venerdì 7 ottobre 2016

Un Professore scrive alla Presidente della Camera dei Deputati

Onorevole Presidente, sono rammaricato di sentire l'esigenza di dover scrivere alla terza carica della Repubblica.
Avrei voluto evitare, non è nella mia natura, ma quando è lo Stato a ledere i diritti delle persone che ne fanno parte penso sia giusto comunicare con chi lo rappresenta.

Immagino che riceverà molte lettere di cittadini che lamentano il proprio problema personale.
Sono un professore della scuola italiana da poco meno di un anno, nei sedici anni precedenti ho sempre lavorato per aziende private.
Nel 2000-2001 ho partecipato e superato un regolare concorso pubblico per l'insegnamento del diritto e dell'economia nelle scuole superiori di secondo grado.
La riforma della scuola del 2015  (legge 107) mi ha consentito di iniziare a lavorare come insegnante, profilo che mi ha sempre affascinato per il ruolo di pubblica utilità che riveste, in particolare per un docente che deve trasmettere ai ragazzi l'educazione civica, il rispetto delle regole ed il rispetto del diritto. Farne, in sintesi, dei buoni cittadini con il senso della giustizia, del dovere, dell'accoglienza, dell'uguaglianza.
La mia è stata una scelta ponderata a lungo, ho lasciato una multinazionale dove operavo in posizione di quadro aziendale con molte responsabilità e persone da gestire.
Ho scelto di guadagnare il 35% in meno, perché pensavo di poter fare uno dei lavori più belli.
Non sono un irresponsabile, un matto sceso da un altro pianeta che non ha pensato al sostegno economico della propria famiglia (ho un figlio di 7 anni). Ho fatto i miei conti e mi sono reso conto che a 46 anni potevo sostenere questa situazione.

Non voglio prolungare troppo questo discorso ed arrivo al dunque.
Il primo segnale di una macchina statale che funzionava male, lo ha avuto quando non mi è stato consentito di dare il giusto preavviso alla mia vecchia azienda, perché avrei dovuto assumere immediatamente servizio.
Questa situazione  mi è costata diverse migliaia di euro, salvo (in un momento successivo) essere informato a posteriori che avrei potuto darlo il preavviso e che si erano sbagliati.
Non entro nel merito della mobilità degli insegnanti, perché ne ero a conoscenza, ma non ero a conoscenza dei criteri e dei modi con cui sarebbe stata gestita. Io e migliaia di altri insegnanti come me.

Io le scrivo dalla Liguria, dalla provincia di Savona, pur abitando nella provincia di Roma.
Ho accettato, non con gioia, il trasferimento (è sbagliato ed offensivo chiamarla deportazione).
Quello che non accetto, in uno stato di diritto, è la violazione dei diritti stessi da parte dello Stato che costituzionalmente è chiamato a tutelarli.
Può immaginare con che faccia io possa entrare in una classe e spiegare l'importanza della nostra Costituzione ed in particolare l'alto valore morale dei primi 12 articoli, i Principi Fondamentali.
Leggo ai miei ragazzi, passo dopo passo, i commi e gli articoli e li commento con loro. 
Non posso certo raccontargli che spesso vengono calpestati quotidianamente ed io lo sto vivendo sulla mia persona.

Come altri 46.000 insegnanti in Italia ho chiesto, ovviamente, l'assegnazione provvisoria per potermi riavvicinare alla famiglia, ma a differenza di molti di loro (la maggioranza mi creda), ho scelto di attendere questo esito lavorando e non facendo mancare l'ennesimo insegnante agli studenti.
Io non sono in congedo, non sono in malattia.

Questa scelta però la sto pagando cara in termini di dignità come lavoratore e come persona, perché lo Stato non mi rispetta.
Dovendo attendere un esito che dipende dagli ambiti territoriali provinciali (nel mio caso Roma) sono costretto ad alloggiare in bed & breakfast sempre diversi e a sostenere spese impegnative. In oltre 40 giorni ho speso circa 1.500 euro (ci sono anche i viaggi) ed un insegnante ne guadagna 1.400.
Praticamente, Onorevole Presidente, io sto "pagando per lavorare" e mi  vergogno, perché sto togliendo questo denaro alla mia famiglia.

Non potrò andare a lungo avanti con l'autofinanziamento, quindi mi restano due alternative: o una finta malattia, che è contro i miei principi morali, ma comprendo chi lo fa perché non in grado di autofinanziarsi o dimettermi e cercare un altro lavoro.
Tutte e due le scelte non sono dignitose ma rischiano di diventare obbligate perché lo Stato mi ha messo con le spalle al muro. Come si fa a consentire una cosa del genere?
La pessima gestione da parte del Miur e di chi lo dirige, di questo avvio di anno scolastico meriterebbe delle dimissioni.
Mi dispiace molto, ma al question time avvenuto a fine settembre, proprio alla Camera dei Deputati, il Ministro Giannini ha detto molte inesattezze. Ha dato percentuali palesemente non veritiere sulle conciliazioni, senza mai dire che tutte quelle presentate dagli insegnanti della scuola secondaria di secondo grado sono state saltate in blocco e neanche visionate.
Per non parlare di come sono state gestite quelle accettate.
Un ministro della Repubblica non si può permettere, in una sede istituzionale, di fare affermazioni che non corrispondono al vero.
La dignità non ha prezzo e se non si è in grado di svolgere un lavoro così importante, allora ci si fa da parte.

Mi scuso per averle tolto del tempo.
La saluto da un bed & breakfast della provincia di Savona, mentre attendo di sapere da quasi 40 giorni se devo prendere una casa in affitto o posso rientrare dalla mia famiglia.


Cordialmente
prof. D N