Cugini come fratelli
Quando era molto giovane pensava solo a
voler bene, d'istinto, senza fisime di analisi sui rapporti parentali.
Sara era figlia unica e forse per
questo voleva molto bene ai suoi numerosi cugini, senza distinzione se fossero
da parte di suo padre o di sua madre.
Certo avvertì quasi subito che non
dipendeva tutto da lei, ma che l'andare d'accordo più con uno, piuttosto che
con un altro cugino, molto dipendeva anche dal comportamento del cugino...
Così, in particolare, sentiva un affetto fraterno per una cuginetta poco più
piccola di lei, forse per una affinità caratteriale. Mentre trovava sciocca e
smorfiosa Serenella, una cuginetta che il fanatismo materno aveva trasformato
in una vanitosa stupidina.
I cugini di parte materna erano freddini
e distanti, un po' imbalsamati e le riusciva difficile sentirli vicini come
surrogati dei fratelli che le mancavano. Tranne due: Domenico, detto Mimmo,
figlio di un fratello di sua madre, ed Elena, figlia della sorella minore.
Domenico era un ingenuone, irruento ed
un poco arruffone, ma Sara lo gradiva proprio per questo, perché lo avvertiva
spontaneo e sincero. Anche se poi a volte la faceva arrabbiare, come quella
volta che, gesticolando in modo maldestro, le macchiò la camicetta di more.
"Non sono stato io!" Cercò di giustificarsi Mimmo animosamente. Ma
era negare l'evidenza... Sara non gliene volle più di tanto. Gli voleva bene e
lo sentiva buono verso di lei, con buoni sentimenti.
Nonostante l'età giovanissima iniziava
a percepire che i rapporti umani
funzionano nel concetto di reciprocità: se non c'è interesse affettivo da ambo
le parti sono rapporti vuoti di senso, che diventano difficili, farraginosi,
imposti dal "legame di sangue", che in realtà è solo una penosa
costrizione se non c'è amore reciproco.
Ci
sono vari gradi di amore e di affetto, ma deve esserci un sentimento da tutte e
due le parti, altrimenti meglio ignorarsi andando contro ogni inutile
ipocrisia.
Mimmo o Mimmino, come lo chiamavano in
famiglia, abitava nel retrobottega del negozio di "Vini e oli" che
suo padre e sua madre gestivano. Quando Sara andava in visita con i suoi
genitori zia Licia e zio Alceste erano sempre un po' imbarazzati. Alceste più
di sua moglie, che si mostrava cordiale, mentre Mimmino era timido e felice
della visita della cuginetta.
Sara cominciava a comprendere il loro
imbarazzo: erano più poveri della famiglia di Sara, la cui madre, sorella di
Alceste, non doveva lavorare come Licia, avendo un marito impiegato al
Ministero che aveva acquistato un appartamento di proprietà in un bel quartiere
borghese della città.
Alceste era sempre un poco freddo, come
quasi tutti i fratelli di sua madre, che ne soffriva perché ella amava i suoi
numerosi fratelli e sorelle.
Licia, pur essendo una zia acquisita,
era più aperta e simpatica con loro. Né Sara aveva mai sentito in lei l'invidia
e la malcelata acredine che sentiva in un'altra zia acquisita: Filomena, la
madre vanitosa di Serenella.
Sara era troppo giovane per essere già
giunta alla conclusione che non si deve
cercare di far finta di nulla di fronte ai sentimenti meschini, né cercare di
accattivarsi l'affetto o le simpatie del parente mostrandosi sorridenti e
accoglienti nonostante la palese ostilità, che di solito si manifesta con
azioni inequivocabili, come frasi malevole volte a colpire, o con atteggiamenti
palesemente falsi, e tanto altro di tenore sgradevole.
Così si mostrava sorridente ed
affettuosa anche con Filomena, cercando di ignorare la sua ostilità.
Licia, poverina, non era d'animo
malvagio e Mimmino aveva preso di lei.
Gli anni passarono e quando Sara si
sposò Mimmino, fattosi un bel giovanotto, venne al suo matrimonio.
Licia ed Alceste le fecero un regalo
dignitoso e non vennero anch'essi alla cerimonia perché non avevano i mezzi per
comperarsi un vestito adeguato. Spesero per vestire bene Domenico e per il
regalo.
Sara comprese, conoscendo la loro
situazione di dignitosa povertà: non avevano una casa e per un periodo avevano
abitato in una stanza in subaffitto presso un appartamento i cui proprietari
subaffittavano anche ad altre famiglie, nello stesso quartiere dove suo padre
aveva invece acquistato un appartamento, mentre nei periodi peggiori abitavano
nel retrobottega del negozio che gestivano in periferia.
Ma anche la zia acquisita Filomena non
venne con lo zio Amedeo, inviando in rappresentanza Serenella.
Seduta al tavolo della sala da pranzo
della ampia casa in affitto dove abitava, Filomena le aveva detto che
comperarsi un vestito per l'occasione era troppo costoso e dunque non sarebbero
venuti con suo marito, fratello del padre di Sara.
