subito, come nella novella o racconto.
Ho tutta l'Opera delle "Novelle per un anno" in una pregevole edizione Mondadori con prefazione di Corrado Alvaro, VII edizione del 1968.
Conoscendo le mie passioni me la regalò per qualche anniversario (compleanno, onomastico o sposalizio) mio marito.
Le ho lette tutte allora e riletta qualcuna qua e là negli anni...
Ora le sto rileggendo per "mancanza di libri sul comodino", per me indispensabili.
Ebbene, alcune le ho totalmente dimenticate, di altre, rileggendole, mi torna qualche reminiscenza.
Una che sto rileggendo ora è "Un Goj". Goj per i cristiani è sinonimo di ebreo, per gli ebrei no, bensì "estraneo"... Insomma una via di mezzo fra chi nasce ebreo ma, un poco per laicismo ed un poco per non essere perseguitato dagli imbecilli, vive e lascia vivere sperando di essere lasciato i pace... tanto Dio forse non c'è per nessuno.. ebrei e cristiani.
Da come ne scrive Pirandello mi sembra che egli ritenga imbecilli i cristiani fissati sul deicidio per via che, circa 2000 anni fa, in Giudea, colonia romana, il popolo locale scelse Barabba facendo crocefiggere dai romani Cristo.
Per i cristiani ortodossi Gesù Cristo era Dio incarnato, figlio di Dio. Una stranezza di cui, ancora adolescente e frequentante l'Azione Cattolica, mi posi il quesito, ponendolo anche alle "Effettive" che seguivano noi "Giovanissime" e a quel sant'uomo del nostro padre spirituale Padre Di Donna.
Come poteva essere figlio di sé stesso?
E cosa voleva dire "figlio di Dio" se poi mi si diceva che "siamo tutti figli di Dio"? Insomma la logica non era molto rappresentata in codesto credo. Mi fu risposto nel solito modo: non ascoltare la ragione, segui la Fede. Insomma credi e basta.
Tornando a Pirandello ed alla novella in cui si parla di un uomo intelligente di origine ebraica che, avendo sposato una cattolica, ha soggiaciuto al fatto che i propri figli seguissero la fede materna, forse perché egli ormai cosciente che tanto Dio non c'è... quindi una tradizione educativa vale l'altra; avviene che egli venga vessato dagli atteggiamenti ostili di un suocero cattolico osservante e rimproverante il deicidio di 2000 anni fa da parte del popolo della Giudea. L'imbecillità di questo assurdo atteggiamento è implicita e il goj sopporta da persona intelligente, ma anche gli intelligenti hanno una misura... e quando questa è colma l'intelligente ricorre all'umorismo.. al sarcasmo.
Spesso nelle novelle di Pirandello si ride leggendo.
Egli è scrittore molto realista e della realtà, quando è grottesca, e lo è di sovente, non si può non ridere.
E' dunque evidente da questa novella che Pirandello è tutt'altro che antisemita. Dall'intervista che riporto qui sotto, rilasciata nel 1936, anno della sua morte, egli sembra ribadire una fede cristiana ma, a me sembra, soprattutto sul piano filosofico del messaggio di Cristo: Cristo è carità, amore.
In ciò che riporto, invece, del suo contatto con Albert Einstein, si evidenzia che egli aveva la tessera fascista e difendeva il colonialismo italiano.
Pirandello ed Einstein |
Ebbene, oggi sappiamo che quei popoli stavano meglio sotto gli italiani di quanto non stiano bene ora. Documenti vari riportano che le opere pubbliche che fecero su quei suoli gli italiani dopo non gliele ha fatte più nessuno... Vedere la Somalia e l'Eritrea.
Infine si noti che Pirandello morì prima delle oscene Leggi Razziali del Regime Fascista e penso che, se fosse vissuto abbastanza per vederle, molte cose in lui sarebbero cambiate...
La Morte gli ha risparmiato la caduta di un'altra illusione e l'immancabile ferita.
Da: Cultura Cattolica.it
In una grande intervista del 1936, Pirandello dà conto della propria visione del mondo, giudicando il proprio teatro ed esplicitando la propria fede cristiana. Sipario sul senso religioso
Intervista a Luigi Pirandello di Giovanni Cavicchioli, «Termini», 1936
Lo vado a trovare all'albergo. Mattiniero, già vestito, pronto per andare alla prova: mi ha dato un appuntamento che scombussola un po' le abitudini: sveglia, caffè anticipato, piani serali come per una partenza di buon mattino: «si gira».
