giovedì 18 giugno 2015

Il Giallo rimane sulla triste fine di Domenico

Da: Il Fatto quotidiano

Domenico Maurantonio, ipotesi degli investigatori: “Era solo quando è caduto”

Su tutti i giornali gira la notizia dell'ultima ora: era solo quando è caduto.
Le motivazioni a suffragio di questa tesi però non sono convincenti: le testimonianze dei compagni concordanti (potrebbero essersi messi d'accordo su una unica versione dei fatti e dunque ripetere sempre quella), i messaggi da loro scambiati con i cellulari (anche qui possono essere stati ben attenti sapendo che si possono poi leggere), l'unica novità uscita è che sul livido del braccio non vi sono tracce di DNA di alcuno.
Non vi è nulla che giustifichi questa certezza data come ultima notizia. A meno che gli inquirenti abbiano ben altri riscontri: ad esempio le impronte digitali tutto intorno alla finestra e sul davanzale. Se hanno trovato solo le sue allora si spiegherebbe questa uscita. Ma non l'hanno detto però. Ancora non hanno l'esame del DNA trovato sotto le sue unghie e il risultato dell'esame tossicologico. 
Il fatto che nessuno ha sentito un grido viene ripetuto in tutti gli articoli quale suffragio della solitudine nella caduta, senza riflettere che nessuno ha sentito nemmeno il tonfo del corpo caduto!!
Dunque non si può escludere che il grido ci sia stato solo perché nessuno l'ha udito, perché il tonfo c'è stato di sicuro ma nessuno l'ha udito lo stesso!
Fin qui dunque niente di nuovo. 
Sarà importante conoscere l'esito delle impronte intorno alla finestra.
Resta sempre la stranezza dell'uscita di Domenico dalla stanza, scavalcando i corpi dei due compagni che dormivano a lato di lui, la stranezza di non entrare in bagno pur avendo un forte stimolo, la stranezza di avviarsi lungo un corridoio verso la stanza dove avrebbe dovuto dormire e che aveva lasciato per comodità del suo compagno di stanza... Per poi cadere da una finestra proprio vicino a QUELLA stanza superando un davanzale alto m. 110.
Troppe stranezze. Rispolverano l'ipotesi suicidaria. E, oltre al resto già detto e scritto contro questa ipotesi, aggiungo una domanda: perché percorrere un lungo corridoio e non aprire la prima finestra appena uscito dalla stanza dove fino a poco prima dormiva?

Augias disinformato

Corrado Augias, uomo di cultura e giornalista di successo, basta pensare a "Telefono Giallo", ricompare con una trasmissione che va in onda a tarda ora su RAI3: "Visionari".
Mi è capitato di vedere la puntata dedicata al sommo Poeta Giacomo Leopardi. Ospite in studio una Professoressa Universitaria: Novella Bellucci. Il suo curriculum di Professore Associato di Letteratura Italiana sul sito dell'Università "SAPIENZA" di Roma, così recita nell'incipit:
Docente di Letteratura italiana generale, è specialista di studi leopardiani con numerosi saggi su vari aspetti della produzione del poeta (tra i titoli, Leopardi. Per leggere 1988; Giacomo Leopardi e i contemporanei, 1996; “Il gener frale”. Saggi leopardiani, Marsilio, 2010), numerosi progetti culturali e di ricerca (il più recente sul Lessico leopardiano)

L'immediato appunto da fare al dotto Augias ed alla sua redazione è che ancora non sanno che non si scrive "LA SAPIENZA", come hanno scritto sotto la presentazione della Professoressa, ma semplicemente "SAPIENZA", cosa che non è di poco conto visto che si vuole fare informazione e, per di più, a sfondo culturale.

