n. 29 Personaggi
Ing. Giorgi
Piccolo Villaggio - dalla Raccolta "Mostri e ritratti" pubblicata nel 2011
Piccolo Villaggio
La prima villa a destra, entrando, era sempre vuota. Solo il sabato si animava. Arrivavano in macchina: lei portava dei grandi occhiali scuri a coprire parzialmente il viso, lui si vedeva che era molto più vecchio di lei. Lui salutava, gentile, gli altri abitanti del piccolo agglomerato di ville, lei sorrideva appena, timida e pudica; aveva un bel viso, largo, con una grande bocca, un bel sorriso, i capelli schiariti al biondo.
“E’ l’amica, sai? E’ la sua segretaria. Lui è sposato ed ha anche una figlia grande: credo che sia nonno addirittura!” Disse Mirella all’ultima arrivata Alice.
Mirella era la moglie di un pilota di aerei ed abitava in una bella villa di stile rustico, come tutte le villette del piccolo comprensorio, nella parte più alta di esso. Era una bella donna estroversa e per questo riusciva subito simpatica a tutti. Alice, invece, era molto meno bella, e sembrava volerlo sembrare ancora di meno assumendo un atteggiamento dimesso e timido.
L’imprenditore, che aveva acquistato la villa per usarla come nido d’amore con la sua segretaria, si chiamava Alfonso Contenti ed era un uomo alto, magro, non bello ma fine ed interessante. Lei era un po' meno fine e, a guardarla bene, nemmeno molto bella: bassa di statura, era larga sui fianchi ed aveva le gambe storte. Forse era stata la maggior freschezza rispetto alla moglie, che aveva più o meno la sua stessa età, forse le molte ore passate insieme in ufficio, forse il seno abbondante, forse il trucco raffinato con il quale lei sapeva valorizzare il suo viso, fino a mimetizzare il gran naso che si scopriva con sorpresa quando porgeva all’osservatore il profilo, fatto sta che il Dott. Contenti era felice con Valeria. L’aveva assunta perché gli serviva una segretaria che si intendesse dei prodotti della sua ditta: forniture per parrucchieri, e lei aveva il diploma di parrucchiera.
Ad un certo punto cominciarono a venire più spesso ed infine si stabilirono ad abitare nella villetta. Aprirono le porte ai vicini: la casa dentro era curatissima, avevano apportato delle modifiche all’immobile e fatto delle rifiniture. Ricevettero molti complimenti dai loro ospiti, ai quali offrirono gelato e bibite ed organizzarono anche un mini torneo di ping-pong.
Alice era, un pò come il suo nome, nel Paese delle Meraviglie, e non sapeva adattarsi con disinvolta ipocrisia alle situazioni non chiare. Chiese quindi a Mirella: “Ma si sono sposati?”
“Non lo so, penso di no!” Rispose l’interpellata cercando di dare alla sua risposta un tono disinvolto.
“Ma se si sono stabiliti a vivere qui una novità ci sarà. Forse lui avrà ottenuto il divorzio!”
Mirella scosse le spalle, facendo capire che per lei la cosa non aveva importanza.
Questa ex-hostess dell’Alitalia, che aveva lasciato il lavoro per stare a casa a fare la moglie e la madre, parlava a volte in modo spregiudicato ma, poi, si scopriva a fare apprezzamenti ironici su persone che avevano situazioni sentimentali disordinate.
Alice non accettava questa apparente contraddizione. Al suo opposto il Dott. Marini avrebbe detto con sufficienza: “Bisogna saper vivere!”
Il Dott. Marini abitava la seconda villa a sinistra, entrando, ed era un campione di doppiezza e di ipocrisia che lui definiva, appunto, “saper vivere”! Sembrava un lord inglese: alto, magro, biondo, gli occhi celesti in cui a volte brillava una luce di fredda ironia, era imperturbabile, cordiale, gentile, ipocrita fino all’osso. Con la moglie formavano una strana coppia. Lei era di origini umili: nata contadina non aveva potuto studiare molto. I suoi genitori, per migliorare la loro situazione economica, si erano trasferiti in città, dove avevano aperto un piccolo negozio di frutta e verdura. Avevano acquistato una casa in periferia dove potevano coltivare un orto nel piccolo terreno adiacente e vendevano anche i loro prodotti della terra. Lei, Mirna, era molto carina e doveva averle voluto molto bene il Dott. Mariano Marini per accettarla così com’era: senza cultura, senza soldi, senza salute e, per quel che si sapeva al momento delle nozze, impossibilitata ad avere figli. Aveva avuto un’infezione tubercolare all’apparato riproduttivo ed era stata ricoverata per questo in un ospedale, dove le avevano detto che non avrebbe potuto avere figli. Lui, pur sapendolo, l’aveva sposata ugualmente. I figli invece li aveva avuti, due, un maschio ed una femmina molto belli. La famiglia di lui non voleva che la sposasse per le sue origini modeste, ma anche questo non era stato un ostacolo per Mariano. Dopo il matrimonio lei aveva manifestato un altro male, più nascosto ed insidioso perché abitava nella sua mente. Quando i due figli erano molto piccoli lei aveva avuto un blocco alle gambe che si erano paralizzate. Era rimasta a letto due mesi e nemmeno il senso di responsabilità verso le sue due creature, bisognose di lei, l’aveva staccata da quel letto dove la sua mente la confinava, giacché le sue gambe erano sanissime.
La paresi delle gambe, quando è esclusa ogni causa organica dagli esami medici, è il sintomo probante dell’isteria, malattia psichica classificata da alcuni autori fra le grandi nevrosi e da altri fra le vere e proprie psicosi. Mirna aveva preso degli psicofarmaci per un pò, poi aveva smesso, poi di nuovo ne aveva avuto bisogno.
Quando aveva conosciuto Alice, l’ultima arrivata, le aveva comunicato subito di avere un esaurimento nervoso.
Le cose erano andate così: Alice, il marito di lei Giulio, e la loro figlia più grande stavano rastrellando mucchi di erba secca nel loro nascente giardino, quando erano andate a fuoco le stoppie secche di un terreno che confinava con la villa accanto a quella di Alice. Era un’estate caldissima ed il fuoco stava per attaccare la siepe della villa in questione in cui, in quel momento, stavano la proprietaria, la professoressa di musica Marianna Cacace, ed una sua ospite e tre bambini. Le due donne, spaventatissime, tentavano con un tubo di gomma da annaffiamento del giardino di ostacolare l’avanzare delle fiamme senza riuscirci. Alice, Giulio e la loro figlia dodicenne smisero di rastrellare il loro incolto giardino e cercarono di aiutare le due donne improvvisando una catena di tubi di gomma, raccordati fra loro alla “bello e meglio”, in modo da contribuire con la loro acqua e con un tubo in più allo spegnimento. Furono chiamati invano i pompieri da una simpatica vecchietta, somigliante come una goccia d’acqua all’attrice inglese che aveva interpretato molti films in bianco e nero ispirati ai gialli di Agatha Christie. La vecchina era sola con le sue due nipotine nella villa che confinava con uno dei quattro lati del giardino di Alice e, nonostante l’età, si dette molto da fare con le due bimbe a passare tubi di gomma che portavano acqua dai suoi rubinetti.
Era tutto un affannarsi a riunire i tubi che, ogni tanto, si staccavano sotto la pressione dell’acqua, inondando chi era lì a tenerli uniti con le mani. Monica, figlia di Alice, era bagnata dalla testa ai piedi e, siccome era piena di terra perché prima stava rastrellando erba secca su un giardino terroso, ora era una maschera di fango come i suoi genitori. Alice correva a raccordare i tubi ed a dare acqua in un secchio ad uno dei bimbi della villa minacciata dalle fiamme, un bel bambino moro di circa dieci anni, attivo e preoccupato, che le chiedeva: “Ce la faremo signora?” Con l’aria di chi cerca sicurezza, visto che le due donne della villa, di cui una era sua madre, non gliela davano. La giovane donna correva anche al confine della vecchina, per prendere il suo tubo e portarlo il più possibile vicino all’incendio con il sistema dei raccordi e chiedeva: “Signora ha richiamato i pompieri?” Alice, non abitando ancora nella sua villa, che stava sistemando in attesa del trasferimento dalla casa di città, pur avendo fatto domanda, non aveva ancora il telefono.
“Ma non viene nessuno ad aiutarci?!” Chiedeva ancora alla vecchietta Boiti, guardando smarrita le finestre aperte delle ville adiacenti. Ad un certo punto le fiamme presero la siepe di Marianna Cacace facendo un gran fumo e si avviarono minacciose verso il suo casotto della legna. Marianna fuggì, seguita dalla sua amica ospite Giada. Giulio Vidoni e sua moglie Alice le guardarono esterrefatti abbandonare la villa al suo destino.
In seguito Giulio ed Alice avrebbero imparato che altri, al loro posto, avrebbero pensato: “Stiamo spendendo le forze e il tempo, che ci servivano per sistemare la nostra casa, per salvare la casa di una vicina e questa se ne va: andiamocene pure noi.” Invece, passato il primo momento di sgomento, i Vidoni, generosamente, continuarono a lottare con le fiamme aiutati dalla vecchina Boiti, dalle sue due nipotine e, unico del gruppo interessato, dal bimbo moro che si chiamava Cesare.
Le fiamme furono domate dall’eterogeneo gruppetto prima che arrivassero al casotto della legna della villetta di Marianna. Poi arrivarono finalmente i pompieri che si giustificarono dicendo che erano pochi, con poche attrezzature e con un territorio troppo vasto per la loro caserma; si complimentarono con Alice e suo marito dicendo che avevano fatto un buon lavoro, infine, con le scuri e le vanghe in loro dotazione si avventurarono sul terreno incriminato per spegnere, coprendoli con la terra, eventuali focolai residui.
A questo punto si materializzarono due donne: una alta e imponente, Mirella, ed una più piccola e magra, Mirna. Fatte le presentazioni i due pensarono: “Ma queste escono adesso? Dalle loro finestre non hanno visto nulla? Non hanno sentito il tramestio, le grida da un giardino all’altro per parlarci mentre spegnevamo l’incendio?”
“Poooveri!!!!” Disse Mirella in bermuda, con l’aria riposata: “Come vi siete ridotti!” Fu così che i Vidoni conobbero lei e quella che sembrava sua amica.
Dopo aver scambiato alcune considerazioni salottiere sull’accaduto Mirella si allontanò a passo di passeggiata.
Mirna si spinse fino ad interessarsi se Marianna stesse bene e, avutane da lei rassicurazione (era tornata dentro casa dopo lo scampato pericolo), le disse che, se avesse avuto bisogno di qualcosa, poteva contare su di lei. Allontanandosi si rivolse con tono paternalistico ad Alice ancora sporca di fango dalla testa ai piedi e le disse: “Lei non è abituata agli incendi perché viene dalla città, ma io sono abituata perché vivo qui da tre anni e mezzo e poi sono nata in campagna. Le conosco bene io le forze della natura! Ho vissuto l’alluvione di Firenze! Sa, io sono toscana.”
“Allora perché non è venuta ad aiutarci?” Avrebbe voluto chiederle Alice, ma per timidezza e buona educazione tacque.
“Ho un mal di testa proprio qui. - Fece ancora Mirna, toccandosi con una mano il retro del collo, quasi avesse letto il suo pensiero. - Ho un esaurimento nervoso!” Concluse inopinatamente.
“Ma forse è artrosi cervicale.” Provò a sminuire Alice. “No, è esaurimento.” Ribadì Mirna con tranquilla sicurezza, la salutò e se ne andò.
*****
Mirella e suo marito Carlo erano stati i primi ad invitare a cena gli ultimi arrivati Alice e Giulio. Quest’ultimo era piacevolmente impressionato dai due per la loro apertura agli altri. In realtà, a guardar bene, già si vedevano alcune contraddizioni a tale sbandierata apertura: nell’episodio dell’incendio non vi era stato neppure il minimo senso civico e di solidarietà umana! Ma loro si dicevano e si sentivano molto aperti!