Eccolo davanti a me, il Pirandello vivo, quello che scappa ai suoi imbalsamatori, che non gliela perdonano. Ecco la sua voce acre e fredda, da diagnostico, da gran medico chiamato al nostro capezzale di sedentari, malati di tutte le malattie del sedentarismo. Eppure, nei toni più bassi, specialmente quando parla abbassando la voce, per entrare nel denso dell'argomento (come nel mondo fisico si abbassa la testa per entrare da una porta bassa) la voce si rivela fredda, incisiva, a lama di coltello proprio per questa anatomia della nostra vita psichica, per recidere tumori e tessuti necrotizzati: una volontà religiosa, inflessibilmente religiosa e morale presiede a queste anatomie, a queste operazioni d'alta chirurgia.
- Teatro serio, il mio - dice Pirandello - vuole tutta la partecipazione dell'entità morale uomo. Non è un teatro comodo.
- Sì - confermo - ma capisco che il borghese, non più protetto dalla «beata infanzia», e non ancora adulto, non ancora cresciuto al «problema» ne rifugga temendo per l'incolumità personale. Il pericolo è la dissociazione della personalità quando manchi un forte centro unificatore.
- Teatro difficile, diciamo, teatro pericoloso- aggiunge Pirandello. - Nietzsche diceva che i Greci alzavano bianche statue contro il nero abisso, per nasconderlo. Sono finiti quei tempi. Io le scrollo, invece, per rivelarlo.
«In questo nulla spero di trovare il tutto» dice Faust avventurandosi alla regione interna delle madri. Per poter scendere in fondo all'abisso ci vuole almeno la speranza di trovarci Elena... Bisogna abituarsi a vedere nel buio.
- Certo è un teatro assolutamente antiborghese, e nello stesso tempo il più adatto al borghese per venirci a fare i suoi esercizi spirituali.
- La difficoltà - risponde Pirandello - è tutta nell'esecuzione che dovrebbe essere pari alle difficoltà proposte. È la tragedia dell'anima moderna. Bisogna farla discendere dal palcoscenico fra questo pubblico. L'esecuzione dovrebbe avere appunto un carattere religioso: si tratta di un «mistero» moderno. Se l'esecuzione fosse come la voglio, come la vedo, il pubblico, sono certo, seguirebbe, entrerebbe nel mio giro.- In tempi d'azione e di rivoluzione questo teatro è teatro di rivoluzione e di esecuzioni capitali. In questo senso lo considero teatro del mio tempo. La distruzione esige una ricostruzione. Fa tabula rasa perché appaiano nuovi valori. - Esso chiama a raccolta perciò, le più profonde forze vitali dell'uomo.
- Ma in che senso il suo teatro risponde alle esigenze dell'arte moderna? E, anzitutto, a suo parere, quali sono le necessità della nostra epoca, in fatto d'arte?
- Non ci sono programmi, non ci possono, non ci devono essere preformazioni e imbrigliamenti. L'arte, libera vita dello spirito, deve essere assolutamente libera, per manifestare se stessa. Tutto il mio teatro riconosce solo una necessità, proprio nel senso greco, una duplice contraddittoria necessità primordiale della vita: essa deve consistere e nello stesso tempo, fruire. La vita ha pur da consistere in qualche cosa se vuole essere afferrata. Per consistere le occorre una forma, deve darsi una forma. D'altra parte questa forma è la sua morte perché l'arresta, I'imprigiona, le toglie il divenire. Il problema è questo, per la vita: non restar vittima della forma. E' qui tutto il tragico dissidio della storia della libertà. Nietzsche, Weininger, Michelstädter vollero far coincidere assolutamente a ogni istante, forma e sostanza, e furono spezzati e travolti.
- Questo dissidio era anche alla base della vita spirituale greca: Parmenide, filosofo dell'ente immobile, dell'Uno: Eraclito, il proclamatore della trasformazione, della instabilità, dell'eterno fluire. In lei, forse per le profonde radici della razza, riappaiono le due esigenze, ma si unificano e prendono coscienza di sé come antagoniste. Quale soluzione pone lei al conflitto?
- Questo: non lasciar soffocare dalla forma la vita. Esiste in noi un punto fondamentale, un nucleo di sostanza vitale che non può essere impunemente chiuso e soffocato. Nei grandi momenti della vita lo sentiamo in pericolo e allora lo difendiamo.
- Il Lazaro - domando - vuole dare una risposta in questo senso?
- Sì. Nel Lazaro do la risposta più netta al dissidio fondamentale, nel mio teatro, in quanto fatto religioso e sociale.