Dal Sito Ufficiale dell'Università degli Studi di Roma "Sapienza" (www.uniroma1.it) :

Nel 2006 il nuovo logo della Sapienza, rivisitazione del Cherubino, marchio storico dell’ateneo, recepisce la consuetudine di chiamare l’Università semplicemente “Sapienza”, creando il naming “Sapienza – Università di Roma” per ottimizzare la composizione grafica del logo.. Il nuovo Statuto, entrato in vigore nel 2010, chiarisce che il nome ufficiale “Università degli Studi di Roma” coincide con “Sapienza Università di Roma” e con la denominazione breve “Sapienza”. - See more at: http://www.uniroma1.it/ateneo/chi-siamo/il-nome-sapienza#sthash.rFHkTumR.dpuf

Posso aggiungere che già molti anni fa, Reggente l'Ateneo il Prof. Giorgio Tecce, il Rettore fece pubblicare in G.U. tale rettifica.

Ma torniamo alla trasmissione "Visionari" e alla puntata dedicata al sommo Poeta Giacomo Leopardi: Augias poneva le domande alla brava Professoressa interrompendola là dove lei non dava le risposte che egli avrebbe voluto, e già questo non va bene... Dovrebbe prendere esempio dall'ottimo Piero Angela che, con garbo ed intelligenza, pone le domande a chi è esperto, e dunque fonte di cultura ed informazioni, poi ascolta senza cercare di orientare le risposte a quello che di precostituito potrebbe avere nella mente. E questa differenza non è da poco, per me è il discrimine fra la grande informazione culturale e quella minore asservita ad idee precostituite. 
Quello che è venuto fuori su Leopardi nel corso della trasmissione era a tratti risibile e la Professoressa Bellucci ha provato a dire con garbo "che non era d'accordo" su alcuni assunti.
Uno di questi era una presunta omosessualità di Giacomo Leopardi basata sulle lettere che egli scriveva al suo caro amico Antonio Ranieri:

Da: http://arjelle.altervista.org/Tesine/Chiara/leopardi.htm
CHIARA TOSO
Un'amicizia così accesa non passò inosservata, come emerge da un'altra lettera che accenna alle derisioni che scatenava: "Povero Ranieri mio! Se gli uomini ti deridono per mia cagione, mi consola almeno che certamente deridono per tua cagione anche me, che sempre a tuo riguardo mi sono mostrato e mostrerò più che bambino. Il mondo ride sempre di quelle cose che, se non ridesse, sarebbe costretto ad ammirare; e biasima sempre, come la volpe, quelle che invidia. Oh Ranieri mio! Quando ti ricupererò? Finché non avrò ottenuto questo immenso bene, starò tremando che la cosa non possa esser vera. Addio, anima mia, con tutte le forze del mio spirito. Addio infinite volte. Non ti stancare di amarmi" (Giacomo Leopardi, Lettere, Salani, Firenze 1958; lettera 486, 11/12/1832).
Quando infine Ranieri parte alla volta di Firenze per andare a prendere l'amico, al quale ha proposto di vivere a Napoli insieme, Leopardi gli scrive: "Ranieri mio. Ti troverà questa ancora a Napoli? Ti avviso ch'io non posso più vivere senza te, che mi ha preso un'impazienza morbosa di rivederti, e che mi par certo che se tu tardi anche un poco, io morrò di malinconia prima di averti avuto. Addio addio" (Giacomo Leopardi, Lettere, Salani, Firenze 1958; lettera 498, 11/12/1832).
Ranieri stesso si affannò a rivelarci da cosa nascessero "scandalo" e derisione: dall'eccessiva intimità fra i due. Appena arrivati a Napoli assieme, nel 1833: "io, lasciatone il mio antico letto, dormiva in una camera non mia (cosa che nelle consuetudini del paese, massime in quei tempi, toccava quasi lo scandalo), per dormire accanto a lui" (Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, Garzanti, Milano 1979, p. 55).
Tanta premura suscitò i sospetti della padrona di casa, che "Mi dichiarò: ch'io le aveva introdotto un tisico in casa; che, amandolo tanto da fargli le nottate, non altra poteva essere la cagione onde non gliele facessi in casa mia [non c'era ragione per non fargliele a casa mia]; ch'essa voleva, ad ogni costo, essere sciolta dall'affitto" (ibidem, pag. 56).
Del resto un incidente simile era già accaduto durante il già citato soggiorno comune a Roma nel 1831/32: un maligno parrucchiere compaesano di Leopardi, stupito della convivenza fra i due, s'era premurato di riferire certi pettegolezzi a Ranieri. Ranieri nel suo libro riconferma la sua amicizia, però aggiunge velenoso: "Ma, io confesso, che non avrei mai inteso concedergli quella che mi si riferisce leggersi in alcune delle sue lettere. E dico: mi si riferisce; perché, insino da una prima pubblicazione di questa specie, io, tre volte tentai di farne lettura, e tre fui preso dalla febbre" (ibidem, pag. 39). Quali che fossero le convenzioni dell'amicizia dell'Ottocento, è Ranieri stesso a dirci che le lettere di Leopardi andavano oltre l'accettabile, al punto che la sola lettura gli procurava la febbre decenni dopo; anche se naturalmente è una puerile scusa quella con cui Ranieri pretende di non aver mai letto le lettere.
Giovanni Dall'Orto conclude: "le memorie scritte da Ranieri sono inattendibili. Esse furono scritte non per tramandare, ma per occultare "qualcosa". Forse una relazione omosessuale? Ahimè, purtroppo no: si tratta più banalmente di una relazione parassitica. Ciò che Ranieri non solo tace nelle memorie, ma anzi occulta descrivendo Leopardi come suo ospite spesato di tutto, è che la sua famiglia era alla bancarotta. Negli anni in cui i due convissero, fu Leopardi a pagare i conti. Anzi: a un certo punto si trovò in casa pure la sorella di Ranieri, Paolina. Questa "scoperta" cambia l'ottica in cui leggere la relazione. Che Leopardi fosse cotto di Ranieri, ce lo dicono a sufficienza le lettere. Che Ranieri, perso nei suoi amori con donne, reciprocasse tale amore, lo nega la sua biografia. Se dunque amore ci fu, esso fu a senso unico".
Certo questo colpo di scena cambia completamente le cose!
Fu davvero così? Non lo sapremo mai. Generalmente l'ottica in cui viene letto questo rapporto è radicalmente diversa, per non dire opposta; e Ranieri, con tutti i suoi difetti, ne esce molto meglio.
Il tono appassionato delle lettere di Giacomo può anche essere interpretato come il grido di esultanza che una persona che sta annegando sta rivolgendo al suo salvatore. Si fa notare poi che in quel periodo un tale modo di relazionarsi con un amico era abbastanza frequente (?). Renato Minore sottolinea come "la tremenda paura della solitudine portò Giacomo ad alzare il tono delle sue richieste che erano vere e proprie invocazioni: 'ti sospiro sempre come il Messia'…". Quanto al sospetto che il rapporto con Ranieri potesse essere di tipo omosessuale, Renato Minore dice semplicemente che "non ci sono prove" ed il Montanelli parla semplicemente di "voci malevole".
Fatto sta che quando Ranieri  nell'autunno del '30 incontra a Firenze un Leopardi disperato, malato e sofferente,  dice all'amico che pensava di andare a morire a Recanati: "Leopardi, tu non andrai a Recanati! Quel poco onde so di poter disporre, basta a due come ad uno; e, come dono che tu fai a me, e non io a te, non ci separeremo più mai" (A. Ranieri - Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi - Se, pag. 28).
Quando Ranieri pronuncia queste parole probabilmente è solo un napoletano che con teatralità partenopea rassicura un povero cristo promettendogli la cosa di cui aveva sommo bisogno: un po' d'affetto. Nel suo libro il Ranieri descriverà spesso un Leopardi sporco, testardo, irriconoscente, ghiotto di dolci e gelati, e pieno di difetti. Probabilmente c'è un fondo di verità anche in questo. Ma alla fine, quel che conta è il semplice fatto che Ranieri si prese cura di un infermo per sette lunghi anni.

