L’assassino di Asti aveva dilapidato 11 mila euro destinati alla figlia malata giocando ai videopoker
La normalità che nasconde una tragica discesa agli inferi. I colleghi di lavoro sbalorditi dal sapere che il mite magazziniere ha ucciso
«Non può essere stato lui. Non ci credo», ripeteva ieri l’autista che la mattina di sabato 4 luglio vide arrivare al lavoro, con un po’ di ritardo, l’uomo che aveva appena ucciso Maria Luisa. E nel ripeterlo dopo che Pasqualino Folletto aveva confessato, l’autista dilatava inconsapevolmente la tragedia della normalità assassina, la normalità che cela un’immensa, spaventosa, solitaria discesa in quella distruzione di sé che sola consente di spingersi fino a quella degli altri.
Pur nell’orrore del gesto - e di un gesto così ossessivamente devastante - qualche brivido di pena accendevano le lacrime di Pasqualino, l’uomo disperato, con la figlia malata, indebitato per curarla, avvolto come da filo spinato dalla vergogna per la sua condizione sventurata. Invece il filo spinato che lo avvinghiava - dicono le indagini - era altro, erano soldi sperperati, infilati nelle macchinette del videopoker, soldi che entravano proprio per alleviare il faticoso impatto della bambina con la vita.
Sulla stessa scrivania di caserma dove sono cadute le sue lacrime durante la confessione, ci sono accertamenti dei carabinieri: 11 mila euro dell’accompagnamento per la piccola spesi nel gioco, uno stipendio di 2.800 euro al mese in parte usato per la famiglia e in parte per tentare una fortuna che ristabilisse l’equilibrio dei conti, in un’idrovora di contanti.
Chiedeva soldi, a tutti: «Devo fare la spesa... i miei figli». I gemellini di sette anni e la bambina di undici. Un uomo casa e lavoro racconta il titolare dell’azienda,
Piero Pregna: «Lavorava per una cooperativa torinese. Chiesi informazioni: tutte positive. Sapevo dei problemi di salute in famiglia, delle difficoltà, ho avuto fiducia e lui ha risposto con grande serietà».
Uno stipendio consistente, un affitto di 300 euro al mese per 100 metri quadrati. Lui al magazzino, la moglie, Silvana Metta, a casa, a occuparsi dei figli, soprattutto della più grande, con i suoi problemi di salute, il cibo che non viene assimilato, i denti che ne risentono, il dentista a Casale Monferrato per salvare il salvabile. Federico Zappatero, collega di lavoro, racconta la dedizione di Silvana e descrive un papà in apprensione: «A volte lavoravamo insieme di notte, si confidava un po’, soprattutto su quelle spese continue».
Si prova pena comunque per Pasqualino Folletto. Se prima era la compassione umana per una esistenza difficile chiusa come in una gabbia nel crescendo della disperazione, ora è quella sgomenta, incredula, percorsa dallo stupore che si prova davanti ai personaggi della fantasia letteraria. Nel ritratto che via via andava delineandosi ieri dalle carte dell’inchiesta, dagli 11 mila euro dell’accompagnamento buttati in videopoker («qualcuno di noi lo vide al centro commerciale davanti alle macchinette più volte») sembra di leggere lo sfruttamento psicologico d’una figlia raccontato da Henry James.
Sarebbe ingiusto, ora, immaginare il cammino, forse soltanto sciagurato come quello di tanti che credono benigna una sorte casuale come quella del gioco. Sarà l’inchiesta e sarà il processo a svelare più che una responsabilità ammessa e una quantificazione di pena, il romanzo reale di come il passo scivoli da un senso di gabbia a un’illusione, dall’illusione al desiderio di benessere, dal desiderio al mezzo più rapido, da qui all’esplosione violenta. Il quadro è quello però di una famiglia che non parte svantaggiata, cresce con delle gioie e una difficoltà, certo, quello della bambina che ha qualche problema nello sviluppo, nell’assorbimento della vita dal cibo, un male che privandola di sostanze fondamentali vede andare in pezzi parte della dentatura. Ma ha due fratellini, ha una madre che non lavora per star con lei, un padre con un buon lavoro e un buon stipendio. Se anche qui andiamo a cercar conforto nella letteratura, possiamo trovare qualche lieto fine, o un’ipotesi di accettazione, pazienza, sfida.
Mette intoppi ai brividi di pena per l’assassinio sentire che negli interrogatori Folletto riversa il suo gesto sulla sfortuna di salute della figlia. Mette i brividi perché - se anche, alla resa dei conti, non è che il più immediato tentativo di giustificare anche a se stesso l’orrore - è come farsi scudo di un figlio di fronte a un nemico. Mentre 11 mila euro destinati a lei se ne andavano nei videopoker.
Il dolore di chi lascia si era colorato di pietà, almeno nelle parole del padre, verso chi gli aveva ucciso la figlia, soprattutto per la bimba innocente malata, vittima anche lei di una figura paterna che si approfittava anche della sua malattia per coprire le sue sciagurate debolezze.
Le previsioni logiche si sono rivelate tutte non reali: "non può essere una rapina perché le rapine le fanno la sera quando c'è l'incasso"; "è un delitto che nasconde qualcosa di personale perché troppe sono state le coltellate"; poi, appreso che la verità era imprevedibile: "come ha fatto un uomo piccolo e magro come lui...?"; "era tranquillo quando è venuto al lavoro solo con un po' di ritardo, siamo andati a prendere il caffé..."
Già.
E' la solita storia: la banalità del Male. La faccia qualsiasi.
Però chi sapeva che si giocava irresponsabilmente i soldi con cui doveva vivere la sua famiglia, anche quelli che servivano alla figlioletta malata... conosceva anche la debolezza dell'individuo, la sua malattia per il gioco che non si fermava davanti a niente. Poi le lacrime e le giustificazioni per coprirsi con la malattia della figlia, quando, al contrario, nemmeno quella lo fermava. Poi le frasi solite: "Io non volevo!"
Chi confessa dice sempre così. Poi c'è chi non ammette mai, nemmeno davanti all'evidenza: pozzi neri chiusi nell'estrema difesa del proprio ego.
"Io non volevo!" E che hai pestato un piede per sbaglio? 45 volte ha affondato il coltello estraendolo ogni volta per rificcarlo nelle carni di quella poveretta. Una forza data dalla violenza compressa in una mente asservita al proprio vizio, che non si fermava davanti a niente, nemmeno al senso di protezione di un padre verso un figlio, per di più malato.
E' inutile cercare di capire e riserviamo la nostra pietà per chi è morto vittima di tanta ferocia e per chi la vittima amava.