La giovane capì fino ad un certo punto,
provando disagio di fronte all'aria un poco arcigna con cui la zia le comunicò
la notizia. Lei le aveva portato l'invito di persona, prendendo gli autobus per
raggiungere il quartiere un poco periferico dove abitavano questi parenti.
Nessun sorriso l'accolse, nessun
augurio di felicità. Solo al congedo le dette un consiglio non richiesto che
lei ricordò, come tutte le cose che ci
colpiscono perché estranee ai nostri pensieri:
"Se
tuo marito ti darà uno schiaffo, tientelo, e non andare subito a piangere da
tua madre."
Uscì da quella casa alleggerita della
bella bomboniera che aveva recato e con un senso di disagio che sfiorava la
tristezza e un sottile sentimento di delusione.
Mentre tornava verso la fermata
dell'autobus le tornò in mente quando, quindicenne, aveva fatto quello stesso
percorso per andare a trovare i suoi cuginetti: Serenella e suo fratello
Pierino, più piccolo. Anche quella volta suo zio non c'era, era al lavoro.
Nonostante l'apparente cordialità di Filomena, in quella circostanza, i cugini
la meravigliarono per il loro legato imbarazzo. Cosa mai sentivano su di loro,
su suo padre, sua madre e lei, per essere così bloccati, affatto spontanei? Sua
zia poi la mise molto a disagio, perché volle a tutti i costi chiamare suo zio
al lavoro per farlo tornare a casa, visto che c'era lei in visita, certo non
preannunciata, dato che per Sara era stato un moto spontaneo di affetto venire
a trovarli.
"Ma
no zia.. -
provò a fermarla mentre afferrava il telefono - Sono venuta per stare con i cugini, non disturbare lo zio."
Ma lei, decisa, fece tornare suo marito
dalla trattoria che gestiva nel quartiere.
Il disagio di Sara si era trasformato
in penosa delusione, disse a suo zio che le dispiaceva di averlo disturbato,
che lei era lì solo per stare con i cuginetti...
Fu evidente che non c'era nessun
affetto, ma solo formalismo: era come se Filomena avesse voluto ribadire che
quella visita non la riguardava, né riguardava i suoi figli: venisse suo marito
che aveva il "legame di sangue" con la figlia del fratello...
Una visita affettuosa fra cugini era
diventata un'altra cosa: era nulla.
Ma c'era stato altro in precedenza.
Una volta erano venuti in visita a casa
di Sara tutti loro. In quel caso era suo padre al lavoro, ma la madre di Sara
non lo chiamò per farlo tornare a casa, anche se pure quella era stata una
visita improvvisa. Nacque una piccola disputa fra le due bambine, Sara e
Serenella, per dei giocattoli... Filomena e Amedeo si alzarono e se ne andarono
portando via la figlia, Pierino non era ancora nato, umiliando la madre di Sara
che desolata e meravigliata li pregava di restare.
Due bambine che litigano non
giustificano una simile villana reazione. La madre di Sara era una donna
gentile, umile nei modi con tutti, anche con chi non meritava tanta
arrendevolezza, come la coppia Filomena-Amedeo.
L'ostilità di Filomena verso suo padre
si manifestava con critiche sul suo lavoro che, secondo lei, era "da mezze
maniche". Quell'espressione veniva detta con un risolino di disprezzo che
Sara non comprendeva, data l'origine di quella zia acquisita: una contadina che
aveva studiato fino alla quinta elementare e nulla più. Come poteva dunque
avere i numeri per disprezzare suo padre che era impiegato in un ministero?
Cominciò ad affacciarsi alla sua giovane mente inesperta che forse la donna
parlava per invidia meschina, giacché non si limitava a questo, ma arrivava a
dire che il padre di Sara "si era comperata casa con i soldi dell'eredità
del nonno" che erano anche di suo marito.
Il padre di Sara soffriva per come si
comportava Amedeo, giacché l'ostilità della moglie lui la condivideva. Questa
poi dell'eredità era una vera e propria calunnia che lo indignava
profondamente. Parlava poco di questi problemi familiari con sua figlia,
limitandosi a commentare solo sulla calunnia. Ma il resto, la verità, Sara la
seppe da un altro fratello di suo padre: Quirino.
"Quando morì nostro padre tuo
padre era ricoverato presso l'ospedale militare. Non gli facemmo sapere nulla,
perché era ferito, stava male... Ma quando tornò, dimesso e in convalescenza,
noi eravamo tutti in campagna e lui lo seppe da una paesana.. La prima che
incontrò.. Quanto ci rimase male! Ci soffrì tanto. Papà, comunque, è morto con
i debiti. Non che si fosse mangiati i soldi, ma la guerra ci aveva impoveriti
ancora di più. Prima tuo padre lavorava e ci mandava qualcosa... Poi bisognava
dare parte del grano all'ammasso, allo Stato, per l'esercito. Papà dovette
indebitarsi per comperare il seme, altrimenti niente raccolto per l'anno dopo.
