Aprì il cofanetto incerta se mettere l'anello o no. L'aveva messo poche volte. Suo marito voleva sempre regalarle gioielli per gli anniversari, ma lei aveva spesso rifiutato: i soldi servivano per tante cose più importanti, e i gioielli non erano fra queste per lei.
Quell'anello così originale, a più spire di oro bianco in cui erano incastonati tanti piccoli rubini e brillanti, l'aveva voluto ben stretto all'anulare per paura di perderlo, visto quanto era costato. Se non che quando le si gonfiavano un poco le dita, come avviene a tutti, l'anulare diventava violaceo perché l'anello era troppo stretto. Se lo passava al mignolo però era un poco largo.. Insomma non era della misura giusta in nessun dito..
"Devo decidermi a riportarlo al gioielliere dove l'abbiamo comperato per farlo allargare e poterlo rimettere all'anulare." Pensò.
Il gioielliere era lontano dalla sua zona, allora aveva provato in due gioiellerie vicine alla sua casa per farlo allargare: entrambe le avevano detto che era un gioiello particolare per la sua fattura e che doveva portarlo dal gioielliere che lo aveva creato.
Indecisa lo prese e lo infilò nel dito mignolo della mano sinistra: "Devo stare attenta perché è un po' largo.." Pensò. Ma decise di metterlo, giacché non aveva senso tenerlo senza metterlo mai.
Suo marito l'avvertì che sua figlia era arrivata: li aspettava in auto fuori dal cancello.
Lei si sbrigò ad andare in bagno per mingere prima di uscire: aveva un'autonomia di un'ora e mezza ormai, data l'età.
I pantaloni che indossava erano del tipo di moda: aderenti alla gamba come una calza ed elastici. Li sbottonò e dopo cercò di sbrigarsi a richiuderli pensando alla figlia che li stava aspettando. Aveva messo su un po' di pancetta e, anche se erano elastici, faticava sempre a chiudere la cerniera lampo, soprattutto ora che, data la giornata fredda, aveva messo una maglia intima più pesante, che spinse più volte in basso giacché tendeva ad arricciarsi verso l'alto, impedendo la già difficile chiusura della lampo.
Uscì prima di suo marito e salutò la amatissima figlia con cui stavano andando ad assistere ad un concerto in una cittadina vicina.
Arrivati, faticarono un poco a trovare il Teatro intitolato all'attore scomparso. Trovarono un parcheggio distante, dal luogo dove si sarebbe svolto il concerto, non più di dieci minuti a piedi. Arrancarono, camminando sui sampietrini, con un vento che li sferzava. La giornata non era delle migliori.
Giunti sul posto furono accolti con gentilezza da un signore addetto al desk. Lei richiuse l'ombrello, con cui si era riparata da una pioggerellina spruzzata fastidiosamente dal vento, e lo pose nell'affollato portaombrelli.
Salirono in galleria e salutarono la figlia che, per il suo ruolo, doveva salire sul palco per il saluto ai musicisti. Li avrebbe raggiunti dopo.
Con la mano scostò una doppia pesante tenda che immetteva alla balconata. Era buio e trovarono comunque di che sedersi.
La musica iniziò e lei ascoltava intenta.
Una tizia arrivò e si pose nella fila davanti a loro, in piedi, chinata appena verso una signora che vi era già seduta. Parlottò, poi ancora e ancora, sempre coprendo la visuale a lei e a suo marito, nonché disturbando l'ascolto. Suo marito si girò verso di lei e la guardò significativamente. Lei contraccambiò lo sguardo condividendone la riprovazione. Alla fine la donna si tolse da quella posizione e si spostò, sempre in piedi, di lato, dando la faccia verso di loro. Lei allora disse: "Siamo venuti qui per questo: per guardare lei."
Quella non capì e chiese: "Come?"
E lei, fermamente e duramente, ripeté la frase ironica.
La donna capì e disse qualcosa per giustificarsi, ma lei non l'ascoltò, essendo tornata a guardare il palco e ad ascoltare la musica. Suo marito, invece, aveva dato ascolto alle poche frasi della donna e, quando quella si fu allontanata salendo in su nella galleria, si girò verso di lei già nemico: "Potresti tenerti no?!" Le disse rimproverandola. Lei non gli rispose, continuando a guardare il palco e cercando di seguire la musica, ma gli fece un deciso cenno negativo con l'indice della mano sinistra. Come per dire che non era d'accordo. Lui borbottò qualcos'altro accennando al fatto che non doveva farlo, giacché si era lì per la figlia che aveva un certo ruolo.