La seconda volta che Alice vide Mirella fu in occasione del fatto che il suo figlio più piccolo, Dario, rientrò in casa con una mano a tenersi la fronte che sanguinava; non fece in tempo a chiedergli cosa fosse successo che suonarono al citofono: era Mirella che conduceva per mano sua figlia Deborah, una bimbetta bruttina e ingrugnata, che aveva tirato un sasso in testa a Dario mentre, con gli altri bimbi delle villette del piccolo comprensorio, scorrazzavano giocando nei viali dello stesso. Mirella si scusò per quel che aveva fatto sua figlia e Alice cercò di minimizzare l’accaduto. In realtà pensò che quella bambina era aggressiva e sorrideva poco, come aveva già avuto modo di constatare osservandola in mezzo a tutti gli altri bimbi.
Quando li invitò a cena Mirella disse: “Con i vestiti di campagna, mi raccomando, è una cosa semplice, tanto per stare insieme”.
“Ma sembra brutto andare così”! - Disse Giulio alla moglie. “Sistemati un po' meglio ma se ha detto così andiamo così”. Rispose lei e, con i tre figli, si avviarono lungo il viale che separava le loro rispettive ville.
Mirella venne ad aprire con un bel golfino di lana d’angora azzurro che le stava molto bene e aveva messo anche un filo di perle. Al marito aveva fatto indossare una camicia pulita e non propriamente “uso giardino” ed i Vidoni si sentirono un po' mortificati per aver preso sul serio quello che aveva detto.
La serata scorse comunque piacevole, anche perché l’altro figlio della coppia “pilota - ex-hostess” era simpatico oltre che molto bello e si trovava bene con i tre piccoli Vidoni.
Ci fu solo un momento di stupore ed imbarazzo sia in Alice che in Giulio quando, nel bel mezzo di una banale conversazione riguardante i rapporti marito-moglie, Carlo disse rivolto alla moglie: “......e allora perché dopo che hai scopato co' me te piace parlà?” Bisogna dire che Mirella arrossì penosamente e sfuggì con gli occhi lo sguardo esterrefatto di Alice. Il grossolano Carlo, evidentemente, non si rese nemmeno conto del disagio che aveva creato nei presenti, stupiti sia del suo volgare modo di esprimersi, sia del fatto che lo faceva in presenza dei suoi e degli altrui figli.
“Certo che Carlo non la tratta bene Mirella.” Fu il timido commento di Giulio con sua moglie quando rientrarono nella loro casa.
*****
Mirna e Mirella erano state le prime abitanti stabili nel piccolo comprensorio di villette e sembravano grandi amiche: erano in confidenza fino al punto di mangiare spesso insieme a casa dell’una o dell’altra, anche con i rispettivi parenti se venivano da fuori in visita. Fu dunque stupita la candida Alice nel sentire Mirella e Carlo che, un pomeriggio che era passata da loro per una breve visita, per contraccambiare le frequenti e fulminee che le faceva Mirella, così le parlarono di Mirna: “E’ matta, - disse Mirella - sai la storia delle gambe paralizzate, le è accaduto un’altra volta qui: è rimasta bloccata in giardino, l’abbiamo soccorsa io e Maria.” Maria era una brava donna che prestava servizio presso entrambe le famiglie. Intervenne Carlo che se ne stava un po' discosto a fumare: “E' matta si: piove e se mette a piantà i pomodori e c’è er sole e se mette a stirà.” Alice rifletté in silenzio che se Mirna aveva comperato le piantine di pomodoro al mercato, come le raccontava di fare ogni anno per il suo piccolo orto, per non far seccare le fragili radici, forse, si era premurata di interrarle subito anche se stava per piovere e se suo marito aveva bisogno di una camicia stirata, forse, si era sbrigata a stirare anche se c’era il sole.... Altri, secondo lei, erano i segnali di pazzia. Certo sapeva bene che le paresi delle gambe sane erano un sintomo dell’isteria, anche perché aveva letto la celeberrima opera di Sigmund Freud “I casi clinici” ed uno dei casi era proprio “Analisi di un’isteria” in cui la vera identità della paziente era stata celata dietro allo pseudonimo Anna O..
Non disse niente ai due, anche perché avevano in odio la cultura: Mirella diceva che il teatro la faceva addormentare, lui diceva che “sedersi sotto un albero a leggere un libro è a morte”. La cosa singolare era che lo dicevano, serio lui e sorniona lei, come se al di fuori dei loro gusti e del loro sistema di vita gli altri sbagliassero tutti. Una serata con gli amici in numero ristretto chiacchierando dopo cena davanti al caminetto acceso, magari con un paio che si mettevano a giocare a scacchi, era la morte civile e veniva derisa. La vita per loro doveva essere solo cene con tanta gente, vino e risate sugli assenti, dicendo un po' di “puttanate”, non importa se vere o false.
Alice, delle meraviglie veramente, si stupiva che Carlo, cresciuto in un quartiere medio-alto borghese di Roma, parlasse come uno del Quarticciolo. I piloti della compagnia di bandiera che aveva avuto modo di conoscere erano tutti molto fini ed eleganti di aspetto e di modi. Come mai Carlo era così? Per lei era un mistero.
Chiese una volta a Mirella di mostrarle le foto del suo matrimonio e quella, sorprendentemente, disse che non sapeva nemmeno dove le aveva messe, infine le trovò gettate disordinatamente in un cassetto. “Strano, - pensò Alice - tutti le conservano in un album.” Fece, comunque, molti complimenti a Mirella che era ancora più bella in quelle foto, ovviamente, perché più giovane e valorizzata dall’abito bianco ma, ancora più stupefacente era lui, Carlo, che sembrava un attore del cinema: bellissimo. Di quella beltà in pochi anni era rimasta solo una pallidissima traccia: grasso fin quasi all’obesità, nonostante non avesse nemmeno quarant’anni, aveva perso il brillio degli occhi azzurri che ora apparivano celeste sbiadito, la pelle dorata era bianco asfittico ed i capelli biondi erano misti a capelli bianchi.
Le critiche non risparmiavano neppure Mariano; di lui Carlo diceva senza mezzi termini che “era un bustarellaro”.
“Dà le bustarelle, ecco come fà i soldi, se no co’ lo stipendio mica potrebbe permettersi tutto quello che si permette!”
“Ma lui è un dirigente nella sua Società, ha un ottimo stipendio!” Provò a difenderlo Alice. Erano di nuovo a cena a casa di Carlo e Mirella e c’era anche Giulio che taceva attento.
“La Società gli ha intestato un conto in una banca svizzera proprio per dare le bustarelle: ce l’ha detto lui una sera che erano a cena qui con noi. - Guardò la moglie parlando, cercando il suo apporto a quel che diceva, e lei annuì confermando. – Dà le bustarelle per piazzare i contratti all’estero, ecco perché lo mandano in giro per il mondo!”
“Fondi neri, ovviamente, - proseguì capendo Giulio - e delle bustarelle non si rilascia ricevuta!”
“Certo, così può dire alla Società che ha dato di più ed il resto se lo tiene!” Concluse con una smorfia Carlo.
Giulio rise: “Tanto chi è stato corrotto non lo smentirà mai!”
*****
Mirna non parlava male di Mirella e per questo ad Alice piaceva di più; le dispiaceva che persino i due figli di Mirna venissero definiti dai cari amici “due mummie”.
Ma a poco a poco notò delle contraddizioni anche in Mirna. Le diceva: “Passa a fare due chiacchiere! Non startene sempre chiusa lì in casa!” E lei, rubando il tempo alle mille cose quotidiane che aveva sulle spalle, per buon vicinato, andava.
Una volta la lasciò sul cancello mentre, ancora in vestaglia nonostante fossero le undici del mattino, l’ascoltava con aria indifferente e, ad un tratto, come parlando solo a se stessa, commentò con voce udibile:” Quante chiacchiere!” Alice allibì, tacque e, senza sottolineare l’incongruo e villano commento di Mirna, chiuse con garbo la conversazione e se ne tornò a casa dove l’aspettavano tutte le faccende domestiche che può avere da fare una mamma di tre bambini, con una casa grande e solo con qualche domestica ad ore ogni tanto. Inoltre Alice aveva una madre vedova ed ammalata di cui era l’unica figlia ed i suoi pensieri ed incombenze varie erano anche per sua madre.
Mirna aveva Maria ventiquattro ore a settimana che l’aiutava anche in giardino, il resto del tempo Maria lo occupava a servire a casa di Mirella. Sua madre abitava in Toscana e non se ne occupava affatto anzi, quando raramente veniva in visita per qualche giorno, l’aiutava pure nel piccolo orto.
“Ma non si rende conto della differenza di carichi e di aiuto?” Pensava Alice.
“Ma non è che non se ne rende conto, è che ti dice così perché è un’ipocrita e non glie ne frega niente di te.” Le disse un giorno Giada a cui aveva espresso il suo pensiero.
Giada era l’amica del cuore di Marianna e la mamma di Cesare, il bimbo moro che aveva aiutato nello spegnimento dell’incendio andando a riempire il secchio a casa di Alice. Veniva a casa della sua amica tutti gli anni ed aveva conosciuto Mirella e Mirna molto prima di Alice, le aveva frequentate ed aveva smesso di farlo.
“Ma non capisco perché mi dice di andare a trovarla per un caffè e per fare due chiacchiere poi si comporta come se non lo volesse...Perché lo dice allora?”
Giada era intelligente e paziente: “Purtroppo non sono tutti coerenti come te Alice, che dici sempre quello che pensi. Quella parla perché deve far vedere che lei è socievole e tu no, non badarci, è una nevrotica! Non ti sei accorta del giardino? Dice che fa tutto lei, semina, fatica....”
“Si, mi ha anche dato dei suggerimenti sulla semina differenziata per avere ogni punto del giardino sempre fiorito in ogni stagione.”
“Ma non è vero niente!” Scandì calma Giada. “Non le hai mai viste lei e Mirella scaricare le cassette con le piantine prese al vivaio già fiorite?” Lo stupore si disegnò sul viso di Alice. “Fanno a gara a chi ha il giardino più bello, sono due pazze!” Concluse Giada scuotendo la testa.
Alice ebbe una parziale ammissione a conferma di quanto aveva detto Giada dalla stessa Mirella, la quale, sempre nel denigrare Mirna, in una successiva occasione disse ironicamente: “Si vanta che fa tutto lei, si lamenta che è stanca, ma fa tutto Maria, altroché! Maria pianta, zappa, sposta massi dai rocciati...Aiuta anche me s’intende, ma io non dico che faccio tutto da sola: ogni anno - ammise - stanzio una certa cifra per comperare le piantine, due tre cassette, e le pianto! Qualche pianta che rifiorisce da sola ce l’ho, ma come potrei avere un giardino così fiorito in tutte le stagioni se non facessi così?!”
Alice pensava che tutto questo dire una cosa e farne un’altra, vantarsi e dire sciocche bugie era a dir poco infantile ed essere infantili all’età di Mirella, che aveva i suoi stessi anni, non era normale e lo era ancora meno per Mirna che aveva ben sei anni più di loro.
*****
Alice cominciò a difendersi da quei rapporti insinceri e contraddittori rifiutando qualche invito e non facendone più. Ma le due donne erano prese da frenesie e smanie a lei sconosciute: avevano bisogno di esibire, di mostrare, di circondarsi di una corte rumorosa per le loro cene e feste, tentando di condurre una vita mondana con piccolo-medio borghesi come invitati, tanto che persino la buona Alice le aveva soprannominate: Marta Marzotto e Marina Ripa Di Meana in minima.
Alice vedeva sfumare ogni minima possibilità di instaurare un normale rapporto umano con le due, nonostante le loro esternate profferte di rapporti di amicizia e buon vicinato e le loro critiche per la sua asocialità e quella di suo marito. Incapace di adeguarsi a quei rapporti esibiti come amicizia ma in realtà inconsistenti e superficiali, intrisi per di più di falsità ed ipocrisia, l’unica possibile difesa per Alice e Giulio era rifiutarsi. Quando proprio erano costretti, per non essere palesemente scortesi, andavano.