Tuo padre, anche se ormai giravano i tedeschi, dopo l'armistizio del 1943,
anche se era ancora debole per la convalescenza, era intelligente, capace, si
mise a commerciare con il bestiame e, alla fine vera della guerra, ripartì per
la città a riprendere il suo lavoro avendo pagato tutti i debiti che aveva
lasciato papà e ci lasciò anche un bel patrimonio zootecnico." E le elencò
tutti gli animali che il padre di Sara aveva ricomperato per la sua famiglia di
origine.
Ora le appariva ancora più meschino e
miserabile l'atteggiamento di suo zio Amedeo e di sua moglie. Cosa era quello
che dimostravano: mancanza assoluta di amore e ingratitudine. Capiva quanto suo
padre dovesse soffrirci.
Lei comunque continuò a cercare una
normalità di rapporti che era difficile ottenere senza una reciprocità.
In
questi casi i legami parentali diventano delle penose costrizioni in cui c'è
chi tenta di fingere di niente e chi continua ad ogni occasione a dimostrare il
proprio odio, appena coperto dalle convenzioni.
Con il passare degli anni l'esperienza
le aprì ancora di più squarci sulla verità dei rapporti che lei considerava
solo affettivi.
Le tornavano ricordi lontani: suo padre, investito di un'autorità che lui solo
credeva di avere, in virtù del fatto che si era dato tanto da fare per la
famiglia, accondiscese
a quanto chiestogli da sua madre che, terribilmente contrariata dal fatto che lo zio Amedeo
volesse sposare Filomena, gli aveva chiesto di fare le
veci del padre morto e di ricordargli quanto fra lei e quella giovane e sua
madre c'era stato.
Sara ricordava la scena: dormiva, infatti, fra le braccia di sua madre che si agitava
cercando di intervenire nella conversazione. Ma
il marito la metteva a tacere, trattandola, come sempre, senza alcun rispetto:
"Stai zitta tu!". La madre di lui, sua nonna, era presente e vilmente
muta.
La faccia di Amedeo, mentre suo padre parlava con sicurezza, era
piena di odio, ma egli sembrava non
avvedersene, tutto compreso nel suo ruolo. Persino la sua bambina, pur mezzo
addormentata, pensò: "Ma papà non si accorge che quel che dice non fa
piacere allo zio? Se la sposerà odierà chi gliene ha parlato male. E poi, nonna
perché non parla? Lei non si vuole compromettere!" Così pensava la bambina,
infastidita perché le avevano turbato il sonno.
Quei ricordi di pensieri che si erano affacciati nella sua mente
di bambina molto piccola la stupivano per la loro intelligenza e precocità di
giudizio. Per questo Sara, una volta diventata madre, trattò i suoi bambini con
il rispetto e la considerazione che si deve agli adulti, sia pur tenendo conto
della loro necessaria inesperienza, giacché sapeva che già da piccolissimi si
può essere acuti e vedere e capire a volte più degli adulti.
Il risultato di quel tentativo di dissuasione fu proprio quello
che la piccola Sara aveva prospettato dentro di sé.
Filomena, dietro un sorriso ipocrita, malcelava una totale
ostilità verso la madre di suo marito e, verso il fratello che si era permesso
di agire per conto della madre, la stessa cosa. Il suo animo meschino non
risparmiava neppure la nipote di suo marito, assolutamente estranea a queste
azioni.
Ma perché suo padre e sua nonna non volevano che lo zio sposasse
Filomena?
Sara aveva sempre pensato che fosse per un orribile delitto che
era avvenuto nella famiglia di Filomena, cosa che costituiva vergogna infamante
per tutto il parentado data la mentalità del luogo e del tempo.
Una sorella della madre di Filomena aveva ucciso con una
coltellata un fratello. La ragione pare che fosse un rimprovero che il fratello
le faceva di non saper lavorare bene le viti della vigna che stavano potando.
Trovandosi con il coltello in mano per la potatura stagionale ella aveva
risposto ai rimproveri con quel gesto inconsulto.
Sembrava davvero un gesto spropositato a fronte di un rimprovero,
ma nel processo venne fuori dell'altro: la disperata assassina disse che il
fratello la insidiava e i rimproveri erano una continua provocazione di fronte
alla sua giusta ripulsa.
Il padre di Sara diceva che era solo una sporca invenzione che la
famiglia aveva architettato per far abbassare la pena all'assassina. La verità
non si seppe mai.
Ma non era quella la vera ragione del rifiuto della nonna di Sara,
ed ella lo apprese, ormai adulta, da suo padre.
Spesso aveva assistito a commenti su Filomena e Amedeo fatti in
conversazioni fra suo padre e il fratello minore Quirino, tutti dello stesso
tenore: criticavano con sarcasmo la sottomissione del loro comune fratello a
sua moglie, l'adesione alla sua ostilità verso la sua famiglia di origine e,
per contro, l'affetto e l'aiuto che Amedeo dimostrava alla suocera e
addirittura ai cugini di sua moglie.
