Il motivo è come si sta sviluppando la Riforma della Scuola del suo Governo.
Una Riforma che non ha reso vani gli sforzi e i sacrifici di tanta gente laureata, vanificando un Pubblico Concorso che, se non era per Renzi, sarebbe finito nel nulla come tanti altri Concorsi dove, pur avendo degli idonei, si facevano scadere le graduatorie per poi bandirne altri, per continuare ad esercitare il potere di dare o meno posti di lavoro nell'Amministrazione Pubblica.
Un sistema che preferiva spendere denaro pubblico ribandendo Concorsi per assumere personale che necessitava per determinati ruoli, buttando a mare le idoneità conseguite per quei ruoli con la scusa che, non si sa con quale "ratio", dopo tre anni "la graduatoria scade". Mi riferisco in generale a ruoli della Pubblica Amministrazione in cui servivano competenze non indifferenti e che, per questo, i Concorsi richiedevano un notevole sforzo di studio e preparazione per ottenere l'idoneità.
Su questo blog non ho risparmiato critiche alle scelte di Matteo Renzi quando non mi sembravano giuste, quindi non mi si può accusare di incensarlo, ma riconosco che sta facendo molto bene molte cose, dopo anni di stasi.
In politica estera ho apprezzato le parole che a Riad ha speso per due vite in pericolo, fra cui quella del giovane Alì detenuto per motivi politici dall'età di 17 anni.
Dal Blog "Informare è un dovere"
martedì 29 settembre 2015
A morte per la libertà, il mondo invoca clemenza per il giovane Alì
Era sceso in piazza durante le primavere arabe, per protestare contro il regime d’Arabia. Ora, a 21 anni, lo aspetta la decapitazione. Appelli di Stati e organizzazioni per la sospensione della pena
Di Arianna Pescini
Lo schema, purtroppo, è sempre lo stesso: una condanna ingiusta, spropositata, in un Paese dove i diritti umani e civili spesso sono dei miraggi, a cui segue giustamente lo sdegno e l’impegno di associazioni come Amnesty International, ma anche quello delle nazioni occidentali nell’imbarazzante condizione di partner commerciali del Paese stesso. Ovvio che ne scaturisca una protesta formale, ma nulla più. Questa volta è l’Arabia Saudita, a condannare a morte un manifestante, Alì Mohammed al-Nimr, con la sola colpa di essere sceso in piazza durante le primavere arabe; ma lo scempio è persino peggiore, sia perché il ragazzo all’epoca non aveva ancora 18 anni (ora ne ha 21), sia perché la terribile decisione della corte saudita arriva proprio mentre un ambasciatore del Paese è stato nominato presidente del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Scherzo del destino, macabra fatalità. Accolta però con favore dagli Stati Uniti: «Siamo stretti alleati su molti fronti – dicono dal Dipartimento di Stato americano – parleremo di diritti umani, sarà un’occasione affinché l’Arabia si guardi intorno e rifletta sulla propria situazione».
Una pena atroce Intanto, dopo tre anni di carcere, per Alì sono state ordinate la decapitazione e la crocifissione fino ad avvenuta putrefazione del corpo, un orrore che proprio Onu, Amnesty International e Reprieve, tra gli altri, tentano di fermare con appelli, interrogazioni e biasimi ufficiali: il ragazzo non ha rubato, non ha ucciso, è solo parente di un oppositore sciita del regime in carica. Nel 2012, quando i giovani musulmani di mezzo mondo scendevano in piazza pieni di speranze chiedendo giustizia e libertà, al-Nimr si unì ad un gruppo, appena diciassettenne, nella città saudita di Qatif, nell’est del Paese. Da lì l’arresto e il carcere duro di Dammam, che lo ha “accolto” con torture, privazioni, violazioni dei diritti più elementari. In attesa di una condanna che ora Francia e Gran Bretagna ripudiano a gran voce, forse troppo tardi, forse inutilmente.
Di Arianna Pescini
Lo schema, purtroppo, è sempre lo stesso: una condanna ingiusta, spropositata, in un Paese dove i diritti umani e civili spesso sono dei miraggi, a cui segue giustamente lo sdegno e l’impegno di associazioni come Amnesty International, ma anche quello delle nazioni occidentali nell’imbarazzante condizione di partner commerciali del Paese stesso. Ovvio che ne scaturisca una protesta formale, ma nulla più. Questa volta è l’Arabia Saudita, a condannare a morte un manifestante, Alì Mohammed al-Nimr, con la sola colpa di essere sceso in piazza durante le primavere arabe; ma lo scempio è persino peggiore, sia perché il ragazzo all’epoca non aveva ancora 18 anni (ora ne ha 21), sia perché la terribile decisione della corte saudita arriva proprio mentre un ambasciatore del Paese è stato nominato presidente del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Scherzo del destino, macabra fatalità. Accolta però con favore dagli Stati Uniti: «Siamo stretti alleati su molti fronti – dicono dal Dipartimento di Stato americano – parleremo di diritti umani, sarà un’occasione affinché l’Arabia si guardi intorno e rifletta sulla propria situazione».
Una pena atroce Intanto, dopo tre anni di carcere, per Alì sono state ordinate la decapitazione e la crocifissione fino ad avvenuta putrefazione del corpo, un orrore che proprio Onu, Amnesty International e Reprieve, tra gli altri, tentano di fermare con appelli, interrogazioni e biasimi ufficiali: il ragazzo non ha rubato, non ha ucciso, è solo parente di un oppositore sciita del regime in carica. Nel 2012, quando i giovani musulmani di mezzo mondo scendevano in piazza pieni di speranze chiedendo giustizia e libertà, al-Nimr si unì ad un gruppo, appena diciassettenne, nella città saudita di Qatif, nell’est del Paese. Da lì l’arresto e il carcere duro di Dammam, che lo ha “accolto” con torture, privazioni, violazioni dei diritti più elementari. In attesa di una condanna che ora Francia e Gran Bretagna ripudiano a gran voce, forse troppo tardi, forse inutilmente.
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