Alice amava divertirsi ma con loro non era sempre facile. Andò volentieri ad una festa di Carnevale in maschera. Si divertì molto a creare la sua maschera da Spagnola e ancora più divertente fu la creazione della maschera per Giulio, a cui parteciparono anche i figli divertendosi un mondo. La maschera era da Scienziato Pazzo, tutta fatta in casa, molto originale: in cima al cappello a punta Alice mise una piccola lampadina che, attraverso un filo che scendeva dentro al cappello stesso ed arrivava fino alla spalla, si collegava nel taschino del camice bianco con una batteria che l’alimentava facendola accendere. La trovata piacque a tutti tranne che a Giulio che, a differenza di Alice, non amava le feste ed in particolare quelle mascherate. Carlo si era vestito da battona: Mirella strombazzò in giro che era stata lei a volerlo vestire così, da donna.
Ad una successiva festa mascherata Giulio si rifiutò con decisione di mascherarsi: a nulla valsero le insistenze di Alice che in quella occasione si era vestita da Rugantina, sempre creando la maschera in casa. “Il massimo che ti posso concedere è che mi metto un cappelletto tanto per fare allegria e posso suonare una “lingua di gatto”!” Disse irato alla moglie. “Che vuoi da me, - ribatté conciliante lei - Mirella ha insistito che dobbiamo essere tutti mascherati assolutamente!” Ma Giulio non cedette: era un serio professore e non si poteva violentare più di tanto.
Quando entrarono nella villa di Mirella e questa lo vide con solo quel ridicolo cappelletto di carta che “faceva Carnevale” e lui, penosamente, suonò per fare allegria la lingua di gatto, gli voltò le spalle senza salutarlo. “Che villana, - pensò Alice - non si trattano così gli ospiti se si è una buona padrona di casa!” Notò che Carlo era di nuovo vestito da donna: stavolta da infermiera, sembrava Trudy la fidanzata di Gambadilegno. “Ma lo veste sempre da donna?!” Pensò perplessa. Carlo faceva finta di divertirsi, così sembrò ad Alice, ma poteva sbagliarsi. Anni dopo ebbe la conferma che non si sbagliava affatto.
Per un paio di anni lavorò da lei una signora come aiuto domestico ad ore: anzianotta, piccola, bionda e con due vivaci occhi azzurri, la donna le disse che aveva lavorato per molti anni in casa della madre di Carlo e di Mirella aveva una pessima idea. “Lei non immagina, signora, le liti per farlo vestire da donna alle feste di Carnevale!”
“Addirittura?! Ma come, Mirella diceva sempre che lui lo faceva volentieri, che anzi si divertiva a farlo, che io non avevo niente perché non avevo un marito simpatico come il suo!”
Alice era cambiata, non era più l’ingenua di molti anni prima: dopo tante assurdità, a cui aveva assistito senza reagire, era diventata anche cattiva.
“Solo lei poteva dire che se una non ha un marito simpatico non ha niente! E che vuol dire?!” Replicò la piccola signora tonda.
Alice aveva pensato la stessa cosa quando, molti anni prima, Mirella le aveva detto quella sciocchezza, e se ne rimase in silenzio ad ascoltare con maligna soddisfazione: “Lo tormentava finché non cedeva!” Disse con rammarico la signora bionda.
“Beh! Un uomo di carattere poteva rifiutarsi, evidentemente, alla fine, lui pure era un burattino nelle mani di una nevrotica.” Disse Alice.
“Non so se era nevrotica ma so solo che gli ha fatto vendere la casa in quattro e quattr’otto e via! L’ha portato lontano dalla madre, a cui è rimasto quest’unico figlio, senza ragione: mi dice che ci fa a Gorizia un pilota che qui aveva l’aeroporto ad un passo?” Replicò la tonda signora.
“Voleva stare vicino ai suoi parenti, forse si sentiva insicura del suo rapporto con il marito e, temendo che finisse da un momento all’altro, ha pensato bene che così avrebbe avuto i suoi vicino.” Chiosò Alice.
*****
Che Mirella avesse avuto una diagnosi di nevrosi Alice lo aveva saputo per caso. Non era tipo da dare definizioni della gente senza una base di solida verità. Mirella amava mettere in risalto l’indubbia malattia psichica di cui soffriva Mirna, diceva in giro che Alice era matta perché pensava solo ai suoi doveri e non anche alla parte ludica della vita, ma di sé diceva poco. Ma un periodo in cui suo marito era stato messo a riposo dalla compagnia aerea, perché risultato affetto da uno stato ansioso ai controlli periodici a cui i piloti vengono sottoposti di routine, in preda all’insicurezza in cui questa situazione lavorativa del marito la metteva, si confidò con la discreta Alice.
“Anch’io ho attraversato un periodo difficile quando morì la sorella di Carlo: sai lui non si riprendeva, piangeva come un bambino, io avevo Deborah che aveva solo otto mesi, un giorno non ce l’ho fatta più ed ho cominciato a gridare, non riuscivo a fermarmi e lì.......sbagliò Carlo...perché telefonò ai miei genitori a Gorizia e quelli sentivano il mio grido al telefono e si sono molto spaventati...Sai se sei vicino puoi andare a vedere che succede...ma così, loro erano lontani e si sono molto preoccupati.”
Alice era turbata da quella confidenza perché aveva dovuto misurarsi con la malattia di sua madre, anch’essa di natura psichica, e quel racconto la sorprendeva. Mirella sembrava una donna bizzarra, estroversa, ma quello che le stava raccontando la faceva apparire molto fragile. Chiese con cautela: “Ma gridare come? Perché anch’io strillo forte ai figli, o quando litigo con Giulio, anche con mia madre per scuoterla dalle sue ubbie.......
“No, ma quello pure io, - fece Mirella con una piccola smorfia delle labbra - in quei casi parli, dici delle parole gridate, ma parli...il mio era un grido continuo, di gola, acuto...così.. - e provò a rifarlo - e poi non riuscivo a fermarmi, sentivo nella testa come una girandola...sai le luci che stanno sopra le macchine della polizia? Ecco così: una girandola che girava e non riusciva a fermarsi. Carlo mi ha schiaffeggiato per farmi smettere e, dopo mezz’ora che andavo avanti così, ha chiamato i miei genitori.” Alice pensò che prima aveva detto che Carlo aveva sbagliato a chiamare i suoi genitori ed ora lo giustificava.
Provò a rassicurarla perché allora era ancora generosa, non si era ancora guastata.
“Capita a tutti di avere dei momenti difficili, anch’io da giovane ho sofferto di mal di stomaco e i medici mi facevano fare esami tipo lastre e similia per cercare qualcosa di organico ma, sarà stata pure l’appendice infiammata che poi ho tolto, io dicevo che c’era anche una componente psicologica dovuta all’ansia in cui mi mettevano i miei genitori: sai mia madre che stava male, mio padre che non era felice e si lamentava sempre.....Un giorno sono andata all’ambulatorio della Clinica neuropsichiatrica dell’Università, sai che mio marito ed io abbiamo sempre gravitato nell’ambiente universitario, ed ho preso il numeretto pagando poco una visita. Non abbiamo mai avuto molti soldi ed allora ne avevamo anche meno e non potevo permettermi una visita privata, ma ho fatto bene perché il neuropsichiatra ha saputo rassicurarmi, senza medicine, mi ha solo tranquillizzato capendo che il problema per me era mia madre, la malattia di mia madre. Poi è toccato a Giulio: per un periodo è stato oggetto di vessazioni al lavoro da parte del suo direttore di istituto che gli sobillava contro anche i tecnici; anche lui con pochi soldi ha usufruito dello stesso ambulatorio, nel suo caso gli avevano prescritto degli ansiolitici e una breve psicoterapia d’appoggio, ma lui non ha mai comperato le medicine e non è mai andato a fare la terapia, anche se pure quella si pagava poco perché la facevano sempre lì, nella Clinica Universitaria, il momento difficile è passato da solo...così”.
“Insomma siete stati alla Neuro”! - Rise rinfrancata Mirella - A Roma si chiama così mi pare?!”
“Si, - sorrise anche Alice - a Roma si chiama così, ma di solito ci si riferisce ai ricoveri o al Pronto Soccorso.”
“Tu sei come Mirna! - Esordì sorprendentemente Mirella. - Lei con le gambe, tu con lo stomaco!”
Alice fu sorpresa di come si fosse ripresa e di come stesse usando l’aiuto psicologico che le aveva dato. “Beh,... Quello che ha Mirna è un quadro clinico molto ben delineato, - si preoccupò di precisare - non c’entra nulla con un transitorio disturbo di ansia che prende allo stomaco, soprattutto se motivato da preoccupazioni reali.....” Ma queste parole Mirella le ascoltò senza ritenerle, invece disse in giro ridendo che quei due erano stati alla Neuro; e Alice in seguito capì quel che suo suocero voleva dire con quel detto un pò volgare: “Va a raddrizzà le zampe ai cani, quelli si girano e ti mordono!”
*****
Mirella non smise di deridere Mirna: “Va a fare un corso a Castelgandolfo per imparare la “Psicologia della coppia”.”
“Come mai?” Chiese giusto per educazione Alice.
“Ma che ne so! - Rise Mirella. - Invece di curarsi va ad imparare come si aiutano le coppie in crisi.”
“Forse lo fa per risolvere i suoi problemi con Mariano.”
“Allora li risolvesse. Ma come può una che ha i suoi problemi pretendere di aiutare gli altri?”
“Ma perché questo corso le consentirebbe di aiutare gli altri? - Chiese sorpresa Alice. - Non capisco in quale veste.”
“Volontariato in parrocchia! Aiuto per le coppie in crisi! Adesso anche le parrocchie si danno da fare! Infatti la matta va a dare novantamila lire al mese a questi preti di questo istituto religioso, che sta a Castelgandolfo, per fare un corso che le consentirà di aiutare gli altri, quando non sa aiutare nemmeno se stessa!”
“Forse aiutando gli altri aiuta anche se stessa, o almeno lo spera.” Commentò benevolmente Alice.
*****
Mirna, senza mostrare alcun senso di colpa visibile, raccontò ad Alice che Aldo, il figlio di undici anni, si era dovuto alzare dal letto con la febbre altissima per telefonarle, presso l’istituto dove seguiva il corso, e chiederle di tornare a casa perché stava male ed aveva bisogno di lei. “Sono dovuta rientrare in piena notte!”
“Come in piena notte?” Chiese sbalordita Alice.
“Una volta alla settimana dobbiamo restare a dormire lì. Lo prevede il corso.” Alice non ne capiva la ragione e l’utilità per i fini che tale corso si prefiggeva. Non disse nulla ma pensò che così, forse, cercavano di giustificare, in parte, le novantamila lire al mese dando vitto e alloggio almeno quattro volte in un mese.
Disse invece: “Ma Aldo era solo?” Non ci poteva credere.
“No, con Federica. Mariano come al solito era all’estero.”
Alice non poté fare a meno di pensare che Federica aveva due anni meno di Aldo e questa donna li lasciava a dormire da soli per seguire un corso di psicologia! Ma non faceva prima a sottoporsi alla psicoterapia lei invece di prendere solo psicofarmaci, come aveva raccontato lei stessa durante una cena a casa sua? Almeno avrebbe potuto andare di giorno, in ore di studio medico!
Ricordò quel che Mirna le aveva raccontato poco tempo prima con sdegno, secondo lei, riguardo ad una mamma di una compagna di scuola di Federica, la quale non aveva più mandato sua figlia a fare i compiti a casa sua dopo aver scoperto, telefonando, che le due bimbe erano state lasciate sole da Mirna che era uscita a fare delle spese. Alice pensò che la mamma in questione aveva perfettamente ragione. Lei non lo faceva nemmeno quando abitava in città, in appartamento, figuriamoci in una villa unifamiliare! Aveva iniziato a lasciare da soli i suoi figli solo nell’adolescenza e per brevi uscite.
Con il tempo sia Mirella che Mirna si erano rese conto che Alice non era come loro l’avevano inquadrata nelle loro teste: avevano interpretato la sua tranquillità come stupidità, dicevano in giro che era una depressa, perché non inseguiva le loro stesse mete; in seguito videro che era una che risolveva i problemi della sua famiglia senza clamore. I loro mariti portavano a casa molti più soldi di Giulio e loro avevano entrambe un figlio in meno; Mirella aveva le mani bucate per sua stessa ammissione, eppure molti conti glieli pagava la suocera; Mirna, che non aveva niente di suo, aveva ricevuto delle eredità dalla ricca famiglia del marito. Avevano iniziato una gara a chi buttava più soldi sulla casa, facendo lavori di miglioria sulle due ville, assecondate dai deboli mariti, gettando milioni di lire ed avendo sempre muratori ed artigiani di ogni tipo in casa: un vero inferno!