Per questo un giorno disse a suo padre: "Voi l'avete
disprezzata per qualcosa di cui lei non aveva alcuna colpa. Casomai, sia lei
che sua madre, hanno solo sofferto per l'omicidio avvenuto in famiglia, sono
state vittime innocenti di azioni di altri."
"Ma non è per questo che tua nonna non voleva. La madre di
Filomena, che tu dici innocente, certo non è l'assassina, ma è una donna
cattiva e aggressiva e la figlia è come lei, per istinto e per educazione. Un
giorno, insieme madre e figlia, aggredirono verbalmente tua nonna e mia
sorella, allora una ragazzina, coprendole di insulti per una banale diatriba di
cui non si ricorda neppure la causa e la ragione. Diedero loro addirittura
delle puttane! Conosci tua nonna e il suo riserbo: voleva querelarle e andò da
un avvocato. Ma mio padre non aveva soldi per pagarlo, allora tua nonna mi
scrisse chiedendomi se potevo darglieli io e, nel farlo, mi raccontò in una
lunga lettera il vergognoso episodio. Sono persone volgari. Non dimenticare che
a distanza di tanti anni Filomena, insieme a mio fratello Amedeo, ricoprì di
identici insulti la moglie di Quirino e sua figlia, che all'epoca era una
ragazzina come mia sorella nell'episodio precedente, nell'androne del palazzo
in cui, con fatica e denaro, come sai, ero riuscito a far avere un portierato a
tuo zio Quirino."
Ricordava benissimo Sara. Suo padre aveva pagato pranzi al
ristorante all'ingegnere che aveva costruito quel palazzo dove era avvenuta la
scenata triviale, insieme agli altri amici comuni, in modo da ingraziarselo per
poi chiedergli quel favore per Quirino in difficoltà.
Aveva avuto quel portierato senza pagare alcuna cauzione e Amedeo
e sua moglie avevano fatto quella visita aggressiva perché Quirino
semplicemente richiedeva ad Amedeo dei soldi che gli aveva dato in deposito.
Quel giorno nel palazzo l'ingegnere, neanche a farlo apposta,
transitava avendo ancora in loco appartamenti in vendita ed aveva assistito
all'inqualificabile scenata che Quirino e la sua famiglia avevano subito. In
seguito disse al padre di Sara: "Scusami se mi permetto: ma tuo fratello
Amedeo ha preso moglie prima o dopo la chiusura delle Case per via della Legge
Merlin?"
Sara, dunque, ignara di tutti questi veleni di cui aveva raccolto
solo sporadici racconti, si era comportata con normale affetto, ma si rese
conto a poco a poco che i suoi zii avevano impartito ai suoi cugini, Serenella
e Pierino, un'educazione diversa da quella che lei aveva ricevuto dalla sua
dolce mamma e dal suo ferito papà.
Non poteva dunque che arrendersi all'evidenza dell'assoluta
assenza di reciprocità in questo sentimento che ella provava e a poco a poco si
ritrasse da ogni rapporto.
Ci fu un momento in cui credette che questo affetto potesse
esserci e fu quando suo padre morì.
Ma fu di breve durata, e da pochi episodi capì che i sentimenti e
la visione della vita di quelle persone erano distanti dal suo sentire.
Invitò Serenella con il suo fidanzato a cena. Cucinò con
attenzione e amore nonostante avesse dei frugoletti che certo appesantivano il
suo lavoro.
Sua cugina, capitata in cucina dopo aver gustato i suoi buoni
cannelloni al forno, vedendo che la teglia usata per comodità "usa e
getta", che la sollevava dal lavaggio, era di alluminio, le disse:
"Li hai ordinati al ristorante più vicino?" Sara ci rimase male e
precisò che no, li aveva cucinati lei. Questo era stato il complimento alla sua
fatica culinaria che, implicitamente, era come dire che erano così buoni che
non poteva averli cucinati lei.
Una rozzezza di modi e di pensiero che meravigliò Sara, giacché
Serenella aveva una laurea e avrebbe dovuto sollevarsi un poco rispetto ai suoi
rozzi genitori che, Sara scoprì con altrettanta meraviglia, lei disprezzava
considerandoli degli ignoranti.
Aveva infatti commentato con lei certe scelte di mobilio dei suoi
genitori con una smorfia di indifferente spregio: "E' l'ignoranza!"
Sara era rimasta colpita da quel giudizio sui suoi genitori espresso con
distacco sicuro e tranquillo e in cuor suo l'aveva confrontato con sé stessa:
anche i suoi genitori non avevano diplomi né lauree, ma lei mai li aveva
considerati "persone ignoranti", anzi li aveva sempre apprezzati e
valorizzati dentro di sé e parlandone con altri.
Suo padre amava la
Storia e la
Poesia e, nonostante i suoi risicati studi scolastici, si era
costruito una vera cultura da autodidatta di cui Sara stessa aveva usufruito,
apprendendo da lui cose che a scuola non le avevano mai insegnato. Sua madre
aveva una cultura infinita sulla Storia dei Santi della Chiesa Cattolica e
sulle Leggende Popolari.
