di Mary Liguori e Marco Di Caterino
Napoli, uccise Fortuna dopo gli abusi: ecco chi è il mostro del Parco Verde
Omertà, indifferenza, complicità: è la cornice dentro la quale si sono mossi i carabinieri, insieme alle procure di Napoli Nord e dei Minori, per dare un nome all'assassino di Fortuna «Chicca» Loffredo, violentata e gettata dall'ottavo piano di un palazzo del Parco Verde di Caivano il 24 giugno del 2014. Raimondo Caputo, detto Titò, era già in carcere per avere abusato di una delle figlie della compagna. Da ieri è accusato anche della morte di Chicca: ha tentato di violentarla, per l'ennesima volta, ma la bimba si è ribellata, allora l'ha presa in braccio e l'ha gettata di sotto. Lo scrive il gip Alessandro Buccino Grimaldi nelle 122 pagine di ordinanza di custodia cautelare che ha colpito sia Caputo che la sua compagna, già ai domiciliari a Caivano dove ieri, quando è giunta la notizia dell'arresto bis inerente la morte di Fortuna, è esplosa la rabbia tardiva di ignoti indignati, attraverso una molotov lanciata contro quella casa dove vive la donna che sapeva e ha taciuto, sia gli abusi sulle figlie che quelli su Fortuna. Sapeva anche della tragica fine della piccola per mano del compagno, una morte simile a quella del suo primogenito, Antonio Giglio, precipitato in circostanze mai chiarite dallo stesso stabile del Parco Verde. Marianna Fabozzi non solo «non ha protetto la prole, ma ha cercato di fare in modo che il compagno la facesse franca», scrive il gip. «Un contesto eufemisticamente disastrato» definisce il giudice quello del quale la Fabozzi è complice, al punto da dire a una delle sue figlie, l'amica del cuore di Fortuna, cosa riferire e cosa tacere ai carabinieri.
Rita Coltellese *** Scrivere: Federica Sciarelli: patetici errori di valutazione
Il post di cui riporto il link qui sopra, per chi volesse leggerlo o rileggerlo, l'ho scritto il 5 dicembre 2014 e già lì ponevo l'accento sul fatto che NESSUN GIORNALISTA, NESSUN CRONISTA poneva alla madre della sfortunatissima Fortuna la domanda "di come mai non si fosse mai accorta che sua figlia venisse abusata"! Tutti a fare domande come se la donna non fosse responsabile della sua creatura, ma solo una innocente vittima. Sono sempre più sconcertata dalla paura di far emergere la realtà di questi giornalisti che, giustamente, qualche lettore di giornali nei commenti definisce in modo dispregiativo "giornalai".
La realtà quotidiana di qualsiasi madre è l'igiene dei propri bambini: oppure Fortuna la sfortunatissima si lavava il sederino e il resto da sola?
Questa donna in tutte le interviste si atteggia a vittima, ignara di tutto finché sua figlia non è stata gettata di sotto.
Per chi vive nella realtà e non nel mondo da "fiction" di una informazione drogata, per niente nitida, logica e chiara, questa madre "vittima" come minimo trascurava totalmente sua figlia, non occupandosi affatto della sua igiene intima. Non si può pensare altro, altrimenti si deve pensare di peggio.
Ma nessuno glielo chiede, nessuno mette l'accento su un aspetto ovvio nella sua altrettanto ovvietà quotidiana. Ne scaturisce una rappresentazione della realtà elusiva, falsa perché monca di quanto tutti conoscono nella vita reale, dunque non è informazione, è sensazionalismo e basta: il pedofilo, l'abuso, tutto circoscritto lì, senza il contorno.
E quando il contorno c'è si manda l'intervista alla madre, con la sempiterna patetica foto della vittima in mano, ignorando, lei per prima e il cronista di turno idem, la sua assenza di attenzione almeno visiva al corpo della sua piccola, mentre dice che l'altra madre, quella del bimbo ucciso l'anno prima, non si accorgeva di nulla, non sapeva guardare il suo bambino perché "non ci sta con la testa, soffre di nervi, è depressa". E mentre l'ascolti ti chiedi perché chi regge il microfono non le chiede: " E tu? Tu perché non ti sei accorta di niente?"
La rappresentazione monca della realtà è completa, come il sentimento di straniazione che lascia in chi vive nella realtà con tutti e due i piedi e, soprattutto, con la testa!
Rita Coltellese *** Scrivere: Federica Sciarelli: patetici errori di valutazione
Il post di cui riporto il link qui sopra, per chi volesse leggerlo o rileggerlo, l'ho scritto il 5 dicembre 2014 e già lì ponevo l'accento sul fatto che NESSUN GIORNALISTA, NESSUN CRONISTA poneva alla madre della sfortunatissima Fortuna la domanda "di come mai non si fosse mai accorta che sua figlia venisse abusata"! Tutti a fare domande come se la donna non fosse responsabile della sua creatura, ma solo una innocente vittima. Sono sempre più sconcertata dalla paura di far emergere la realtà di questi giornalisti che, giustamente, qualche lettore di giornali nei commenti definisce in modo dispregiativo "giornalai".
La realtà quotidiana di qualsiasi madre è l'igiene dei propri bambini: oppure Fortuna la sfortunatissima si lavava il sederino e il resto da sola?
Questa donna in tutte le interviste si atteggia a vittima, ignara di tutto finché sua figlia non è stata gettata di sotto.
Per chi vive nella realtà e non nel mondo da "fiction" di una informazione drogata, per niente nitida, logica e chiara, questa madre "vittima" come minimo trascurava totalmente sua figlia, non occupandosi affatto della sua igiene intima. Non si può pensare altro, altrimenti si deve pensare di peggio.
Ma nessuno glielo chiede, nessuno mette l'accento su un aspetto ovvio nella sua altrettanto ovvietà quotidiana. Ne scaturisce una rappresentazione della realtà elusiva, falsa perché monca di quanto tutti conoscono nella vita reale, dunque non è informazione, è sensazionalismo e basta: il pedofilo, l'abuso, tutto circoscritto lì, senza il contorno.
E quando il contorno c'è si manda l'intervista alla madre, con la sempiterna patetica foto della vittima in mano, ignorando, lei per prima e il cronista di turno idem, la sua assenza di attenzione almeno visiva al corpo della sua piccola, mentre dice che l'altra madre, quella del bimbo ucciso l'anno prima, non si accorgeva di nulla, non sapeva guardare il suo bambino perché "non ci sta con la testa, soffre di nervi, è depressa". E mentre l'ascolti ti chiedi perché chi regge il microfono non le chiede: " E tu? Tu perché non ti sei accorta di niente?"
La rappresentazione monca della realtà è completa, come il sentimento di straniazione che lascia in chi vive nella realtà con tutti e due i piedi e, soprattutto, con la testa!
In tutte le pose....
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