Alice e Giulio fecero solo i lavori strettamente necessari e si accontentarono di quello che avevano. Alice un giorno disse a Mirna: “Ho potuto acquistare questa casa grazie all’eredità di mio padre, e mia madre, anche se io non voglio, spesso mi aiuta regalandomi delle somme di denaro.”
“A me, invece, non mi ha aiutato nessuno!” Fu la sorprendente risposta che lasciò Alice di stucco. Proprio in quel periodo Mirna stava eseguendo lavori di ampliamento della villa che duravano già da qualche mese e diceva ridendo: “Mariano è andato a Firenze a prendere un po' di ossigeno!” Intendendo denaro che avevano ereditato!” Diceva proprio così, al plurale. Alice, che iniziava allora ad incattivire, le disse: “Ma l’eredità non viene dalla famiglia di tuo marito?”
“Si, va lui perché deve firmare lui.”
“E allora? - pensò senza parlare Alice - Che ci giri intorno? Deve firmare lui perché è lui l’erede. Altro che abbiamo ereditato! Lui ha ereditato e tu spendi e dici pure che a te non ha dato mai niente nessuno! Almeno io quello che ho l’ho avuto dalla mia famiglia!”
*****
Ma i figli crescevano ed i soldi non bastavano. Mirella confidò con imbarazzo che non aveva la firma sul conto corrente del marito e Mirna che suo marito le dava un assegno mensile e con quello doveva provvedere a tutto! Avrebbero potuto comperare meno fiori e diminuire le ore della donna di servizio, ma questo pensiero non le sfiorava nemmeno!
Alice cominciò a cercarsi un lavoro. Lo trovò tramite una sua amica che era direttore editoriale in una casa editrice di media importanza. Le due vicine scoprirono così che Alice poteva tradurre dei libri e capirono, vagamente, che per questo doveva almeno conoscere una lingua e scrivere bene nella propria. E pensare che Mirella si sentiva superiore perché sapeva dire in inglese tutte le frasi che occorrono ad una hostess. Mirna non aveva neppure un diploma di scuola media superiore, però dissertava con aria saccente su quale fosse migliore, se il liceo classico o lo scientifico: sicuramente lo aveva appreso da qualcuno, non avendone una diretta esperienza!
Per loro Alice passava il tempo chiusa in casa a pulire e non parlava mai con nessuno: ne erano così convinte che lo dicevano in giro. Chissà perché non pensavano che esiste il telefono o la lettura! Scivolarono sopra al fatto che era saltato fuori che aveva un’amica direttore editoriale di una casa editrice; non ci vollero pensare troppo perché si sfaldava il castello che avevano costruito intorno alla figura della loro vicina. Loro chiamavano amicizia il rapporto che avevano e quelli che instauravano con ogni vicino nuovo che arrivava. L’amicizia era un superficiale rapporto di vicinato, intriso di ipocrisia, maldicenza e rivalità. Alice, che se ne chiamava fuori, per loro era una disadattata.
Un giorno Alice seppe che Mirella era stata ricoverata presso l’ospedale di zona. Le dissero che aveva avuto un’influenza e che era così deperita da questa malattia che era stato necessario il ricovero. Alice si dispiacque e andò a farle visita.
Quando arrivò in ospedale vi trovò il marito e Mirna: seppe che l’avevano portata lì con la poltrona a rotelle, non riusciva nemmeno a camminare, seppe che aveva avuto della melena. Non capiva come un’influenza potesse prostrare così una donna di quarant’anni alta e robusta come lei. Il marito andò via e, poco dopo, anche Mirna; Alice stava per congedarsi quando entrò il caposala accompagnato da un’infermiera con il carrello delle medicine per la terapia. Alice affrettò i suoi saluti per non essere giustamente cacciata, visto che era finito l’orario delle visite. Era già per avviarsi e guardava in viso la malata seduta nel letto quando il caposala, guardando in faccia Mirella ed ignorando la visitatrice, disse: “Facciamo la terapia a questa nevrotica?!”
Alice vide Mirella fare un sorriso forzato ed imbarazzato, guardava anche lei il caposala in faccia e non incrociò più lo sguardo di Alice che, gelata dalla sorpresa, ripeté frettolosamente i saluti già fatti a cui Mirella non rispose e si avviò, mentre il caposala diceva ancora: “Nevrotica: così c’è scritto sulla cartella clinica.”
Alice era costernata per la mancanza di deontologia professionale dimostrata dal caposala e, immaginando l’umiliazione di Mirella che non aveva avuto più il coraggio di guardarla in faccia, dispiaciuta per lei.
Anni dopo, con tante esperienze fatte, non si dispiacque più.
Mirella vendette la casa a metà dell’anno scolastico dei suoi figli e si trasferì a Gorizia, vicino ai suoi parenti. Fino ad un mese prima aveva detto che si sarebbe trasferita, ma solo dopo che suo figlio maggiore avesse terminato il ciclo di studi superiori, per non fargli cambiare scuola in corso. Invece il povero ragazzo non solo cambiò scuola in corso, ma addirittura a metà anno scolastico, con tutta la sofferenza che un simile sradicamento comporta.
La signora bionda e tonda che aveva servito per molti anni in casa della madre di Carlo disse ad Alice che aveva martellato il marito per vendere ed andarsene, presa da una sua smania, incurante dello sradicamento dei figli, anche per le amicizie, importanti a quella età.
La buona donna non aveva capito che la definizione di nevrotica data da Alice a Mirella aveva un fondamento clinico. Nel raccontarle i fatti riguardanti la vita di Mirella e Carlo si raccomandava che non ne parlasse con nessuno, anche perché molte cose le aveva apprese direttamente, stando in casa della madre di Carlo, ed altre le aveva sapute da Maria, la domestica di Mirella e Mirna, che era sua amica. Così Alice apprese che anche Maria, pur servendo devotamente, si stupiva di ciò a cui assisteva.
Altre conferme che le sue impressioni su Mirella erano giuste le ebbe da una “pentita”. Lei la chiamava così perché la faceva pensare ai pentiti di mafia, gente che ne aveva fatte di cotte e di crude con tutti gli altri correi, poi si era pentita ed aveva iniziato a raccontare: ecco come era andata. Si trattava di una hostess di origine bolognese che frequentava le serate allegre in casa di Carlo e Mirella la quale, dopo essere entrata in crisi con suo marito che la tradiva, si rese conto che l’amicizia con il socievole gruppo non esisteva e sia Mirna che Mirella si compiacevano dei suoi guai. Strano che non si fosse accorta prima dell’assoluta mancanza di autenticità di quei rapporti! Così parlò con Alice, esprimendo il suo pentimento per “quelle serate in cui si beveva vino e dopo non si sapeva più cosa si diceva degli assenti”. Alice trovò conferma di ciò che aveva capito da sola: si dicevano volgarità inventate su chi non ne dava alcun motivo, tanto per farsi quattro risate! Spesso erano proiezioni di proprie paure interne più o meno manifeste, o di desideri. Così Alice diventava una che avrebbe desiderato andare a letto con il muratore ed il povero Giulio un omosessuale che andava con i suoi studenti e collaboratori! Ebbe la conferma che aveva fatto benissimo a sottrarsi ad una simile squallida compagnia.
Non che dubitasse del suo giudizio, però averne conferma la rassicurò molto e la inorgoglì.
Ad una delle ultime feste date da Mirella, si era di Carnevale, si rifiutarono di andare adducendo le solite scuse, sempre meno credute, tanto che gli inviti si erano fortunatamente diradati. Quando Alice seppe da Marco, il figlio maggiore di Mirella, cosa era accaduto, fu ancora più felice della sua scelta.
Marco aveva circa dodici anni, la sua sorellina qualcuno di meno, ed avevano assistito, seduti in pigiama sulla scala che portava alle camere del piano di sopra, alla seguente scena: per vivacizzare la festa tutti gli uomini erano stati invitati ad andare in un’altra stanza, a sfilarsi i pantaloni ed infilare sulla testa, fino a coprire l’inizio delle gambe, un sacco scuro di plastica, di quelli in uso per la raccolta dei rifiuti e, fatti due buchi davanti agli occhi per vederci, erano tornati tutti nel soggiorno dove la solerte organizzatrice aveva fatto allineare le signore, le quali erano state invitate a riconoscere i loro rispettivi partner dalle gambe nude, più o meno villose. Non basta, la vivacissima serata si era conclusa nel medesimo buongusto con lo spogliarello di Saverio, l’ultimo arrivato nel piccolo villaggio, il quale era rimasto in mutande da donna.
Evidentemente Carlo e Mirella non pensavano minimamente che far assistere i due bambini a questo spettacolo fosse diseducativo.
Sicuramente i tempi, in seguito, si sono evoluti al peggio: televisione, cinema, società in genere hanno offerto ai bimbi ben altri spettacoli, ma è differente se li hai in casa tua, con l’avallo dei genitori.
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Via via che Mirella e Mirna si erano rese conto che i Vidoni si sottraevano alla loro frequentazione e che Alice non era la povera depressa scema che loro avrebbero voluto che fosse, a volte non la salutavano ed i loro mariti facevano altrettanto. Incapaci di ammettere la realtà che li riguardava, davano la colpa a chi li evitava.
Accadevano episodi che erano sintomatici di questo loro malessere.
Alice, un giorno che riconduceva a casa in auto i propri figli dalla scuola, vide Marco che, pur essendo più piccolo dell’ultimo dei suoi figli, attendeva da solo l’autobus per tornare a casa. Pur avendo la domestica tutti i giorni Mirella, evidentemente, non trovava il tempo per andarlo a prendere. Accostò e lo fece salire, nonostante il bambino avesse un atteggiamento scostante: infatti, mentre i suoi figli lo avevano riconosciuto e salutato affettuosamente, lui era rimasto fermo senza salutare, con un sorriso incerto sulle labbra. Era assurdo non farlo salire visto che abitavano nello stesso posto. Alice pensò che la madre aveva inquinato il povero ragazzino chissà con quali argomenti.
Tempo dopo Monica, la sua figlia più grande, prese la patente e i ragazzi tornavano da soli con la sorella che guidava una vecchia auto. Un giorno rimasero in panne sulla strada statale e si avviarono a piedi verso casa facendo diversi chilometri. Nel tragitto videro passare Mirella con la sua auto che li guardò e tirò dritto. Raccontarono allibiti ed infuriati alla mamma l’accaduto, non trovando alcuna spiegazione logica e civile ad un tale comportamento.
Poco tempo prima che Mirella vendesse la casa e partisse senza salutare nessuno, nemmeno i suoi compagni di cene, una sera Alice rientrava con la sua auto a casa e Mirella arrivò dietro di lei e le piantò gli abbaglianti addosso: era pochi metri dietro la sua auto ed erano quasi all’ingresso del comprensorio di villette. Alice non vedeva più niente, solo l’ombra della sua Dyane proiettata sul muro di cinta di una delle ville che confinava con la strada comunale. Rallentò moltissimo e percorse con fatica i pochi metri che mancavano all’entrata, poi girò per entrare e guardò di lato per vedere chi fosse il pazzo che agiva con tanta assurda sconsideratezza: rimase sbalordita nel vedere che era Mirella.
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L’ultimo invito che accettò, dopo molto tempo che non ne venivano loro più fatti, fu a casa di Mirna. Mirella non la salutò e non rispose al suo saluto. Di quella serata ad Alice rimase il ricordo di un gruppo di signore che circondavano la padrona di casa facendo capannello; Alice si avvicinò, non per curiosità, giacché nulla di quella gente così vuota la incuriosiva, ma perché era lì e doveva fare la sua parte: il capannello si schiuse e vide la padrona di casa che, divertita, mostrava alle sue ospiti una bottiglia di vino con etichetta e piccolo fascicolo appeso al collo. Con una mano teneva l’eterna sigaretta e con l’altra offrì all’ultima arrivata la visione dell’oggetto che suscitava, almeno in apparenza, l’ilarità delle signore: sull’etichetta della bottiglia c’era scritto “vino del cazzo”, Mirna aprì il foglietto appeso al collo della bottiglia ed Alice vide il disegno di un pene, come se ne vedono a volte disegnati sui muri di certi bagni pubblici. Ad Alice non venne da ridere affatto, sorrise appena per educazione, mentre le altre ospiti ridevano. “Me l’ha regalato il muratore, - spiegò Mirna - quello che mi ha fatto il pozzo”. Alice pensò che nessun muratore che aveva lavorato in casa sua si sarebbe mai permesso di farle un regalo e, soprattutto, di quel tipo. Mirna lo aveva così gradito che lo mostrava alle sue ospiti.