Ma il clou della trasmissione è stato il parere su Leopardi dello psichiatra Andreoli! Quello che definì i due fratellini di Gravina di Puglia, disgraziatamente finiti in una profonda buca di una casa fatiscente giocando, "come dei VUOTI A PERDERE per causa di genitori separati", ignorando, nella sua "dotta" analisi psicanalitica, che nella medesima buca c'era caduto successivamente un ragazzino di una famiglia unita, sempre giocando, ma che ebbe più fortuna, perché compagni di giochi avvisarono gli adulti ed il ragazzino fu recuperato e salvato, svelando con la sua caduta che in quel luogo giacevano i cadaveri dei due sfortunati fratellini tanto cercati dal padre disperato.
Una analisi risibile quanto idiota, come molte che siamo costretti a sentire da "esperti di fama televisiva".

Nulla ha aggiunto questa trasmissione a quanto già sapevo su Leopardi, a parte queste sciocchezze sopra riportate.
Durante un soggiorno nella bella Macerata, ospiti di un Preside Salesiano, mio marito ed io abbiamo visitato Recanati, non più il "natio borgo selvaggio" ma una cittadina curata e gradevole, anche grazie al fatto che da tutto il mondo visitatori vi si recano proprio per lui: Giacomo Leopardi.
Abbiamo visitato il Palazzo avito dove, in parte, vivono ancora i discendenti della Famiglia dei Conti Leopardi. E' stata una splendida visita, con un giovane uomo che ha fatto da guida con una passione ed un amore per l'Opera Leopardiana  commoventi, dimostrando una profonda cultura generale che si avvertiva dai suoi commenti e considerazioni di carattere filosofico che ci hanno fatto pensare che avrebbe meritato una cattedra da qualche parte, piuttosto che svolgere il lavoro di guida, sia pure culturale, in quel luogo. 

Leopardi sul letto di morte, 1837, ritratto a matita di Tito Angelini, anch'esso simile alla maschera mortuaria e quindi molto realistico e verosimile

Parlare in un modo ed agire in un altro

Dal Blog di Paolo Bracalini - Il Giornale.it - 12 settembre 2014

La Cei ha detto che il reato di immigrazione clandestina è “da rivedere”, l’Osservatore romano, organo della Santa Sede, che “l‘Italia preoccupa, dare aiuto a chi ha bisogno è priorità”, e recentemente Papa Francesco è andato a Lampedusa, e nell’omelia ha chiesto “la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo”. Poi uno va a vedere le leggi del Vaticano, uno Stato indipendente e con un suo codice, e si aspetta che l’accoglienza sia codificata anche nel sistema giuridico della Santa Sede. Invece no, anzi, le leggi del Vaticano, in tema di immigrazione e clandestinità, sono parecchio severe.

Nel 2000, anno del Giubileo, è entrata in vigore la nuova “Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano”, che ha sostituito quella del 1929, che prevedeva l’espulsione “con la forza” per i clandestini: “Coloro che si trovano nella Città del Vaticano senza le autorizzazioni previste (…) possono essere espulsi anche colla forza pubblica” si legge. E dopo il 2000, cosa prevede la legge papale? La nuova “Legge sulla cittadinanza, la residenza e l’accesso” in Vaticano, emanata sotto Papa Benedetto XVI il 22 febbraio 2011, è un po’ più morbida (non si prevede più l’uso della forza per far cacciare dai gendarmi svizzeri gli immigrati non autorizzati) ma resta comunque molto rigida. Si entra se autorizzati, con precise modalità, un permesso rilasciato dal Governatorato, e che può essere rifiutato “qualora ricorrano giusti motivi”, e che comunque è temporaneo. E veniamo al divieto di accesso. L’interdizione scatta, dice l’articolo 12, “quando sussistano giusti motivi”. E “coloro che si trovano nella Città del Vaticano senza le necessarie autorizzazioni o dopo che siano scadute o revocate possono esserne allontanati”. Si viene “allontanati”, non più cacciati con la forza pubblica, ma comunque allontanati. Come gli italiani chiedono si faccia con i clandestini che sbarcano sulle nostre coste. Salvo essere ammoniti dalla Chiesa (che in Vaticano non vuole clandestini) che così si pecca di egoismo e indifferenza.