L'ultimo episodio fu quando Serenella si operò di appendicite e
Sara ritenne di andarle a far visita nella clinica dove era ricoverata anche se
molto distante da casa sua.
C'era Filomena, la quale fu, come sempre, sorridente a tutti denti
e per niente vera e spontanea. Aveva, per sfoggio, disteso sul letto della
figlia una pelliccetta di astrakan che doveva ritenere di grande eleganza e
lusso. Sembrava in mostra. La figlia fu ugualmente formale e sorridente di
fredda cortesia. Sara si sentì fuori posto e capì che la sua visita non aveva
fatto né piacere né aveva commosso sua cugina per quell'attenzione che lei le
aveva dedicato.
"Hai visto chi è passato fra te e i bambini? - Le chiese suo
marito. Erano appena usciti dalla casa dei genitori di lui e lei camminava
avanti, verso l'auto, dietro di lei i loro bambini e poi suo marito a chiudere
la fila. Si girò: sul marciapiede deserto di un pomeriggio domenicale vide la
figura di Serenella che si avviava verso il suo portone, poco distante da
quello da cui erano appena usciti Sara e la sua famigliola. Suo marito aveva
sulle labbra un sorriso fra il meravigliato e l'ironico: Sara guardò sua cugina
passare come se lei, suo marito e i loro bambini, unici presenti su quel
marciapiede di una stradina defilata, fossero stati invisibili e ne rimase
esterrefatta.
Con i cugini materni, sia pure più distanti, le cose non andarono
meglio.
Persino Domenico, rimasto un poco sciocco e ingenuone, si comportò
male con Sara, in modo stolto più che cattivo.
La madre di Sara era rimasta vedova e, completamente sola, era
andata a vivere con sua figlia e la sua famiglia.
A parte Elena, la figlia della sua sorella più piccola, la madre
di Sara non aveva ricevuto alcuna manifestazione di solidarietà e di affetto
dai suoi nipoti. Questa cugina era stata molto vicina a Sara quando erano
bambine. Più grande di lei di cinque anni era però compagna affettuosa e di
ottimo carattere. Solo lei aveva più volte telefonato alla zia rimasta vedova.
Gli altri nipoti, figli di un fratello e di una sorella maggiore, avevano
ignorato la zia, Domenico compreso, finché un giorno, inaspettato, si presentò
alla porta della casa di Sara.
Lietamente sorpresa Sara lo accolse. Non era tipo, come sono certe
persone, da seccarsi per le visite improvvise e affatto annunciate.
"Mimmino! - Lo chiamò con il diminutivo di quando erano
bambini, anche se ormai si era fatto un ragazzone alto e ben piantato. - Che
bella sorpresa!" E lo fece accomodare in salotto chiamando lieta sua
madre: "Mamma, guarda chi ti è venuto a trovare!"
La madre giunse in salotto sempre con un fare modesto e contenuto
e non aperto e lieto come quello di sua figlia. Ella salutò con il sorriso suo
nipote, ma la sua naturale mancanza di entusiasmo verso il figlio di suo
fratello Alceste era più realistica dell'ingenuo e fresco entusiasmo della
figlia Sara, che subito si rivelò mal riposto.
Non fece in tempo a chiedergli cosa poteva offrirgli e a fargli
conoscere i suoi tre meravigliosi bambini che Domenico, imbarazzato, esordì in
uno stravagante discorso:
"Sono venuto perché nei giorni scorsi qualcuno mi ha
citofonato e senza dirmi chi era ha detto: "Domenico Ferrari è morto"."
Sara lo guardò senza capire. Per pura cortesia chiese: "Ma
era una voce maschile o femminile?"
"Maschile." Disse Domenico, mentre assumeva sempre più
un'espressione studiata e inquisitoria, e sulle labbra gli appariva un
sorrisetto che voleva essere di intelligenza, accompagnato da una luce di
malizia negli occhi accesi.
Sara lo guardava sempre più spiazzata da quell'atteggiamento
inusitato, incongruo con la visita che lei credeva fatta alla zia per la sua
fresca vedovanza.
"Mi sono fatto una lista di nomi di chi può essere stato e me
li sto spuntando ad uno ad uno." Continuò con tono compiaciuto.
La madre di Sara e i bambini lo guardavano in silenzio, dato che
un così particolare argomento, che veniva a porre in mezzo a loro, doveva
apparire strano anche a quelle anime innocenti. Fu di nuovo Sara a parlare in
quell'imbarazzante atmosfera:
"A me hanno fatto tante volte scherzi al citofono, come anche
al telefono, ma chiunque fosse è sempre un povero cretino. Non te ne
curare.." Ma mentre lo diceva non riusciva a sfatare l'anomala sensazione
dell'esordio di quella visita: Domenico aveva detto che era venuto perché gli
avevano fatto uno scherzo al citofono... Assurdo. Vai a trovare parenti che non
vedi da anni perché ti hanno fatto uno scherzo al citofono?