Lei non rispose, tranquilla e sicura del fatto suo. Conosceva suo marito, non era come lei, aveva sempre timore di qualcosa, anche quando si era nel giusto, e spesso non capiva le persone e le situazioni.
Lei capiva che egli temeva che quella donna fosse in qualche modo legata al mondo della figlia e che, dunque, il richiamo fattole da sua moglie potesse in qualche modo esporla a chissà quali imbarazzi!
Ma lei era certa che quella non aveva proprio nulla che la legasse alla loro figliola e, anche qualora fosse stato, il suo comportamento la relegava in un ruolo che nulla poteva avere da spartire con quello della loro figliola. Il Teatro registrava la presenza di persone diverse, molte legate alla cittadina dove il concerto si svolgeva, che nulla avevano a che fare con l'ambiente di lavoro della loro figliola.
Ecco che, comunque, si era creata la solita ostilità, mista a riprovazione, di suo marito nei suoi confronti. Ma lei si sentiva nel giusto e non condivideva il suo modo di essere: egli si risentiva di sovente della villania della gente, ma, o non reagiva, o se lo faceva si arrabbiava offrendo il fianco a reazioni scomposte del villano di turno. Lei era fredda e ragionata, invece, usando l'arma dell'ironia con poche parole taglienti.
Seguendo la musica cercò di leggere il programma che aveva riposto in borsa. Al buio lo trasse fuori. Non si riusciva a leggere nulla al riverbero della luce del palco e allora lo rimise nella borsa. Ne trasse il fazzoletto e lo passò sul naso che sentiva umido. Ripose il fazzoletto nella borsa e.. mentre traeva la mano fuori da essa sentì di non avere più l'anello al mignolo della mano sinistra.
Sentì un'onda di calore salirle alla testa: aveva perso il preziosissimo anello!
Cercò di razionalizzare e, con calma apparente, cercò con la mano, a tatto, dentro la borsa, sperando che le si fosse sfilato nel prendere e rimettere le cose in essa. Ma non lo trovò. Con il cuore stretto cominciò a togliere ad uno ad uno gli oggetti dalla borsa tenendoli in una mano, mentre l'altra frugava nello spazio vuoto. Ma non trovò nulla. Sentendo scemare quella speranza a cui si era aggrappata, azzardò a far luce all'interno della borsa con il piccolo schermo del suo antiquato cellulare: ma, niente, l'anello non c'era!
Guardò suo marito accanto a sé: era ancora imbronciato e non si era accorto della sua ambascia. Con molta cautela e stando attenta a non disturbare nessuno, visto che poco prima aveva censurato l'agire della donna in piedi, si chinò sotto il sedile illuminando il pavimento con la fioca luce del display del suo cellulare: niente, l'anello non c'era. Poco prima aveva passato più volte le mani ai lati della poltrona imbottita e dietro cercando a tatto l'anello. Ormai era nella desolante situazione di chi si rende conto di aver fatto un grosso danno per una leggerezza; non doveva metterlo, non in quella circostanza, in un luogo pubblico dove, perdendolo, non si sarebbe più trovato, visto che nell'unico dito in cui entrava scivolava via facilmente..
Si girò verso suo marito che ora si era accorto che qualcosa non andava dal suo chinarsi a cercare qualcosa.
"Che c'è?" Sussurrò l'uomo.
Lei rispose a bassissima voce con desolata autoaccusa: "Ho perso l'anello. Non l'ho più al dito. Esco a cercarlo." Concluse decisa. Il marito sgranò gli occhi ma non disse nulla. Entrambi sapevano che era un gioiello di grande valore. Lei si alzò senza disturbare, con apparente calma e si avviò a quella ricerca che in cuor suo sapeva disperata, ma non poteva lasciare nulla di intentato.