Una di queste, moglie di un collega di Mariano, mentre nel corso di quella serata si parlava di ballo, ad Alice, che aveva detto che le piaceva ballare ma aveva dovuto rinunciarci perché a suo marito non piaceva molto, disse con una smorfia: “E dove andavi da giovane, nelle balere?” In questo caso Mirna fece una faccia imbarazzata, forse, si chiese Alice, perché le aveva detto che da giovane, al paesetto dove era nata, andava a tutte le feste danzanti che si tenevano, appunto, nelle balere di paese? Alice rispose alla “signora” che lei era romana ed aveva sempre vissuto a Roma, dove di balere non ce ne erano, si usava, invece, ballare in case di amici la domenica pomeriggio.
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“Ma perché dobbiamo perdere il nostro tempo con questa gente?” Chiese Giulio ad Alice. “Di tempo ne abbiamo poco, perché lo dobbiamo sprecare così? Per andare d’accordo con i vicini che non ci danno nulla? Nessun discorso culturale, divertente, nessuna umanità, solo fastidi! Se hanno bisogno di una corte che stia dietro alle loro serate volgari se la pagassero!”
“Io la penso come te, - rispose sua moglie - soprattutto non danno nessun aiuto nel caso uno ne avesse bisogno! Anzi con questi ci si rimette! Un giorno Mirna mi ha chiesto di comperarle un chilo di carne e poi se non le richiedevo i soldi faceva finta di dimenticarsene! Altre volte mi ha chiesto di comperarle qualcosa e poi fa finta di non ricordare che ho anticipato la spesa per lei! Conta sulla timidezza e sulla buona educazione degli altri! Ma perché dovrei “educatamente” non richiederglieli se lei “maleducatamente” se ne dimentica?!”
“Ed hanno più soldi di noi! - Replicò Giulio. - Hai visto la storia del cane randagio che quella matta di Mirna ha raccattato? Portava i sacchetti dell’immondizia nel loro giardino e, nel farlo, saltava dal muro che dà sullo spazio davanti al nostro cancello! Quando l’ho detto a Mariano non si è scusato, in compenso ha detto che non aveva una rete da mettere e, per non avere i rifiuti davanti casa, gliel’ho data io: il povero che dà al ricco!”
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Quando Mirella, venduta la casa, partì senza salutare nessuno, Mirna disse ad Alice: “Ho visto passare il camion dei traslochi e non l’ho più vista né sentita!”
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Saverio, colui che aveva vivacizzato la serata in casa di Mirella con lo spogliarello, era un amico di Marianna.
Marianna era sola ed aveva una turbinosa vita sentimentale che continuava ad avere nonostante la nascita di un bel bimbo, il cui padre le aveva detto: “E che ne so se è mio?” Ed era scomparso. C’era stato poi un rapido matrimonio con uno strano medico finito in un fallimento.
Alice era disgustata dal via vai degli uomini nella vita e nel letto di Marianna e la evitava; le dispiaceva per quel bambino che vedeva sua madre cambiare uomini come si cambia un vestito e pensava che non poteva che fargli male nel profondo di sé. La madre le sembrava, dunque, insensibile ed egoista nei riguardi del figlio Emiliano.
Giada, l’amica del cuore di Marianna, provò a spiegare ad Alice perché la sua amica si comportava così: erano amiche dai tempi della scuola e lei ne aveva conosciuto i genitori, la storia familiare, ed era a questa che faceva risalire i comportamenti di Marianna. A poco a poco, attraverso Giada, Alice accettò Marianna.
Giada soggiornava spesso a casa dell’amica, la quale aveva molto bisogno di amici e, fra tutti quelli che usavano la sua villa, Giada e la sua famiglia erano i migliori. Il marito di Giada ed i suoi due figli, Cesare e Sonia, facevano una vera e propria manutenzione della villa, spontaneamente, mentre altri amici usufruivano dell’ospitalità di Marianna senza fare nulla, alcuni, anzi, danneggiando la villetta.
Saverio comparve con accanto una piccoletta con pochi capelli biondi e ricci ed un bambino che sembrava una bambina per via dei capelli che erano lunghi. Suonavano sempre al cancello dei Vidoni se non trovavano Marianna, sorridenti, ed i Vidoni erano sempre gentili con loro, sapendoli amici della vicina.
C’era solo un aspetto che dava un po’ fastidio ai Vidoni, soprattutto ad Alice: Marianna aveva chiesto loro se potevano tenere le sue chiavi di casa, per sua comodità, perché abitando a Roma ed usando la villa solo come seconda casa, in caso di bisogno, non era costretta a venire ma, telefonando ai vicini, poteva chiedere di aprire ad un operaio che dovesse effettuare dei lavori, ad esempio, o per qualunque altra necessità della casa.
Alice e Giulio erano stati messi sull’avviso dal padre di Giulio che aveva detto: “Per me avete fatto male.”
“Perché?”
“E’ sempre una responsabilità.” Aveva risposto il vecchio saggiamente.
“Se ci ha chiesto di tenerle vuol dire che non pensa che noi si possa rubarle in casa!” Aveva detto Alice insicura, perché in cuor suo pensava che suo suocero aveva ragione.
“E poi - soggiunse - temevamo di offenderla rifiutando, perché lei sa che abbiamo accettato di tenere quelle dei Boiti già da qualche tempo.”
Avevano iniziato, poi, a vedere che nella villa di Marianna venivano coppie che aprivano con altri mazzi di chiavi, entravano e si chiudevano dentro. Era evidente l’uso che ne facevano, ma era imbarazzante che Marianna non ne avesse fatto parola con i Vidoni, che pure aveva investito di una responsabilità dando loro le chiavi. Giulio ne parlò con Marianna, la quale ammise che dava un altro mazzo di chiavi a suoi amici che ne facevano richiesta.
“Basta saperlo, - disse Giulio - sai uno può pensare anche che sono ladri; che ne sappiamo noi?”
Fra queste coppie videro anche la coppia Saverio-piccoletta bionda, riccia e un pò calva, senza il bambino-bambina naturalmente. Da questo arguirono che non dovevano essere marito e moglie e che il bambino-bambina era di uno solo dei due.
Una sera furono invitati a cena da Marianna e, insieme a Giada ed al marito, trovarono pure Saverio ed il mostricciattolo biondo che si chiamava Elsa. Seppero così che il bambino si chiamava Saul ed era di Elsa, separata dal marito, ed anche Saverio aveva un matrimonio fallito alle spalle con due figli che vivevano con la madre.
In quella circostanza i due informarono i presenti che avevano intenzione di venire a vivere lì, acquistando una villa che era in vendita da prima che arrivassero i Vidoni.
Poco tempo dopo l’acquistarono e si trasferirono anche loro nel piccolo villaggio. La villa in questione era confinante con quella dove vivevano il Dott. Contenti e la sua segretaria.
Venne a vivere con loro anche Saul e solo nei fine settimana arrivavano anche i figli di Saverio.
Alice sapeva che Elsa era diplomata al liceo classico e che lavorava in un ministero, mentre Saverio, che non si era mai laureato in Chimica, insegnava nella scuola media pubblica una materia per la quale non era richiesta la laurea: Educazione tecnica.
Giada disse ad Alice: ”Elsa mi dice che al ministero sta in un ufficio dove non fa niente tutto il giorno. L’hanno messa lì e non sa nemmeno di cosa si occupa quell’ufficio.”
“E’ una vergogna! Povero denaro pubblico buttato dalla finestra!” Commentò Alice.
“Sai che c’è, - disse con tono confidenziale Giada - lì ce l’ha messa il padre. Elsa viene da una famiglia importante, sai, il padre è laureato, stanno bene, pensa che a casa hanno la cameriera a cui fanno portare la divisa con grembiulino e crestina.”
“Ah sì, - replicò l’altra - ricordo che alla festa di Carnevale che hanno dato a casa loro per familiarizzare con i vicini, lei si è vestita da cameriera con la crestina ed ha detto che gliel’aveva prestata la domestica del padre.”
“Dopo che si è separata dal marito è tornata a vivere con il padre.” Spiegò Giada. “Invece Saverio lavora grazie alla madre che lo ha aiutato per avere questo posto nella scuola, sai lei è nell’ambiente da tanti anni. Lui è uno spostato, non riusciva a laurearsi.....Eppure lui la madre la odia.....Odia tutte le donne, dice che sono tutte puttane.”
Alice la guardò esterrefatta e non fece commenti.
Sempre con lo stesso tono tranquillo e misurato Giada continuò: “La madre ha lasciato il padre per un altro uomo e lui è stato cresciuto dal padre frustrato, che non ha accettato l’abbandono della moglie.......E’ il padre che gli ha messo dentro queste idee......”
“Ma ha quarant’anni, è pure separato ed ora convive con una donna che ha avuto la stessa esperienza di fallimento! A quarant’anni dovresti aver superato i condizionamenti della famiglia di origine!”
Giada sospirò: “Lo so, lo so. Ma Saverio è un po' matto sai? Quella povera donna della moglie, che lavora pure, lui l’accusava di trascurare i figli ed ha chiamato anche i carabinieri una volta.”
“Addirittura!?” Alice pensò che certe scene le dovrebbe fare solo la gente senza cultura e senza educazione, altrimenti sono ingiustificabili.
“Hai visto i figli? Sono sempre curati, puliti: la moglie è una brava donna, è lui che è pazzo. Non sta bene economicamente perché deve passarle qualcosa per i due figli.”
“E la legge che giustamente lo impone!” Commentò Alice animosamente.
“Per lui è una svolta essere venuto a vivere qui con Elsa: dopo la separazione se la passava malissimo. Era costretto a vivere in un appartamento piccolissimo con un altro spostato come lui per dividere le spese, solo che questo era un disordinato tremendo e Saverio doveva pulire, rassettare...Una vita d’inferno.”
“Ma come ha fatto a comperare la villa, l’ha aiutato la madre?” Chiese a quel punto Alice.
“Nooo! Elsa ha venduto uno dei due appartamenti in cui viveva con il padre. Erano uno sopra ed uno sotto collegati con una scala interna, uno il padre lo aveva intestato alla figlia e quella se lo è venduto senza dirgli nulla; il poveretto si è ritrovato con il nuovo proprietario collegato al suo appartamento dalla scala interna.”
“Ma allora Elsa fa proprio schifo!” Commentò scandalizzata Alice.
Giada alzò le sopracciglia e sospirò di nuovo: “Voleva andare a vivere con Saverio......Lui ci ha messo solo dieci milioni.”
Alice rifletté un attimo poi disse: “Sono venuti da me già due volte di primo pomeriggio, io li ho fatti accomodare, ho offerto loro qualcosa, erano strani e mi mettevano a disagio perché non capivo cosa avessero: mi hanno chiesto il numero di telefono del mio notaio, sai quello che era amico di papà, ed io gliel’ho dato. Mi hanno detto che gli serviva perché il notaio che aveva fatto l’atto dell’acquisto della loro villa aveva sbagliato. Mi sono meravigliata, perché se aveva sbagliato non andava pagato, oppure doveva sanare l’errore. Gliel’ho detto ma non sono entrata nel merito dell’errore, anche perché loro erano davvero strani, non erano chiari e c’era tra loro una strana atmosfera che mi metteva tensione. Qualche settimana dopo sono tornati, più strani di prima, mi hanno richiesto il numero del notaio dicendo che lo avevano perso, io cominciavo a seccarmi ma gliel’ho ridato. Questa seconda volta lei si è spinta a chiarire un po’ meglio la ragione della richiesta, anche se io non ho fatto alcuna domanda, speravo, anzi, che se ne andassero prima possibile, e mi ha detto che il notaio aveva sbagliato le percentuali di proprietà sua e di Saverio assegnando a lui solo un sesto; ricordo di aver detto che non è il notaio che decide le percentuali di proprietà ma chi acquista......Non capivo dove volevano andare a parare. Poi un giorno mi ha telefonato il mio notaio, seccato, perché era stato contattato da due tizi che si erano presentati a mio nome e gli avevano esposto una situazione chiarissima sul piano legale, ma non si sapeva bene cosa volessero fare e gli stavano solo facendo perdere tempo.”
