Il figlio poliziotto di Borsellino: “Vogliamo la verità, in silenzio”
L’impegno politico della sorella Lucia era diventato una via crucis
Impegno e dimissioni
Lucia Borsellino, prima figlia di Paolo, è entrata in politica come assessore alla Sanità chiamata da Crocetta. Si è dimessa a fine giugno
Sapeva o non sapeva? È intorno a questa domanda shakespeariana – tinta in Sicilia del colore opaco dell’ennesima stagione di veleni - che gira l’ultimo giallo sulla famiglia Borsellino. Famiglia di eroi silenziosi che la Storia ha scelto come vittime di colossali depistaggi, grandi misteri, quesiti senza risposta. Quando due settimane fa Lucia si è dimessa da assessore alla Sanità puntando il dito contro “l’antimafia di facciata” lo ha fatto perché le era arrivata notizia dell’intercettazione, oggi smentita, tra Crocetta e il suo pupillo Matteo Tutino?
Certo è che quella frase in cui il medico le augurerebbe di “fare la fine del padre” riportata dall’Espresso e smentita a spada tratta dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi girava come un venticello per redazioni e palazzi subito dopo l’arresto di Tutino, il medico arrestato con l’accusa di fare lifting e liposuzioni in un ospedale pubblico a spese del contribuente.
Certo è pure che una settimana prima della Borsellino aveva abbandonato il governo regionale l’assessore all’Agricoltura Nino Caleca, ufficialmente per protestare contro l’ingresso in giunta di Giovanni Pistorio, ex assessore di Totò Cuffaro, il presidente della Regione oggi in carcere per mafia. Ragioni deboli, disse qualcuno, ricordando che Caleca è uomo da sempre molto vicino agli ambienti giudiziari, forse quindi consapevole della tempesta in arrivo.
Ma certo è pure, d’altro canto, che quelle dimissioni prima annunciate e poi presentate da Lucia in modo secco e asciutto come nello stile di famiglia, avevano il sapore di un redde rationem troppo a lungo rinviato e non più rinviabile. Già, perché tutta la permanenza della Borsellino nel “governo della rivoluzione” è stata una Via Crucis costellata da numerose tentazioni di dimissioni poi rientrate. Nel 2013 fu il caso della clinica Humanitas a portarla sull’orlo dell’addio: la creazione di un grande centro oncologico con sponsor politici d’eccellenza, in deroga al blocco dell’aumento di posti letto privati, su cui lei aveva messo la firma in buona fede, prima di essere lasciata sola con il cerino in mano. «Inadeguata, ma non la si può attaccare per il cognome che porta», disse qualcuno. Lei incassò senza una parola, con il coraggio di portarselo sulle spalle quel nome e, forse, il timore di essere sempre più una sontuosa foglia di fico su affari e irregolarità. Dovette sorridere a una conferenza stampa in cui Crocetta la trascinò, accanto a Tutino che mostrava come caso eccezionale un intervento ordinario di chirurgia plastica fatto su un malato di cancro che morì di lì a poco. Infine il caso Tutino le si rivelò in tutti i suoi contorni. Ce n’è a sufficienza, insomma, per giustificare le dimissioni.
Però è anche vero che mai come quest’anno i figli del magistrato ucciso in via D’Amelio – da sempre defilati alle commemorazioni ufficiali – hanno preso le distanze dalle celebrazioni in modo convinto e pubblico. «Non cercatemi il 19 luglio», ha detto Lucia prima di raggiungere la sorella Fiammetta sull’isola di Pantelleria. «Niente passerelle, quel giorno lavorerò», ha rincarato la dose il fratello Manfredi, trattenendo a fatica la parola «buffonate». Adesso, seduto alla sua scrivania di dirigente del commissariato di polizia a Cefalù, taglia corto: «Una sola cosa posso dire: vogliamo conoscere la verità. Ma aspetteremo in silenzio e lontano dai riflettori, come sempre abbiamo fatto». Un’altra verità da scoprire, mentre si aspetta ancora quella su via D’Amelio.
Nessun commento:
Posta un commento