Scostò la pesanti tende e guardò in terra: che si fosse sfilato mentre le scostava e fosse caduto lì? Ma subito dopo pensò desolata che vi erano passati in molti, avanti e indietro, e qualcuno lo avrebbe già raccolto e fatto sparire.. Scese triste e rassegnata le scale. Nell'atrio prese l'ombrello, lo aprì: "Fosse caduto qui dentro quando l'ho chiuso.." Sperò, ma non era neppure lì. Guardò il signore del desk che le aveva porto il programma: forse le era caduto quando aveva allungato la mano per prenderlo? Dubitò di lui. Pensò che aveva l'aria di far finta di niente, non le chiedeva nulla, perché mai fosse lì invece che dentro mentre si svolgeva il concerto.. Forse aveva già in tasca il suo anello e lei non poteva fare nulla. Inutile chiedergli se aveva trovato qualcosa in terra. Se fosse in buonafede e avesse trovato un anello, vedendola lì a guardarsi intorno e per terra, glielo avrebbe detto: "Signora ha perso qualcosa?" Invece nemmeno la guardava.. Ebbe quasi la certezza che quello aveva proprio l'aria di nascondere qualcosa..
"Ora gli dico che ho perso un anello di grande valore e che farò denuncia di smarrimento ai Carabinieri o al Commissariato, così se l'ha raccolto lui avrà timore e lo tirerà fuori." Ma non disse nulla ed uscì per fare il percorso a ritroso fino all'automobile. Camminava guardando in terra, anche se sapeva che era pressoché impossibile ritrovarlo se le si fosse sfilato camminando. Chiunque passando poteva averlo raccolto.
Il vento aveva rafforzato e le sferzava il viso, ma lei camminava ferma nel suo tentativo, che sentiva inutile, ma che andava fatto.
Intanto cercava di richiamare alla mente un momento in cui l'aveva visto sulla mano durante quella sera, ma non le veniva nulla, nessuna immagine.
Arrivata all'auto vi sbirciò dentro. Non c'era molta luce nel parcheggio, ma sembrava proprio che sul sedile dove era stata non c'era nulla. Avrebbe visto meglio dopo, quando vi sarebbe ritornata con sua figlia, che aveva le chiavi, per far ritorno a casa.
Piano piano, sentendosi in colpa per la perdita di un oggetto di valore, si riavviò verso il Teatro.
Il vento era sempre fortissimo e, alla svoltata sulla stradina che la riportava al Teatro, vide dei cocci in terra che all'andata non c'erano. Pensò che fosse caduto un vaso da qualche finestra, forse fissato male al davanzale e il forte vento l'aveva spinto di sotto.
"Poteva cadermi in testa se fosse venuto giù nel momento che passavo di qui.." Pensò. "Sono stata fortunata.. Morire per cercare un anello perduto, sarebbe stato il colmo della stupidità!"
Ora era quasi arrivata e vide sua figlia e suo marito che tornavano lentamente via dal Teatro. Il concerto era finito. Non se ne rammaricò: quella giornata era andata così per una sua stupida leggerezza.
"Non l'hai trovato?" Chiese sua figlia sapendo la risposta. Il padre doveva averle detto tutto. Mentre faceva la sua disperata ed inutile ricerca, le erano arrivati due sms della figliola, che le diceva di aver finito il suo impegno con i professori di musica e che sarebbe salita dalla platea in galleria per sedersi accanto a loro. Lei le aveva risposto che c'era posto accanto al padre senza aggiungere altro. Camminando le era ancora più difficile premere i tasti così piccoli di quel vecchio cellulare per inviare sms.
Il marito disse: "Ho preso l'ombrello. Era questo no?"
"Si." Disse lei.
"Hai guardato dentro?" Chiese lui.
"Sì, non c'è."
"Io non l'ho aperto perché l'ho trovato chiuso così." Disse l'uomo. L'ombrello infatti era totalmente arrotolato e chiuso con la sua fascetta adesiva.
"Ma io non l'ho chiuso, - disse lei - l'ho lasciato aperto come stava perché era bagnato. Non l'hai chiuso tu così?"
"Te l'ho già detto, - fece lui irritato - l'ho trovato già chiuso così!"
Lei glielo tolse dalle mani e lo aprì, era identico al suo ma con delle strisce scolorite che le confermarono che non era il suo.
"Non è il mio, lo riporto dentro, tanto debbo andare in bagno prima di ritornare."
"Era uguale al tuo, io non potevo sapere che tu l'avevi lasciato non arrotolato.." Continuava a protestare lui come se questo fosse importante, mentre lentamente la seguiva ritornando sui suoi passi insieme con la figlia silenziosa.