Ma la sensazione di anomala irrealtà che Sara e gli altri, bambini
compresi, sentivano si concretizzò nella successiva frase di Domenico:
"Sto girando tutti gli indirizzi della lista e ora sono venuto qui."
Sara lo guardò come si guarda un pazzo, mentre un'indignazione
incontenibile le saliva nell'animo: "Sei venuto qui per questo? E chi
sarebbe di noi che viene a casa tua, che non so nemmeno dove abiti, a fare
scherzi così assurdi e scemi?!!"
"Era una voce maschile, quindi tuo marito." Concluse lo
stolto.
L'ira di Sara salì alle stelle. Incurante della sua annichilita,
povera madre che aveva creduto anche lei ad una quasi ovvia visita di cortesia
visto il fresco lutto, gridò: "Ma tu sei pazzo! Completamente insano di
mente! Mio padre è morto da poco e ti presenti in casa mia, davanti a tua zia
vedova, con l'ardire di pensare che mio marito, un Ingegnere, un Funzionario
dello Stato, non ha nulla da fare che andare a suonare ai citofoni di gente che
conosce appena??!! Pazzo! Ma se ti ha visto si e no il giorno del nostro
matrimonio anni fa e poi non più! E poi, ma se non so nemmeno dove abiti! Fuori
da casa mia! Fuori! Devi essere malato per presentarti a casa della gente con
simili assurde motivazioni! Ed io che pensavo che eri venuto a trovare mia madre!
Fuori! Fuori!" E spalancata la porta lo cacciò letteralmente dalla casa
mentre lui, goffamente intimidito, era tornato il Mimmo timido di quando era
bambino, e se ne andò con la coda tra le gambe.
Questo episodio Sara lo raccontò a tutti indignata e convinta che
Domenico non fosse solo imbecille, ma gli fosse dato di volta il cervello.
Il fratello di suo padre, Quirino, mortificato, le rivelò che si era
presentato dapprima a casa sua chiedendo l'indirizzo di Sara. Anche lui aveva
pensato che volesse far visita alla zia per la sua fresca vedovanza e se ne
scusò perché, in buona fede, glielo aveva dato.
Sara gli disse che non doveva scusarsi e che non gliene voleva per
averglielo dato, giacché era più che naturale che, data la recente morte di suo
fratello, pensasse che non c'era nulla
di male a dare l'indirizzo di Sara al cugino. Pare che Domenico abitasse nello
stesso quartiere di periferia economica in cui abitava questo zio paterno di
Sara e che si incontrassero spesso, dato che il denominatore comune era, non
tanto la parente Sara, quanto il paesetto da cui provenivano in origine la
famiglia del padre di Sara come anche quella della madre.
Molti anni dopo arrivò in casa di Sara una telefonata di Elena,
con cui era sempre rimasta in sporadici ma affettuosi contatti.
"Sara, - esordì - è morto lo zio Egidio."
"Mi dispiace molto. - Disse sinceramene Sara. - L'ultima
volta che lo sentii al telefono fu quando morì lo zio Serafino e, sapendolo rimasto solo, gli chiesi se
aveva bisogno di qualcosa, e lui mi toccò il cuore perché mi disse "Il
bisogno sarebbe tanto." Però non mi ha chiesto mai nulla.. Mi spiace
davvero."
"Devi sapere che Domenico e il figlio dell'altro zio,
Eriberto, gli stavano intorno per farsi fare il testamento e, siccome lui non
glielo voleva fare, mi hanno detto che gli facevano un sacco di dispetti. Mi
hanno raccontato che sono arrivati addirittura a nascondergli la legna per il
camino! Questi squallidi! E la nostra cugina Erminia è in combutta con
loro."
"Hai detto bene: squallidi. Povero vecchio! Io avrei voluto
fare di più per lui ma, non so se te l'ho mai raccontato, dopo la morte di papà
andavo ogni tanto nel loro paesetto, finché non ho venduto la casa, e andavo a
trovare questi zii rimasti scapoli e soli. Veniva anche mio marito. Portavamo
loro liquori e, per lo zio Ottavio, anche stecche di sigarette, visto che lui
fumava. Ebbene lo zio Ottavio un giorno ci chiamò con il cognome di mio marito
con aria sorniona e, da certi suoi atteggiamenti ed allusioni, capii che lui
credeva che quelle attenzioni mirassero a farci fare il testamento. Provai un
senso di delusione e di dispiacere per essere così male interpretata. Mio
marito, che non conosce la mentalità contorta di quei posti, nemmeno aveva
capito. Glielo spiegai io e se ne sorprese, anche perché non aveva alcuna aspirazione
su qualche fabbricato rurale fatiscente e terre buone per una agricoltura
montana. Da quel momento non andammo più a portare regali, per non essere male
interpretati. Se, sempre più raramente, capitavo in quei posti li salutavo ma
niente di più. Mi spiace per lo zio Egidio, perché lui non ha detto mai niente
poverino... Però, capisci, vivevano insieme e non si poteva che essere
affettuosi con tutti o con nessuno..