I fatti si commentano da soli!

Scuola: confusione e disinformazione

Stamane, ad "Uno mattina" su RAI1 era ospite un Preside, una persona anziana, dunque non un Preside dell'ultima ora, ma uno che ha una lunga esperienza della Scuola sulle spalle.
Alle precise e mirate domande del giornalista conduttore egli ha risposto con equilibrio nel merito della contestata Riforma Renzi.
Ha detto che il testo primigenio era più equilibrato ai fini dell'esercizio della responsabilità del Preside, quello modificato dagli interventi dei vari schieramenti alla Camera dei Deputati è un testo indebolito, meno efficace, giacché senza togliere il peso delle responsabilità del Dirigente Scolastico ne indebolisce i poteri, per cui l'esercizio della responsabilità sarà più difficile con meno poteri.

 L'Italia, dagli anni '70 in poi ha soggiaciuto ad una egemonia culturale ispirata ad un pensiero di sinistra che non voleva dare riconoscimento al merito e questo ha abbassato il livello sia del rendimento scolastico sia del mondo lavorativo dove è prevalsa la raccomandazione sul merito.
Coloro che volevano imporre il concetto della deresponsabilizzazione in nome di una finta uguaglianza hanno imposto una scelta demagogica sulla realtà dei fatti ignorandola volutamente.

Credo che l'opposizione della minoranza del PD alla Riforma Renzi sia dovuta  a questa cultura ormai desueta, che non ha portato affatto una vera uguaglianza, ma ha distrutto il merito in un grigio e demotivante appiattimento. 
A questo la Riforma Renzi voleva dare rimedio, ma i residuati comunisti, come il funzionarietto di partito Fassina o il giornalista radical-chic Mineo, non vogliono dare in mano a chi si trova a dirigere gli strumenti per attuare la responsabilità.
Chissà se costoro sono in buona fede e se ne rendono conto o se è solo un esercizio di potere contro il decisionista Renzi...
Vogliono le assunzioni senza la Riforma, vogliono continuare nei "papocchi", nelle cose fatte a metà, raffazzonate... Vogliono mantenere la Palude!
Come la Bindi che fu una delle più fiere oppositrici alla ventilata possibilità di eliminare prebende e i privilegi degli eletti!
DA QUESTO BLOG - 23 maggio 2012

Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire e peggior cieco di chi non vuol vedere

La Bindi, intervistata, non ne voleva sapere di ammettere la realtà e con arroganza sbandierava dati interpretati a suo modo.
Ricordo a tutti che la Bindi è stata una delle più fiere oppositrici alla seria richiesta di mollare privilegi e prebende di cui gode facendo parte della Casta che, con leggi e leggine ad hoc, si è assegnata un elenco lunghissimo di favoritismi, benefit e quant'altro tanto da creare, appunto, una Casta privilegiata che gode di leggi e regolamenti tutt'affatto differenti da tutti gli altri cittadini della Repubblica. 

Ovviamente si parlava delle elezioni del 2012 in cui il fenomeno, oggi ancora peggiorato, della rinuncia ad andare a votare da parte dei cittadini schifati, si era fatto più evidente.
E guai a chi tenta di cambiarla!!