Fuori dal Teatro, davanti alla porta, erano delle persone chiacchierando, una era appoggiata di schiena ad essa, ed il marito tirò la maniglia per far entrare la moglie senza accorgersi di quella, che si sentì spinta dalla porta tirata e si scostò senza dire nulla, suo marito non si scusò distratto e lei riconobbe la donna che aveva coperto loro la visuale durante il concerto e disse un rapido: "Scusi." Per conto di suo marito.
Entrò e la figlia e il marito l'aspettarono fuori. L'uomo del desk era cambiato. Il nuovo la salutò e lei, scambiando l'ombrello e riprendendosi il suo, disse: "Abbiamo rubato un ombrello." Lui sorrise. Allora lei prese coraggio e gli disse del suo anello e che avrebbe fatto denuncia di smarrimento. L'uomo si dispiacque per lei ma, quando lei gli chiese quando avrebbero fatto le pulizie e se poteva avvertire il personale dell'accaduto, l'uomo rispose che egli non era un dipendente, ma solo un parente di uno dei musicisti che si era offerto di dare il cambio al desk per i programmi, ora che l'incaricato era andato via.
"Mi spiace, - disse - ma io con il Teatro non ho alcun contatto, non so nulla dell'organizzazione."
Lei si scusò e lo ringraziò per la sua gentilezza, avviandosi a questo punto verso il bagno. In piena luce riguardò nella borsa poggiandola su un ripiano nell'antibagno e svuotandola del tutto. Poi entrò per mingere. Il bagno era piccolo e luminosissimo. Slacciò di nuovo i calzoni che la fasciavano, di nuovo spinse la maglia intima in basso per bene, affinché la lampo si richiudesse senza troppa fatica.
Uscì dal bagno ma, prima di andare via definitivamente da quel posto in cui si era accorta di non avere più al dito il suo anello, fece un tentativo estremo: rientrò nella sala in cui si stava svolgendo la seconda parte del concerto e che era sempre al buio. China per non disturbare alzò il sedile dove era stata e riguardò con il cellulare, anche se suo marito, poco prima, le aveva detto di aver fatto quel tentativo con il display del suo, dopo che lei era andata via.
Rientrò la signora che le era stata seduta accanto, con una bambina, essendo uscita per una necessità. Lei si scusò e la fece passare dicendole che aveva perso un anello di valore. La signora si mostrò dispiaciuta e le chiese se poteva aiutarla. Lei la ringraziò ma le disse che non si poteva fare nulla di più. Passò poi alla fila davanti, sempre china per non incorrere in quello per cui si era lamentata; passò rapidamente il cellulare sotto il sedile direttamente davanti al suo, e la signora, con cui quella da lei rimproverata si era intrattenuta a parlare mentre era seduta, la guardava senza partecipazione. Lei disse: "Scusi, ma ho perso un anello di valore." Ma quella la guardò senza commentare.
Tornò fuori dove l'aspettavano i suoi cari.
Si avviarono. Sua figlia e suo marito sentivano la sua mortificazione e provavano a consolarla: "Se le cose si mettono si possono pure perdere. Altrimenti le lasci al chiuso come faccio io che non le metto mai, anche perché non amo i gioielli."
"Questa è la mia influenza". Pensò la donna senza dirlo.
"Ma allora uno che ce li ha a fare?" Disse invece.
"E allora devi accettare che si possa perderli!" Disse la figlia.
"Te lo ricompero." Disse generosamente suo marito, come sempre.
"Ma io non voglio spendere soldi, - fece lei - e mi dispiace che l'ho perso perché me lo avevi regalato tu, ma anche perché costava tanto."
Arrivati all'angolo mostrò loro i cocci, dicendo che era stata fortunata ad averli scampati.
"Ma non è un vaso, - disse il marito - questa è una tegola. Peggio!"
"Che vento!" Disse la figlia guardando in alto.
"Piovono tegole, - disse la madre - infatti non c'è terra, come accade quando è un vaso."
Intanto erano arrivati all'auto. La figlia si attivò subito con una torcia, ma lei aveva già passato la mano sul sedile e aveva visto che il prezioso gioiello non c'era.
Mentre guidava sulla strada del ritorno la figlia raccontava di quando pensava di aver perso un orologio in un posto ed invece l'aveva ritrovato dopo un anno dentro uno scarpone da sci dei figli.