Se all'uomo non libero togliete la forma, in quanto legame spirituale, subito egli ricasca fra le bestie, e il primo atto della sua così detta libertà è una fucilata contro un altro uomo, contro l'Adamo nuovo che vive in pace con la sua Eva. Il figlio allora si sacrifica, rientra nell'ordine, indossa ancora la veste sacerdotale per coloro a cui è necessaria. La sua fede razionale conduceva alla rovina, e non era che forma essa pure. Cristo è carità, amore. Solo dall'amore che comprende, e sa tenere il giusto mezzo fra ordine e anarchia, fra forma e vita, è risolto il conflitto. Sono anche lieto che nessuna autorità religiosa abbia trovato da condannare. Della mia opera nulla è all'indice. La Civiltà Cattolica ne ha parlato a fondo, in tre articoli che formano addirittura un volume, e conviene della sua perfetta ortodossia. Voglio dire che uno degli aspetti della mia opera è questo: perfetta ortodossia in quanto posizione di problemi. E tali problemi non comportano che una soluzione cristiana.
Lo vado a trovare all'albergo. Mattiniero, già vestito, pronto per andare alla prova: mi ha dato un appuntamento che scombussola un po' le abitudini: sveglia, caffè anticipato, piani serali come per una partenza di buon mattino: «si gira».
Eccolo davanti a me, il Pirandello vivo, quello che scappa ai suoi imbalsamatori, che non gliela perdonano. Ecco la sua voce acre e fredda, da diagnostico, da gran medico chiamato al nostro capezzale di sedentari, malati di tutte le malattie del sedentarismo. Eppure, nei toni più bassi, specialmente quando parla abbassando la voce, per entrare nel denso dell'argomento (come nel mondo fisico si abbassa la testa per entrare da una porta bassa) la voce si rivela fredda, incisiva, a lama di coltello proprio per questa anatomia della nostra vita psichica, per recidere tumori e tessuti necrotizzati: una volontà religiosa, inflessibilmente religiosa e morale presiede a queste anatomie, a queste operazioni d'alta chirurgia.
- Teatro serio, il mio - dice Pirandello - vuole tutta la partecipazione dell'entità morale uomo. Non è un teatro comodo.
- Sì - confermo - ma capisco che il borghese, non più protetto dalla «beata infanzia», e non ancora adulto, non ancora cresciuto al «problema» ne rifugga temendo per l'incolumità personale. Il pericolo è la dissociazione della personalità quando manchi un forte centro unificatore.
- Teatro difficile, diciamo, teatro pericoloso- aggiunge Pirandello. - Nietzsche diceva che i Greci alzavano bianche statue contro il nero abisso, per nasconderlo. Sono finiti quei tempi. Io le scrollo, invece, per rivelarlo.
«In questo nulla spero di trovare il tutto» dice Faust avventurandosi alla regione interna delle madri. Per poter scendere in fondo all'abisso ci vuole almeno la speranza di trovarci Elena... Bisogna abituarsi a vedere nel buio.
- Certo è un teatro assolutamente antiborghese, e nello stesso tempo il più adatto al borghese per venirci a fare i suoi esercizi spirituali.
- La difficoltà - risponde Pirandello - è tutta nell'esecuzione che dovrebbe essere pari alle difficoltà proposte. È la tragedia dell'anima moderna. Bisogna farla discendere dal palcoscenico fra questo pubblico. L'esecuzione dovrebbe avere appunto un carattere religioso: si tratta di un «mistero» moderno. Se l'esecuzione fosse come la voglio, come la vedo, il pubblico, sono certo, seguirebbe, entrerebbe nel mio giro.- In tempi d'azione e di rivoluzione questo teatro è teatro di rivoluzione e di esecuzioni capitali. In questo senso lo considero teatro del mio tempo. La distruzione esige una ricostruzione. Fa tabula rasa perché appaiano nuovi valori. - Esso chiama a raccolta perciò, le più profonde forze vitali dell'uomo.
- Ma in che senso il suo teatro risponde alle esigenze dell'arte moderna? E, anzitutto, a suo parere, quali sono le necessità della nostra epoca, in fatto d'arte?
- Non ci sono programmi, non ci possono, non ci devono essere preformazioni e imbrigliamenti. L'arte, libera vita dello spirito, deve essere assolutamente libera, per manifestare se stessa. Tutto il mio teatro riconosce solo una necessità, proprio nel senso greco, una duplice contraddittoria necessità primordiale della vita: essa deve consistere e nello stesso tempo, fruire. La vita ha pur da consistere in qualche cosa se vuole essere afferrata. Per consistere le occorre una forma, deve darsi una forma. D'altra parte questa forma è la sua morte perché l'arresta, I'imprigiona, le toglie il divenire. Il problema è questo, per la vita: non restar vittima della forma. E' qui tutto il tragico dissidio della storia della libertà. Nietzsche, Weininger, Michelstädter vollero far coincidere assolutamente a ogni istante, forma e sostanza, e furono spezzati e travolti.
