La citazione è di mia madre: donna cattolicissima, con una visione della vita e del mondo mistica.
Per quanto si possa essere infelici o depressi il suicidio per lei era un peccato gravissimo e la frase che riporto nel titolo del post gliel'ho sentita ripetere tante volte con un'espressione quasi di paura.
La Fede Vera che ha sorretto mia madre per i suoi 85 anni di vita io non l'ho più, ma credo che certi insegnamenti ricevuti con l'educazione ci sorreggano sempre.
La gente si suicida per motivi concreti che l'hanno condotta alla disperazione: tracolli economici, lutti devastanti, abbandoni di amori che appaiono non superabili... Ma anche per motivi molto più gravi di questi: ricordo, fra mille tristi notizie della abbastanza recente Guerra in Jugoslavia, un caso che mi colpì di una giovane ventenne la quale, non reggendo all'orrore che vedeva, si impiccò ad un albero.
Ricordo con dolore questo amaro episodio perché a quella ragazza hanno tolta la vita, annichilendone il valore, coloro che compivano atti immondi le cui immagini arrivavano fino a noi tramite i corrispondenti di guerra: ricordo una vecchia con grembiule, fazzoletto ed occhiali, ormai storti di lato sul viso, morta uccisa in mezzo ad una strada, che somigliava in modo impressionante ad una mia nonna; ricordo orribili notizie di stupri di bambine, uccise poi con sventagliate di mitra a forma di croce... Capisco che trovarsi a vivere in mezzo a tanto orrore possa far desiderare di uscirne in ogni modo possibile: anche il suicidio.
Più difficile sono da capire suicidi apparentemente senza ragione, perché privi di qualsivoglia motivazione e che spesso non vengono chiariti neppure dal lasciare, da parte di chi si suicida, un rigo di spiegazione...
I medici parlano giustamente di grave depressione clinica, tanto da superare l'istinto animale di conservazione. Ma a volte codeste depressioni non hanno dato prima segni visibili... Dunque? Torniamo a constatare che la mente umana è di sovente uno scrigno chiuso ed inaccessibile anche alle persone più vicine al suicida.
Cesare Pavese scrisse: "I suicidi sono degli omicidi timidi." E lui se ne intendeva, perché si suicidò tirandosi un colpo in testa in uno squallido alberghetto. Sembra per amore, per essere stato abbandonato da un'americana, sua amante, che se ne era tornata negli Stati Uniti. Aveva 42 anni. Non c'è limite d'età al suicidio: a oltre 40 anni si dovrebbe aver superato il peggio, le insicurezze dell'adolescenza e della prima giovinezza. Invece non è così.
Dunque forse Pavese aveva ragione a definire i suicidi senza forti ragioni degli "omicidi timidi"?
Forse sì, perché di fatto uccidono chi li amava, che non potrà mai farsene una ragione in mancanza di motivazioni scatenanti.
Ricordo due casi che mi sono rimasti impressi nella memoria: uno mi fu raccontato da una portinaia che prestava servizio domestico ad ore in casa mia; parlandomi della famiglia di un vicequestore, dove lavorava la mattina, mi disse che "stavano molto giù" a causa di un brutto accadimento occorso ad una famiglia di loro amici che abitavano all'EUR: una dei loro figli, dodicenne, si era impiccata.
Nessuno sapeva il perché. Famiglia unita, borghese, perbene... Perché mai nel cervello di una bambina di 12 anni si era affacciato un simile orribile pensiero? Ovviamente erano annichiliti.
L'altro caso riguarda un fatto di cronaca nera letto sui giornali molto tempo fa: una ragazza di circa vent'anni si era impiccata in un bagno della Stazione Tiburtina, qui a Roma, tappandosi le narici con dei batuffoli di ovatta per rendere più sicura la morte. Quello che mi colpì fu la motivazione, lasciata in un biglietto ai poveri genitori, che diceva più o meno così: "Mi avete ingannata descrivendomi un mondo che non esiste." Una cosa atroce, sia per la modalità, andarsi ad uccidere in un luogo anonimo e squallido, sia per la cattiveria assurda della spiegazione.
Se tu, essere umano messo al mondo ed allevato con amore, preservato per quanto possibile dalle brutture da buoni genitori, non sai accettare il disvelarsi inevitabile della realtà del mondo con le sue pagine buie... ne dai la colpa a chi ti ama e, in pratica, li uccidi?
Perché, per quanta pietà faccia chi rinuncia volontariamente alla vita, non posso non avercela con chi compie questa scelta avendo tutto: benessere, amore incondizionato, salute... l'unica pietà nasce pensando ad una malattia mentale nascosta, non ancora evidente.. Ma lo strazio del dolore di chi resta e si interroga incolpandosi, pur se totalmente innocente, è quello che fa più male, perché sommamente ingiusto. Sono le vittime del suicida, malato e sommamente egoista.
Poi ci sono gli immancabili stupidi, sempre presenti negli umani dolori, i quali spargono sale sulle ferite delle vittime, vive e dolenti, insinuando che "chissà cosa hanno sbagliato" per giungere a questo.
Nulla, in molti casi, nulla, essendo il segreto chiuso nella mente di chi sbatte la porta contro la vita e contro i propri cari.