"A te sembra di averlo perso in Teatro, ma quello è solo il momento in cui te ne sei accorta, ma chissà dove l'hai perso. Io avevo riposto gli scarponi dei miei figli mettendoci dentro della carta per mantenerli asciutti, prima di riporli in soffitta, e l'orologio si era sfilato mentre facevo questa operazione. Invece io credevo di averlo perso altrove, quando ho preso coscienza di non averlo più al polso."
"Ricordi, - disse il marito - il mio orologio? Credevo di averlo poggiato sulle tegole del muretto dopo essermi lavate le mani alla fontanella, ed invece l'ho ritrovato dopo tanto tempo dentro il portabagagli sotto la ruota di scorta, dove mi era caduto quando, appunto, avevo riposto la ruota riparata."
Lei pensava e pensava. "Prima di uscire sono andata in bagno a casa e siccome ho i pantaloni molto aderenti ho spinto con la mano sinistra la maglia che si arrotolava. Potrebbe essersi sfilato quando l'ho ritirata su.."
"Guarderai in bagno a casa ora che torniamo. - Disse il marito.
"Oppure potresti averlo dentro i pantaloni. - Disse la figlia.
"Lo sentiresti, - rise il marito - senti niente?"
"Ci ho pensato mentre voi due parlavate e ho tastato bene tutta la parte superiore, fino all'attaccatura delle cosce.. Sono così aderenti che lo sentirei. Fortuna che sulle gambe sono come una seconda pelle, altrimenti in questa ipotesi sarebbe scivolato via lungo le gambe."
"Mamma, non volevo dirtelo.. ma tu sei andata in bagno in Teatro e se fosse così.. quando ti sei tirata giù i pantaloni potrebbe esserti caduto.."
"Ho pensato anche a questo.. ma il bagno era piccolo e molto illuminato, avrei sentito il rumore metallico in quel piccolo spazio.. e mi pare che ho guardato quando ho tirato lo sciacquone e in terra non c'era niente."
Però le restava il dubbio a questo punto. Che beffa se lo avesse avuto nei pantaloni e le fosse caduto lì!
A questo punto fu preso dai dubbi anche suo marito: "Ma sei andata in bagno anche prima, quando sei uscita?" Chiese preoccupato.
"No, solo alla fine, prima di andare via."
L'ultimo controllo volle farlo la figlia con torcia e fari dell'auto puntati davanti al cancello di casa, dove lei era salita in macchina. Infine lei la baciò ringraziandola e scusandosi con dolcezza, dicendole di andare pure a casa: pazienza. Suo marito guardò per terra percorrendo il vialetto di casa e lei fece altrettanto senza speranza. Andò dritta in bagno e vide subito che sul pavimento non c'era nulla.
Rassegnata e avvilita dalla stupidaggine che aveva commesso, iniziò a spogliarsi: sfilò i pantaloni che alla caviglia erano aderentissimi. Per toglierli asportò anche la calza a gambaletto e fu in quel momento che qualcosa cadde facendo un rumore metallico. Guardò in giro nel bagno, non certo grande, e non vide nulla sul pavimento. Per un attimo aveva sperato l'insperabile! Poi pensò che forse, chinandosi per sfilare il pantalone insieme alla calza, il ciondolo della lunga collana che aveva indosso avesse sbattuto contro il bordo del bidet..
"Ma no! Il rumore è stato troppo forte!"
Si chinò a guardare sotto l'unico punto coperto del pavimento dal mobiletto sottolavello: e lo vide!
Eccolo là l'anello immaginato perduto!
Era stato tutto il tempo dentro i suoi pantaloni e, a poco a poco, con tutto quello che aveva fatto, camminare avanti e indietro dal Teatro all'auto e viceversa, girare, andare in bagno abbassando di nuovo i pantaloni, per sua fortuna quello era sceso nella gamba e da lì ancora più giù, quasi alla caviglia dove il pantalone era fasciante quasi come una calza, ed era fuoriuscito solo quando lei aveva tirato via pantalone e calza...
Era stato sempre con lei ed era stata fortunata, fortunatissima a non averlo perduto.
Chiamò suo marito, poi al telefono sua figlia, per dare la buona notizia.
Ora non l'avrebbe più messo, finché non fosse tornato dal gioielliere per avere la larghezza giusta per l'anulare!
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