"Non prendertela Sara, - la consolò Elena - i figli delle
sorelle femmine, come me e te, per loro, non chiamandosi Ferrari, non valevano
niente. Ecco perché lo zio Ottavio quel giorno vi chiamò con il cognome di tuo
marito, per far risaltare che tu non eri una Ferrari... Hai visto che lo zio
Ottavio, come anche l'altro "zitellone" di zio Vito, hanno fatto
testamento in favore dei soli nipoti figli dei fratelli maschi?"
"Bah! Peggio per loro. Io avrei voluto solo il loro
affetto... Mi dispiace solo per lo zio Egidio che era buono e senza queste
stupide malizie."
"Comunque, Sara, questa volta c'è la grande casa dove sono
nate le nostre due madri, le terre e, mi dicono, lo zio Egidio aveva molti
soldi in banca, frutto dei suoi spartani risparmi, e Erminia, in combutta con
Mimmino e Eriberto, è stata elusiva su parecchie faccende, fra cui un misterioso
testamento di cui dice di non sapere niente."
"Ma chi se ne importa Elena! Se zio Egidio ha fatto
testamento per me va bene così..."
"Eh no! - Fece Elena. - Se l'ha fatto debbono essere chiari.
Il problema è che loro gli forzavano la mano a farlo, te l'ho detto, anche
facendogli dispetti per indurlo... In paese lo dicono tutti.. Ma se non parlano
chiaramente vuol dire che non ci sono riusciti, ma intanto si sono fatti dare
le chiavi di casa dal maresciallo dei carabinieri della locale stazione che le
aveva prese in consegna, dato che zio è morto da solo e qualcuno doveva
prendersi questa responsabilità. I due farabutti si sono presentati come i
nipoti e quello in buona fede gliele ha date. Vedrai che ora faranno sparire
tutto quello che c'è che vale qualcosa! Ma se non c'è testamento loro non
possono toccare nulla!"
A questo punto in Sara scattò il suo senso innato di giustizia e
la sua indignazione verso chi pensa di essere più furbo e per questo di poter
fregare il prossimo. Si meravigliava di Domenico, giacché lo riteneva un
tontolone mezzo scemo, visto anche l'assurdo episodio avvenuto l'ultima volta
che aveva avuto il dispiacere di incontrarlo, e pensava che qualche influenza
stupidamente maligna degli altri due, Erminia ed Eriberto, lo aveva condotto a
fare cose illegali quanto avventate.
"Ci penso io Elena, - disse prendendo in mano la situazione -
chiamo i carabinieri del posto e spiego loro la situazione in cui sono incorsi
in buona fede."
Si lasciarono così. Lo spirito pratico e realista di Elena si
sposava con il puntiglioso senso del diritto di Sara, più colta e capace di
muoversi nella società.
Ella chiamò senza indugio la Stazione dei militi del posto e chiese di parlare
con il maresciallo che la comandava. Spiegò al militare che i due a cui aveva
consegnato le chiavi dell'abitazione di Egidio Ferrari non erano gli unici
eredi del de cujus, ma oltre lei
c'era Elena e i numerosi figli della sorella maggiore di sua madre, oltre
l'ambigua Erminia naturalmente!
Il maresciallo si preoccupò realmente, temendo di essere incorso
in un errore che poteva costargli caro: aveva dato le chiavi di un'abitazione a
dei non aventi diritto. Qualsiasi cosa fosse venuta a mancare in quella casa
avrebbe dovuto risponderne lui nei confronti degli eredi. Non aveva fatto che
un sommario inventario...
"Signora, - le disse preoccupatissimo - sommariamente posso
dirle che in quella casa non vi erano cose di valore. Solo il televisore,
peraltro vecchio... Comunque quei due mi hanno mostrato un testamento scritto
di pugno di suo zio ma senza firma.. Già questo mi aveva insospettito. Ho
sbagliato, ma loro la pagheranno perché hanno indotto in errore un tutore della
legge. Ora telefono subito a queste persone e impongo loro di riconsegnare le
chiavi altrimenti sono io che li denuncio."
Ne seguì uno squallido teatrino in cui i due cialtroni e l'ambigua
cugina dovettero fare marcia in dietro.
Ne seguirono inevitabili contatti dato che erano tutti eredi e per
la successione dovevano firmare tutti.
Elena, pur realista, quando sottolineava la falsità di Erminia e
la pochezza del trio che aveva tentato di truffarli, avendo un animo semplice,
ripeteva: "Erminia non mi telefona più. E' proprio falsa." E ripeteva
le frasi stupidamente menzognere che la cugina le aveva detto nel tempo.