- Questo dissidio era anche alla base della vita spirituale greca: Parmenide, filosofo dell'ente immobile, dell'Uno: Eraclito, il proclamatore della trasformazione, della instabilità, dell'eterno fluire. In lei, forse per le profonde radici della razza, riappaiono le due esigenze, ma si unificano e prendono coscienza di sé come antagoniste. Quale soluzione pone lei al conflitto?
- Questo: non lasciar soffocare dalla forma la vita. Esiste in noi un punto fondamentale, un nucleo di sostanza vitale che non può essere impunemente chiuso e soffocato. Nei grandi momenti della vita lo sentiamo in pericolo e allora lo difendiamo.
- Il Lazaro - domando - vuole dare una risposta in questo senso?
- Sì. Nel Lazaro do la risposta più netta al dissidio fondamentale, nel mio teatro, in quanto fatto religioso e sociale.
Se all'uomo non libero togliete la forma, in quanto legame spirituale, subito egli ricasca fra le bestie, e il primo atto della sua così detta libertà è una fucilata contro un altro uomo, contro l'Adamo nuovo che vive in pace con la sua Eva. Il figlio allora si sacrifica, rientra nell'ordine, indossa ancora la veste sacerdotale per coloro a cui è necessaria. La sua fede razionale conduceva alla rovina, e non era che forma essa pure. Cristo è carità, amore. Solo dall'amore che comprende, e sa tenere il giusto mezzo fra ordine e anarchia, fra forma e vita, è risolto il conflitto. Sono anche lieto che nessuna autorità religiosa abbia trovato da condannare. Della mia opera nulla è all'indice. La Civiltà Cattolica ne ha parlato a fondo, in tre articoli che formano addirittura un volume, e conviene della sua perfetta ortodossia. Voglio dire che uno degli aspetti della mia opera è questo: perfetta ortodossia in quanto posizione di problemi. E tali problemi non comportano che una soluzione cristiana.
Da: Sicilia Informazioni.com
EINSTEIN “L’EBREO” E PIRANDELLO “IL FASCISTA” RITRATTI INSIEME IN UNA FOTO: COSA SI ERANO DETTI?
20 agosto 2010 - 11:29
(gg) C’è una foto in bianco e nero, datata agosto 1935, che ritrae insieme Luigi Pirandello e Albert Einstein. Due tra i maggiori protagonisti della cultura del Novecento sono immortalati nel giardino dell’Università di Princeton, negli Stati Uniti, in posa rilassata e conviviale. Cosa stavano facendo? Ma soprattutto perché si trovavano lì? Domande alle quali non è facile rispondere. Prova a venirci in aiuto Paolo Di Stefano, in un articolo apparso poche settimane fa sul Corriere della Sera.
Sarebbe stato Einstein ad invitare il drammaturgo siciliano nel suo “campus” universitario. Pirandello era da poco arrivato a New York, con la speranza di entrare nel business del cinema. Resterà poi deluso dalle major e dagli Stati Uniti, tanto da scrivere all’amata Marta Abba di avere “la nausea fino alla gola”.
Fin troppe volte Pirandello rifiutò l’accostamento della sua poetica alla teoria della relatività di Einstein. “Io ho compiuto e creato la mia opera d’arte senza alcun riferimento a questa filosofia, – affermava il drammaturgo nel 1924 – del resto, vi confesso, che fino a poco tempo fa ignoravo Einstein e la sua scuola; ora, per curiosità, sentendone parlare ho cominciato ad occuparmene”.
Appena un anno dopo, a Berlino, avvenne il primo incontro tra i due. Lo scienziato, dopo aver assistito ad una replica di Sei personaggi in cerca d’autore, andò a trovare Pirandello in camerino per dirgli: “Noi siamo parenti”. Lo racconta lo stesso scrittore, che aggiunge: “Ho passato con lui un’ora interessantissima. È un uomo geniale e simpatico, e la conversazione, su qualunque argomento, anche ben lontano dalla sua scienza, è sempre attraente: rivela una mente lucida e una cultura vastissima”.
Ma quando i due furono ritratti nella foto, circa dieci anni dopo, a Princeton, Einstein era un ebreo in fuga dalla Germania nazista e Pirandello aveva in tasca la tessera del partito fascista. Inoltre, non appena giunto a New York, lo scrittore italiano difese apertamente Mussolini e le sue imprese coloniali in Africa: “Anche l’America – dichiarò ai giornalisti – era un tempo abitata dagli Indios e voi l’avete occupata. Se era diritto il vostro, lo è anche il nostro”.
Forse furono proprio queste frasi che spinsero Einstein ad invitare a colloquio Pirandello. Se così fosse, più che di un incontro si sarebbe trattato di uno scontro. Un clima tutt’altro che conviviale rispetto a quello evocato dalla foto.
Da: Wikipedia
Le leggi razziali fasciste sono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari, ecc.) che vennero varati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta,
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