“Vai a fare i favori alla gente!” Commentò con un sorriso per sdrammatizzare Giada.
Alice era molto arrabbiata con sé stessa perché, per buona creanza, continuava ad avere fastidi dai vicini.
*****
Arrivò il Natale ed Alice cercò di fare gli auguri a Marianna ed a Giada che non si erano più viste né sentite. Ma i loro telefoni di Roma squillavano a vuoto e lei disse a Giulio: “In fondo se sono partite avrebbero dovuto chiamarci loro per farci gli auguri.” Era dispiaciuta per Giada, molto meno per Marianna.
Da qualche tempo Elsa era scomparsa. Alla mente di Alice, per quanto ingenua, si era affacciato il sospetto che se ne fosse andata. Giulio, che sembrava infischiarsene delle follie del proprio prossimo ed invece notava tutto, disse: “Quella se ne è andata.”
“L’ho pensato anch’io, - confidò Alice - ma se Saverio passa qui e dice che Elsa è dal padre ammalato per assisterlo, per me è così.”
Dopo Natale, un giorno che Alice stava portando quattro pesanti sacchetti dell’immondizia ai relativi cassonetti, incrociò nel viale di uscita del piccolo comprensorio un gruppetto di persone ferme in mezzo alla via, salutò educatamente e cercò di proseguire verso la sua meta ma, dato che una di queste persone era Saverio, commise l’ennesimo errore di buona creanza chiedendogli, nel passare, come stesse il padre di Elsa. La reazione fu assurda: l’uomo fece un sorriso scomposto, che voleva essere sarcastico forse e, scambiandosi un sorriso d’intesa con Mirella, che era una del gruppetto, rispose alla povera Alice: “Sta bene. Dovresti saperlo, che non vi siete visti a Natale?”
Alice si fermò esterrefatta, guardando senza capire Mirella che sogghignava e Saverio: “Visti chi?” Il suo stupore era tale che una signora molto fine che accompagnava Mirella la guardò con rispetto. Mirella gliela presentò frettolosamente come moglie di un collega di Carlo venuta da poco ad abitare nella zona.
“Non vi siete visti a Natale con Marianna, Giada e gli altri?” Chiese a quel punto Saverio.
“No - disse seria Alice - li ho cercati per far loro gli auguri ma non li ho trovati, né loro me li hanno fatti.”
“Ah, - fece allora Saverio - io pensavo che vi eravate visti e.......comunque lo sai no? Elsa mi ha lasciato.”
Se non vi fosse stata la signora molto fine, che era visibilmente seccata dal comportamento di Mirella di cui era ospite in visita, (dopo quella volta non si vide più nel comprensorio), Alice, che era furente dentro di sé, avrebbe risposto ai due come meritavano: “Se uno dà una versione delle proprie faccende, per cambiarla deve parlare chiaramente, perché gli altri, quelli normali, hanno le loro cose a cui pensare e delle pazzie tue e della tua convivente non gliene può fregare di meno! Poi prima di fare deduzioni sulle persone informati!”
Invece prevalse ancora la buona educazione di cui era intrisa e disse: “Tu hai detto che Elsa era al capezzale di suo padre.” L’ira contenuta però forse si vedeva sotto la patina della correttezza e, la signora fine, che guardava corrucciata la sogghignante Mirella, la guardò con comprensione e partecipazione.
“Oddio....ho preso pure i tranquillanti e sono un po' intontito.....Ma credevo che aveste capito.” Farfugliò Saverio.
Mirella, che non aveva l’acume della sua ospite, tutta trionfante disse: “Io avevo capito tutto, Carlo mi ha detto: Sei una strega!”
“E sai che sforzo”!! Pensò in silenzio Alice.
Mentre la fine signora bionda, sempre più pentita di aver accettato l’invito di Mirella, si adombrava visibilmente per essere costretta, suo malgrado, ad assistere ad una scena di indubbio cattivo gusto, la sua ospite, che non sembrava accorgersene, fece di peggio: “Devo dare una festa mascherata a tema: gli indiani! Così possono venire tutti senza mascherarsi perché le penne qui le hanno tutti!” E scoppiò in una gran risata, molto orgogliosa del suo umorismo da caserma. Saverio rideva ed ora si vedeva che, effettivamente, aveva detto il vero sugli psicofarmaci, perché sudava, aveva le palpebre semichiuse e rideva come un ebete. Alice, a cui i sacchetti dell’immondizia cominciavano a pesare molto, per togliersi ogni dubbio si informò: “Cosa intendi per penne, le corna?” Si era ricordata che era un’espressione che usava suo padre quando faceva del sarcasmo sui cornuti.
“Siiiiii!” Fece Mirella annuendo più volte e ridendo tutta contenta della sua arguzia.
Alice guardò la signora bionda che avrebbe voluto essere altrove, come lei, e seriamente disse: “Ringraziando Dio noi ancora non le abbiamo.” Salutò e si allontanò.
Quando ripassò il gruppetto era ancora lì: la signora bionda con le braccia conserte discosta dai due che continuavano a parlare ridendo tra loro e non la guardarono neppure. Passando Alice sentì un moncone di frase di Mirella: “Se lo sa la strozza.......”.
*****
Alice raccontò l’episodio a suo marito naturalmente. Lui non si indignava come lei. Una volta catalogate le persone non si meravigliava più. Ma Alice era Alice, di nome e di fatto. Iniziò una tiritera sfogandosi: “Ma come si permette quella pazza di dire che qui le corna le hanno tutti?!”
“Potevi risponderle: “Parla per te.” Disse tranquillo Giulio.
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Quando Alice rivide Giada rimase delusa dalla sua reticenza; le disse: “Non ci siamo fatti sentire perché non volevamo impicciarci in questa faccenda: sai voi abitate dove continua ad abitare Saverio.”
“E allora?” Pensò Alice, come al solito in silenzio.
“Elsa se ne è andata perché quello voleva che gli intestasse mezza casa.” Proseguì Giada.
“Ora capisco le scene che venivano a fare a casa mia, facendomi perdere il mio prezioso tempo, per avere il numero del notaio: era lui che premeva per cambiare l’atto di compravendita”.
“L’atto era giusto così: lui ci aveva messo un sesto della cifra e quella era la sua percentuale di proprietà.” Sentenziò giustamente Giada.
“Altro che corna! Qui sono soldi!” Alice pensò alla stupida e presuntuosa Mirella e sorrise fra sé con ironia.
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Mirna adottò Saverio. Gli preparava pranzetti e, se Mariano era a casa, glieli mandava per Mariano stesso, altrimenti lo faceva lei. Lui, Saverio, le lasciava le pentole vuote in un sacchetto appeso al cancello. Il via vai fra le due ville, i cui cancelli erano uno di fronte all’altro, si era infittito al punto tale che Cesare, ormai grandicello, propose ai figli di Alice di andare nottetempo a dipingere delle striscie pedonali fra le due ville, per prenderli in giro. Dato che i ragazzi di Alice avevano grande confidenza con i genitori, raccontarono ridendo la comica proposta di Cesare, ma Alice, indignata, li diffidò dal farlo.
Giada e la sua famiglia malignavano molto su questa “adozione”.
Alice pensava che Mirna lo faceva per rendersi interessante agli occhi di un distratto marito, spesso assente perché all’estero per il suo lavoro. Anche se riteneva che fosse un modo infantile di cercare di suscitare il pensiero lontano del marito. Infatti Mariano dimostrava la sua indifferenza non ingelosendosi affatto per le attenzioni che sua moglie aveva per il vicino, anzi, quando c’era, l’assecondava ed era addirittura imbarazzante vedere questa specie di lord inglese attraversare i pochi metri che dividevano le due ville con la padella in mano. Cesare raccontò che un giorno, correndo, stava per finirgli addosso ed aveva rischiato di rovesciare il lauto pranzetto preparato da Mirna con le sue mani per il caro vicino.
Giada e la sua amica Marianna si dicevano sicure che, quando Mariano non c’era, Mirna andava a letto con Saverio. Alice ricusò quelle insinuazioni sembrandole un modo sporco di pensare.
Ma le due, insieme al marito di Giada, le raccontarono che una sera che rientravano con due macchine dopo essere stati a prendere una pizza, dopo mezzanotte, incrociarono Mirna che, in vestaglia, usciva dalla villa di Saverio e, sotto il fascio dei fari delle loro auto, rientrava nella sua. Per loro questa era la prova della tresca.
Per la candida Alice no. Poteva esserci un’altra plausibile spiegazione: era di sabato e nel fine settimana Saverio aveva i due figli, poteva aver avuto bisogno di una medicina per uno di loro, i bambini hanno a volte febbri improvvise ed essendo un uomo solo con due ragazzini si era rivolto alla vicina.
Questa possibile spiegazione non convinse Giada che storse la bocca e ribadì tranquilla ad Alice il suo pensiero.
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Qualche volta Alice provava ancora a parlare con Mirna. Un giorno passò a casa sua per bere un caffè con lei e la trovò indaffaratissima a preparare un pranzo da mandare a Saverio, per lui e per i suoi figli. “Ci tiene tanto a questi figli!” Sembrava investita di una missione.
“Certo, - provò a farla riflettere Alice - abita in una casa che non è sua. Marianna e Giada, che sono amiche di Elsa, mi hanno detto che lui non vuole andarsene se non gli dà mezza casa. Lei se ne è andata per questo. Ora che la loro convivenza, dopo due soli anni, è finita, sarebbe dignitoso per lui andarsene dopo che lei gli ha restituito il valore del suo sesto di proprietà. Non ti pare?”
“Si lo so. - rispose Mirna continuando velocemente a cucinare - Lui dice che nella casa ci ha lavorato, per questo vuole di più.”
“Per quanto ci abbia lavorato ha fatto piccole cose, lavoretti che non arrivano certo al valore di metà della villa.”
“Sono venuti anche i carabinieri, non l’hai saputo?”
“No!” Disse sorpresa Alice.
“Li ha chiamati lui perché lei era venuta a riprendersi i suoi mobili antichi e lui non glieli voleva dare.”
“Ma che squallore!” Pensò Alice. “Questa sa anche questo e continua a foraggiarlo”.
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Dopo un anno che era scomparsa un giorno Elsa telefonò in casa di Alice: “Ciao, sono Elsa”.
“Elsa chi?” Chiese Alice, non ricordando la sua voce.
“Ma come si fa a chiamare a casa della gente senza dire il proprio cognome insieme al nome! Sai quante Else conosco! Come si fa a quarant’anni suonati a pensare di essere al centro dei pensieri di chiunque?” Si sfogò Alice con il marito. “Che cafona!”
Giada le raccontò che Elsa era andata via dalla sua villa dopo aver tentato invano di mandare via Saverio e, inizialmente, era andata ad abitare a casa di Marianna, sempre soccorrevole con i suoi amici peggiori. Poi Marianna l’aveva buttata fuori perché aveva scoperto che si portava gli uomini in casa. Perbacco, era troppo anche per lei! Dare le chiavi della villa alle sue coppiette di amici quando lei non c’era va bene, ma portarsi gli uomini nella casa di Roma, dove lei abitava e l’aveva provvisoriamente ospitata, era veramente troppo!
“Ma che donna è questa?” Chiese a questo punto Alice a Giada, visto che era anche sua amica.
“Tu sei rigida, Alice, Elsa è così......Ma lo sai che quando stava ancora con il marito, siccome lui le faceva le corna, lei per contraccambiarlo andava con il suo parrucchiere, che era pure fidanzato?”
“Rigida?” Pensò Alice. “Ma una morale di vita bisogna pure averla.”
“Questa donna ha un figlio, - disse - se il marito sbagliava poteva separarsi senza scadere in questo modo. Al figlio cosa rimane se non ha neppure una figura pulita della madre a cui appoggiarsi, riferirsi?” Ma per Giada, molto comprensiva con le debolezze (o sarebbe meglio chiamarle bassezze?) umane, lei era rigida.