Sara era più analitica e non aveva ripensamenti di fronte a fatti
e comportamenti così squalificanti. Quella persona le appariva per una sciocca
pidocchia, con scarsa intelligenza e
scarsa morale. Faceva l'insegnante nella scuola di infanzia ed era convinta per questo di essersi
sollevata chissà a quali vette intellettuali. Era evidente la carenza
intellettiva proprio da questa sopravvalutazione di sé, da questo farsi
coinvolgere dagli altri due in un tentativo di truffa ai danni degli altri
cugini senza costrutto, in modo stupido. Parlandole al telefono per gli
inevitabili scambi di informazioni su dove riunirsi per svolgere tutti i
passaggi relativi alla triste pratica della successione, le capitò che le
rispondesse la sua unica figlia, ormai diciottenne. Per buona educazione e perché in vita sua aveva sempre applicato con
tutti, anche con gli estranei, la disposizione mentale all'accoglienza, non
avendo per questo mai pensato male di qualcuno per prima e tantomeno detto
parole o apprezzamenti offensivi per prima, Sara si rivolse con cordialità
alla giovane ed ebbe con lei una breve conversazione in cui si interessò ai
suoi studi, poi la ragazza andò a cercare sua madre, ma mentre lo faceva,
educata evidentemente in un modo plebeo e meschino, a distanza dal telefono e
pensando di non farsi sentire, disse a sua madre: "Mamma è quella
scema."
Così Sara scoprì come Erminia si esprimeva su di lei.
La cosa non avrebbe dovuto
meravigliarla giacché gli sciocchi, essendo tali, suppongono sempre di essere intelligenti
più degli altri, né i loro errori di valutazione sugli altri, che credono di
poter ingannare a loro piacimento, servono a formare loro una esperienza che
sia speranza di crescita per il loro intelletto.
Signorilmente Sara parlò normalmente con la povera stupida Erminia
che si credeva scaltra e fissò con lei, come aveva fatto con gli altri coeredi,
l'ultimo appuntamento per concludere quella penosa successione.
Uno dei risvolti comici della faccenda fu che la RAI inviò proprio a Sara la
richiesta del canone che pagava il povero zio defunto, essendo prassi normale
che gli Enti erogatori dei vari servizi, in mancanza del documento della
successione, inviino ad uno qualsiasi degli eredi, come da Codice Civile, le richieste dei pagamenti in scadenza.
Sara inviò all'Agenzia delle Entrate di Torino, ufficio competente
per la materia, la copia della successione, che lei aveva già presentata, con
allegata la dichiarazione di non essere in possesso del televisore dello zio.
Divertita, poi, segnalò la cosa ai coeredi e Domenico e il suo
"compare", Eriberto, imbarazzatissimi dissero che il televisore dello
zio era vecchio e loro, quando avevano avuto le chiavi della casa per la svista
del Maresciallo dei Carabinieri, lo avevano gettato via. Con ironica indulgenza
per i due sciocchi, che si credevano furbi mettendosi nei guai, Sara disse a
Domenico che dovevano dichiarare all'Ufficio preposto dove lo avevano gettato e
di non esserne più in possesso.
Ma la meraviglia di Sara su questi cugini arrivò al massimo quando,
parlando con Erminia, ricordò l'episodio in cui Domenico si era presentato a
casa sua con una improntitudine incredibile, pretendendo che suo marito, che
avendolo a malapena intravisto alla cerimonia del loro matrimonio una sola
volta nella sua vita ne ignorava addirittura l'esistenza, fosse andato a fargli
scherzi citofonici dicendogli: "Domenico Ferrari è morto".
"E' stata colpa mia, - disse la cugina che dietro le spalle
diceva che la scema fosse Sara - perché mi ero rivolta a un ragazzo di un'agenzia
che fa anche pratiche per le successioni, sta vicino casa mia (e nominò una via
del quartiere periferico dove abitava) - e gli avevo dato l'indirizzo di
Domenico perché siamo tutti e due eredi... Cioè ... anche tu.. naturalmente.. e
tutti gli altri, - aggiunse con imbarazzo -
e quello andò a casa di Domenico e gli citofonò senza sapersi spiegare
bene sul motivo della visita... esordendo con "Domenico Ferrari è
morto", ma intendeva nonno che, come sai, si chiamava come Domenico... Zio
Alceste volle dargli il nome del padre.. E' stato tutto un equivoco.."
Sara non sapeva se mettersi a ridere smodatamente dandole della
matta in coppia con lo stolto Domenico, o tacere pietosamente ridendo dentro di
sé: scelse la seconda soluzione.
Alla fine di tutta quella pletora di cugini a Sara restava solo
Elena: unica verso la quale aveva un senso avere un affetto fraterno. Ma ce ne
era un'altra, una della numerosa prole della sorella maggiore di sua madre,
degna di affetto e di considerazione: Paola. Era questa molto più anziana di
Sara, tanto che da bambina una dei suoi figli era stata sua compagna di giochi,
avendo circa la sua stessa età. Paola era buona, oltre che bella, con occhi di
un azzurro intenso, che aveva trasmesso ad alcuni dei suoi figli. Ma l'età così
distante aveva fatto sì che non ci fosse una grande frequentazione... Ma Sara
non dimenticava la gentilezza che Paola aveva avuto verso sua madre in un momento in cui, in vacanza da sola nel paese natio, era stata poco bene e la nipote ne aveva avuta cura...
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