Mirella e Mirna avevano creato il partito di Elsa e quello di Saverio: loro si erano messe in quello di Saverio ed i Vidoni li avevano messi in quello di Elsa, senza consultarli.
Fra le varie follie con cui occupavano le loro menti e la loro giornata si può narrare un episodio che ebbe come inconsapevole oggetto sempre la povera Alice.
Mirna un giorno le disse: “Ma non startene sempre chiusa in casa a fare le faccende, vieni a prendere un thè”.
Alice andò. Vi trovò anche Mirella. Le due iniziarono subito una conversazione fra loro di cui Alice non capiva i contenuti, dopo un po’, sforzandosi educatamente di prestare attenzione capì che parlavano di una delle due che subiva scherzi telefonici.
“Devi far mettere il telefono sotto controllo.” Alice non capiva perché non le spiegassero nulla e, nel tono della frase detta da Mirella, le era sembrato di sentire un che di minaccioso verso qualcuno, ma visto che erano in tre ed una, Mirna, aveva capito essere l’oggetto delle molestie telefoniche, ebbe la strana sensazione che la minaccia fosse rivolta a lei. Ma rimosse la sua sensazione censurandola come assurda. Cercò educatamente di interessarsi alla faccenda e fece delle domande per capirne di più.
“Viene sicuramente da una villa, perché si sentono gli uccellini!” Disse Mirna.
Alice pensò che gli uccellini lei li aveva pure sul balcone della sua casa di Roma, quando ancora vi abitava.
“Ma cosa dicono questi molestatori?” Chiese.
“Niente, stanno in silenzio, - rise - io da questa parte e loro dall’altra”.
“Vogliono solo sentire la tua voce.....”. Sorrise Alice mentre pensava che se era un adulto doveva avere una mente infantile, altrimenti era un adolescente o un bambino.
“Comunque abbiamo accertato da dove vengono queste telefonate”. - Mirna si era rifatta seria e sicura. Alice si sorprese di nuovo, non capiva e pensava: “Ma se lo sa che senso ha quello che stanno dicendo: “Il telefono sotto controllo.....deve essere una villa perché si sentono gli uccellini”....”.
Mirella aveva un’espressione dura e sicura e non guardava in faccia Alice. Mirna disse: “Abbiamo fatto una prova con Mariano, - fece un riso breve, quasi rabbioso, - io sono rimasta al telefono a tenere aperta la linea e lui è corso a casa di Mirella a telefonare al numero che sospettavamo fosse del molestatore: ebbene quel numero era occupato ed è rimasto occupato finché Mariano, dopo venti minuti, non è tornato ed allora io ho attaccato il telefono, poi lui è tornato da Mirella ed hanno chiamato quel numero che, guarda il caso, risultava libero!” Scambiò con Mirella un sorriso sarcastico di intelligenza e qualcosa nel loro atteggiamento confermò ad Alice la sensazione che aveva censurato: e cioè che l’avessero con lei.
“Ma non stiamo a spiarci dalle finestre, frequentiamoci!” Disse Mirna all’improvviso rivolta apertamente ad Alice.
“Ma chi spia dalle finestre?” Si chiese smarrita la poveretta sempre più straniata dall’assurdo comportamento delle due. Lei non aveva certo tempo di mettersi in finestra a spiare qualcuno, anche volendo. Le due folli dovevano avere molto tempo per pensare a sciocchezze ed erano rimaste, psicologicamente, a quello stadio infantile in cui ognuno si sente al centro dell’universo e che, dicono i testi, gli umani normali superano dopo i primi cinque anni di vita.
Alice, dentro di sé, mentre il non rilassante thè, a cui aveva accettato di partecipare, continuava in questa atmosfera, cercava di dare una qualche spiegazione razionale ai fatti. Se l’avevano con lei e la sua famiglia non ne capiva la ragione. Pensò che Mirna, avendo molto più tempo di lei, doveva stare alla finestra e, guardando casa sua, forse l’aveva vista mentre si truccava davanti allo specchio sito all’interno dell’anta dell’armadio che, aperta, finiva proprio quasi sul vetro della finestra. Era un’ipotesi visto che si truccava tutti i giorni. L’interpretazione però era tutta di Mirna. Mentre rifletteva le venne in mente il seguente pensiero che la lasciò di sasso: “Ma come hanno potuto pensare di isolare il telefono del molestatore tenendo staccato il loro? Avviene il contrario: chi fa il numero, riattaccando, chiude e libera la linea e non viceversa!” In tutta questa storia chi la sorprese di più fu Mariano, il dirigente di azienda che non sapeva quello che sanno tutti: che chi compone il numero apre la linea e la chiude! Non ci poteva credere! Eppure Mariano aveva avuto il tempo di riflettere durante tutta la lunga prova che era durata oltre venti minuti! A nessuna di quelle supponenti persone era venuto in mente che, allora, sarebbe facile per chiunque riceva molestie gravi da maniaci o minacce telefoniche anonime, staccando il telefono, isolare quello del maniaco, quindi avvertire la polizia che avrebbe così modo di rintracciarlo.
Era così disgustata dall’arrogante scemenza di quelle persone che non disse nulla. Si limitò a raccontare con tono salottiero di scherzi telefonici che aveva ricevuto anche lei quando abitava in città, in un palazzone della media periferia, da gente poco educata e disse che riteneva puerili e malate le persone che facevano simili cose, se adulte, semplicemente maleducate e stupide se ancora in età immatura. Si congedò sperando per loro che qualcuno li illuminasse su come funzionavano i telefoni.
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Quando Mirella se ne andò, senza salutare nessuno, dopo aver venduto la casa, Mirna rimase senza l’antagonista che la seguiva nella folle gara di migliorie ed ampliamento delle ville. Invece di guardare dentro sé stesse cercando di capire ed ammettere quello che veramente erano e quello che mancava loro, preferivano smontare muri, pavimenti, aprire finestre per poi non godere dei risultati ottenuti ma, come nel caso di Mirella, dare in smanie per andarsene a tutti i costi e vendere al primo che arrivava con i contanti e partire in tutta fretta dietro la propria smania che, comunque, l’avrebbe seguita.
Maria, la brava domestica che si divideva fra le due case, non doveva trovare normale nemmeno lei l’atteggiamento di Mirna nei confronti di Saverio, se raccontò alla sua amica bionda e grassottella che lavorava in casa della madre di Carlo che i due stavano sempre insieme: “…sui dondolini in giardino da lei, oppure lei va a prendere il caffè a casa di lui...” Fece capire all’amica che la cosa per lei era losca, e quella, in seguito raccontò queste impressioni ad Alice. Questa incamerò l’informazione a corollario delle altre avute da Giada e suo marito, ma non mutò la sua opinione: pensava ad un gioco infantile di una donna malata di isteria che si sentiva trascurata dal marito. Di Saverio pensava che era un profittatore ed un mezzo pazzo: uno che riteneva le donne tutte puttane e poi si era messo con una donna che prima di lui era andata a letto con il suo parrucchiere, pure fidanzato, e mentre ancora viveva con il marito! Comunque i soldi di lei gli avevano fatto comodo, come gli faceva comodo la protezione di Mirna ed il cibo pagato da Mariano che, forse, pagava volentieri purché Saverio gliela tenesse tranquilla.
Saverio, ottenuti un po’ di soldi da Elsa, non quelli che avrebbe voluto ma nemmeno quelli che aveva investito, sparì anche con le persone che tanto l’avevano protetto e non si fece più vivo.
Alice diventava sempre più sicura del suo giudizio mano a mano che gli avvenimenti le davano ragione: e sempre più cattiva.
Un giorno Giulio le disse: “Mariano non si vede più: l’hai notato?”
“Lui lavora molto all’estero, ma si, ho notato che si vede di meno.”
“Ma prima nei fine settimana era sempre a casa, poteva, a volte, star via quindici giorni......Ma adesso non si vede proprio più”.
Alice aveva un’ombra di sorriso malignamente ironico sulle labbra: “Anna, sai la moglie di quel tecnico che lavora da te, pur abitando in un altro posto li conosce...”
“Si lo so, e allora?”
“Tempo fa mi chiese: “Ma come fanno quei due a vivere cosi? Mirna mi ha detto che avevano fatto un viaggio in Egitto per parlare dei loro problemi! E che c’è bisogno d’andà in Egitto per parlare?!” Io le dissi soltanto “Non lo so.” Ma pensai che era uno dei soliti atteggiamenti teatrali della malata di isteria, ma che si, dei problemi li hanno di sicuro.”
Come al solito con la sua asciuttezza Giulio aveva visto giusto.
Nonostante il loro matrimonio non andasse bene Mirna si era spinta fino al punto di festeggiare le nozze d’argento in chiesa. Si era vestita di bianco, con un turbante in testa e Mariano, evidentemente, l’aveva solo assecondata se poco tempo dopo l’aveva lasciata per un’altra donna.
Non disse niente a nessuno ma l’odio per i Vidoni aumentò dopo il suo fallimento. Lei, che stava così male da esser costretta a prendere psicofarmaci, diceva che Alice aveva qualcosa di strano, non sapeva se era matta come diceva Mirella, ma qualcosa di strano ce l’aveva.
Alice nel frattempo aveva iniziato a lavorare per aiutare Giulio che, nonostante gli sforzi, non riusciva a guadagnare di più per i tre figli che crescevano.
Inserirsi nel mondo del lavoro a quarant’anni fu difficile: mise da parte la sua timidezza ed il suo orgoglio e si inventò traduttrice, rappresentante di commercio, agente pubblicitario ed infine impiegata.
Mirella pure aveva tentato di lavorare, ma non perché non le bastassero i soldi, il pilota guadagnava bene, era diventato comandante e, anche se avevano le mani bucate, c’era sempre la madre di lui a pagargli bollette esose dimenticate ed altro; Mirella confidò ad Alice che non aveva neppure la firma sul conto corrente del marito. Alice dovette dirle che lei aveva sempre avuto la firma su quello dove veniva versato lo stipendio di Giulio, che poi era il loro unico conto corrente.
Mirella partì trionfante, pensando di avere successo, dapprima insieme a Mirna: tentarono di fare le stiliste di moda. Anna, la moglie del tecnico che non abitava nel Piccolo Villaggio, disse che le avevano chiesto di cucire delle camicette su loro disegno che poi avrebbero venduto.
“Mi volevano dare una miseria e poi loro pensavano di venderle non si sa a quanto! Ma chi gliele compera?” Infatti la cosa finì ancora prima di cominciare.
Poi fu la volta di Mirna che si mise a fare la rappresentante per una casa di mode toscana. Veramente il vero rappresentante era un suo cugino che aveva accettato che lei lo affiancasse nel lavoro per il mercato di Roma. Anche Mirna partì sicura. Un giorno Alice la incrociò, lei era in macchina e Mirna attraversava la strada: vestita da clown sorrideva, anche se era sola, tutta tronfia.
Portava una casacca con un colletto arricciato proprio come quello dei clowns, degli stessi colori squillanti e dello stesso tessuto lucido....Se si presentava nei negozi vestita così... Pensò Alice, e se diceva le cose che le aveva raccontato di aver detto ad un commerciante a cui stava mostrando il campionario...: “Qui a Roma la moda? Ma la moda è a Firenze!” Soprattutto il tono che aveva usato nel ripeterlo: di arrogante sarcasmo. Diceva che accompagnava suo cugino per fargli incrementare le vendite in negozi romani di prestigio... Il poveretto, essendo toscano, pensava davvero che lei, conoscendo meglio la città, potesse essergli utile; invece le vendite crollarono e lui perse il posto. Mirna ebbe un crollo di fiducia in sé stessa: dimagrì, fumò di più, e disse: “Mi è dispiaciuto tanto che ha perso il posto per colpa mia, ho l’esaurimento nervoso!”
Non fece altri tentativi: Mirella invece si. Parlò con una signora che era nota nella zona perché faceva riunioni Stanhome nelle villette e decise di intraprendere lo stesso lavoro. Andò presso un’agenzia che le espletò tutte le pratiche di apertura della partita IVA. Quando anche Alice dovette aprirne una per intraprendere la stessa attività andò all’Ufficio dell’IVA e sbrigò le pratiche da sola, risparmiando i soldi che Mirella aveva pagato senza problemi. Questa, però, si sentiva di molto superiore alla sottovalutata Alice: diceva in giro che Alice con quell’aria modesta e depressa avrebbe annoiato tutte le signore e nessuno le avrebbe prenotato le riunioni per le vendite. Alice non si permise mai di dire nulla su di lei: continuò il lavoro di dealer fino a che riuscì, con molta caparbietà, a bucare il muro di corruzione e raccomandazioni di un pubblico concorso e ad ottenere un posto statale di impiegata.
Un giorno che si doveva fare l’assemblea di condominio a casa di Mirna, l’amministratore, un vecchio maresciallo dei carabinieri in pensione amico dei Marini, si ritrovò in mezzo alla strada perché Mirna era sparita. Così, insieme con il gruppetto di condomini che erano arrivati davanti al cancello chiuso, chiese ospitalità ai Vidoni.
“E si permette di chiamare me matta! - Commentò con cattiveria Alice dopo l’assemblea - Una prende e sparisce senza nemmeno avvertire! Ed è pure amico loro l’amministratore!”
Giulio sorrise senza l’astio della moglie: “Più che altro questa gente pretende di darci lezioni di vita e poi è quella che è...”.
“Appunto. Noi non diamo lezioni a nessuno, non pretendiamo che gli altri vivano come piace a noi, ma questi pretendono che noi si viva come loro e poi guarda che risultati!”
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La normalità è un comportamento di riferimento a cui, evidentemente, i tempi non tendono più. Il tempo di cui narriamo parte dal 1980 ed il costume piano piano è cambiato creando dei mostri. Non che prima non ce ne fossero, ma il comportamento di riferimento dettava regole più rigide e chi sgarrava era giudicato male. Piano piano, in nome di una libertà forse eccessiva, senza più regole certe, la società si è evoluta verso un costume folle, volgare, svaccato... Nelle scuole, nei templi delle varie religioni, si pretende di insegnare sempre le stesse regole a cui attenersi, gli stessi valori universali, ai giovani in formazione che poi, nelle famiglie, nella società vedono contraddetti. Si può definire allora questa società schizofrenica?
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Seguiamo ancora i personaggi del Piccolo Villaggio, vediamo come si sono evolute le loro storie.
Alfonso Contenti è morto e la sua ex-segretaria-amante Valeria non si è più ripresa.
Voleva vendere la villa, poi ci ha ripensato e l’ha usata per farci venire i suoi vecchi genitori in vacanza.
Sperava di avere dei rapporti affettuosi con i vicini. Confidò a Mirna che dalla morte di Alfonso, per due anni aveva dovuto prendere dei tranquillanti e Mirna, negli scarsi colloqui che ormai aveva con Alice disse: “Dopo due anni prende ancora i tranquillanti, l’ho consigliata di smettere.” Sembrava eccessivo persino a lei.
Tentò un affettuoso approccio con Alice andando a trovarla e portandole un cesto di camelie di vari colori del suo giardino. Erano veramente stupende, ma non commossero Alice che ormai non voleva più avere rapporti con nessuno ed era decisamente incattivita. Fu gentile in modo formale ma non ricambiò la visita né fece capire che ne avrebbe gradite altre e Valeria lo capì. Alice commentò con suo marito:
“In fondo le è andata bene, le ha lasciato la villa e dei soldi a sufficienza per vivere di rendita. Me lo ha detto lei un giorno che le avevo offerto un passaggio in macchina, visto che non ha nemmeno la patente. Nella ditta non può più lavorare perché la figlia di lui ha ereditato e, giustamente, l’ha venduta perché fa un altro lavoro e in ditta mandava avanti tutto il padre.”
“Una parrucchiera! Non si è fatta scrupolo di mettersi con il suo capo sposato....Ed ecco che si ritrova una villa ed una rendita che con lo stipendio di segretaria non si sarebbe mai potuta permettere!” Chiosò il marito.
Nella villa di fronte a quella di Valeria abitava una vedova. Finalmente narriamo di una famiglia normale, con anomalie normali, infatti sui Giorgi diremo poco.
Una famiglia borghese, con una moderata agiatezza, casa a Roma e villa in campagna, lui un ingegnere, piccolo imprenditore con Mercedes, lei una dolce signora un po’ svampita ma non troppo, due figli. L’anomalia fu l’amore della bellissima figlia diciassettenne per un ragazzo, più grande di qualche anno, bruttino. L’Ing. Giorgi ebbe subito per questo ragazzo una forte avversione e la dimostrò in ogni modo impedendo alla figlia di frequentarlo.
Alice seppe da Mirella che il ragazzo era un commerciante a cui avevano ucciso il padre davanti agli occhi all’età di quattordici anni durante una rapina nel suo negozio. Alice ricordò quel terribile fatto di cronaca che l’aveva commossa e disse che non capiva l’avversione dell’Ing. Giorgi.
“Frequenta dei delinquenti.” Disse Mirella.
“Ma come è possibile, se i delinquenti gli hanno ucciso il padre!” Alice, come al solito non credeva mai alle cattiverie.
“Appunto per quello!” Fu l’incredibile conclusione della nevrotica. “Ma non vedi che macchinona che ha? Come potrebbe permettersela se non con attività illecite!”
“Ma è solo una grossa Cytroen! - Replicò Alice. - Ha continuato l’attività del padre e quel tipo di commercio rende agiati!”
Mirella non si convinse ed Alice restò della sua opinione.
La bellissima figlia dell’Ing. Giorgi rimase incinta e sposò il giovane bruttino che era innamoratissimo di lei e, appena il bimbo che nacque fu più grandicello, lui le aprì un negozio tutto suo di argenti.
Mirna confidò ad Alice che la signora Giorgi le era proprio piaciuta perché le aveva detto di aver chiesto alla figlia: “Vuoi abortire?”
Anni dopo Alice ripensò a questa richiesta rifiutata dalla figlia che, allora, amava il padre del bimbo che aspettava, e si domandò cosa avrebbe pensato di sua nonna il giovane uomo che, nel frattempo, era diventato se avesse saputo. Oggi la nonna, ormai vedova, raccontava ad Alice di come questo ragazzo riempisse la sua vita quando stava in casa sua per gli studi universitari, dato che la figlia, separata dal marito ormai da molti anni, abitava altrove.
L’Ing. Giorgi morì poco tempo dopo il matrimonio di sua figlia: non aveva mai accettato il genero e sembrò morire di disperazione.
Alice andò a trovarlo in ospedale secondo un uso civile ed umano che in quel posto non era di tutti. Anche le abitudini più normali del vivere civile come visitare i ricoverati in ospedale, partecipare ai funerali ed altri atti ovvi di questo tipo, per quella stranita umanità non erano così ovvi.
Lo trovò ormai allo stremo, respirava con affanno, il petto magro era squassato da un respiro forzato, faticoso. Le dispiacque molto vederlo così: l’Ing. Giorgi era una persona perbene, il suo unico difetto era un’estrema timidezza che lo bloccava nelle relazioni sociali, ma che non gli aveva impedito di andare a casa dei Vidoni, un ultimo dell’anno, con tutta la sua famiglia al completo più la suocera; Alice lo aveva sentito vantarsi con Giulio di aver fatto un fatturato di cento milioni solo una volta: una cifra che il povero Giulio poteva solo sognare! Era magrissimo perché mangiava poco e Giada diceva che era anoressico, ma lo apprezzava molto ed anche lei lo ricordava, dopo la sua morte, con simpatia e stima: “Non andava mai da nessuno, una volta sono riuscita a farlo venire in casa di Marianna invitandolo con la famiglia e gli dissi: “Quale onore Ing. Giorgi”! Proprio perché non andava mai da nessuno.”
La figlia, pensò Alice, doveva essersi sentita in colpa per la morte del padre e, per questo, trattava male il marito.
Quel giorno, in ospedale, ai piedi del letto dell’ingegnere c’era anche il ragazzo magro e bruttino che, per tutto il tempo che Alice stette lì, non disse una parola, era come un oggetto che subiva le sferzate della moglie nervosissima per lo stato del padre, come se lui ne fosse colpevole. C’era anche la signora Giorgi, più normale della figlia, era addolorata ma non se la prendeva con nessuno. Disse ad Alice che non erano certi neppure della diagnosi: non si capiva bene cosa avesse il povero malato, forse una polmonite, forse un tumore alle vie respiratorie...
Anni dopo la figlia venne a convivere con un uomo nella villa: robusto, molto diverso dal padre di suo figlio.
Un giorno, i figli ormai grandi dei Vidoni portarono a casa un quotidiano: “Guardate mamma, papà! C’è la foto del convivente della Giorgi in prima pagina! L’hanno arrestato per droga e perché stava preparando una rapina con un suo amico pregiudicato!”
“Ma non era meglio il marito?” Pensò desolata Alice.
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Mirna, abbandonata dal marito, vendette la casa. L’unica sua forza era l’attaccamento al denaro: lottò con rabbia contro il marito per avere economicamente il massimo.
Alice pensava ad una frase che le aveva detto mentre faceva gli interminabili lavori di ampliamento della villa, alimentati dalle eredità della famiglia di Mariano: “Chissà chi se la godrà!”
Nessuno della sua famiglia, nemmeno i figli: era finita così.
Quando disse quella frase ad Alice era il periodo in cui credeva che le telefonate anonime a casa sua partissero dalla casa di Alice. Suo figlio Aldo aveva detto ad altri ragazzi della zona e della sua età che Monica Vidoni era la sua ragazza. I fratelli di Monica lo seppero da un comune amico: erano tutti adolescenti. In casa Vidoni risero dell’ingenuità di Aldo perché a Monica la cosa suonava nuova. “Mi sono fidanzata e non lo so.” Scherzò la ragazza. Pur avendo la stessa età di Aldo, Monica era molto più matura e, soprattutto, meno sola spiritualmente. I Vidoni parlavano con i loro figli che avevano con loro uno scambio continuo di fatti ed opinioni. Alice aveva notato che un giorno Aldo, seduto sul divano di casa sua accanto all’amica Monica, all’improvviso le aveva messo un braccio intorno alle spalle. Monica era imbarazzata perché non usava avere rapporti troppo affettuosi o camerateschi con i suoi amici e compagni di scuola ma, per non offenderlo, lasciò che quel braccio rimanesse sulle sue spalle.
“Forse ha pensato che bastasse quel gesto per ritenerti la sua ragazza.” Disse Alice a Monica sorridendo. “Forse – pensò fra sé - l’ha detto a sua madre che, più infantile di lui, ha pensato a mia figlia per quelle telefonate.” Lo disse a Monica che fra il riso e l’incredulità disse a sua madre: “A parte il fatto che a me Aldo non piace, poverino, ma se un ragazzo mi piace che mi metto a fare telefonate anonime? Mica sono così infantile e scema!” “Io ti conosco, ma loro no e ti fanno pensare con la testa che hanno.” Rispose sua madre.
Ancora bambini, Federica ed il secondo figlio di Alice, Matteo, si erano innamorati per un breve tempo. Alice se ne era accorta; tutto era finito in uno scambio di qualche piccolo peluche senza dirsi nulla. Ad Alice Federica piaceva e se quel breve incanto fosse diventato qualcosa di più concreto ne sarebbe stata felice.
I ragazzi crebbero, divennero uomini e donne e presero strade diverse.
Ormai ultratrentenni i tre fratelli Vidoni sono tutti sposati, i due fratelli Marini, dopo varie vicende sentimentali, ancora no. Forse la storia dei loro genitori li ha influenzati togliendo loro fiducia nei rapporti autentici e duraturi?
Della famiglia di Mirella si sa solo quello che disse Marco a Matteo e Dario una volta che, da Gorizia, era venuto a Roma a far visita alla nonna. Li chiamò al telefono per vederli, disse che c’erano anche i genitori, che però non si fecero vivi con nessuno. I ragazzi si incontrarono e Marco fece sapere che stavano costruendo una villa, nell’attesa abitavano in modo provvisorio, forse in affitto. “Ricomincia con i muratori.” Fu il commento di Alice quando i suoi figli glielo raccontarono.