di ILARIA ULIVELLI
Donna uccisa a Ravenna, arrestato il marito. Chi è Matteo Cagnoni
'Era un grande professionista'. L’incredulità di amici e colleghi. Il ritratto
"Ma è tutto vero? E’ stato lui?". Sono sbigottiti. Gli occhi spalancati per l’incredulità, il mento che penzola fra le parole a bocca aperta. Alla clinica dermatologica dell’Iot i colleghi di Matteo Cagnoni sono scioccati dalla notizia che è rotolata negli ambulatori fra le prime visite. Stimatissimo e amato da tutti, il presunto assassino che avrebbe aggredito e ucciso a bastonate la moglie Giulia per gelosia (Leggi l'articolo), viene descritto come una persona razionale, un professionista di valore, un marito modello, un padre splendido di tre figli.
Infatti lo raccontano così non solo i colleghi, ma anche gli amici che lo conoscono bene e che lo hanno frequentato a lungo, i pazienti che ha avuto nel suo ambulatorio fiorentino, i compagni di scuola, dalle medie al liceo, e dell’università. Persino il suo maestro ha per lui le parole più belle. «Era il mio allievo modello, un professionista di grande valore, una persona razionale e calma di saldi principi», dice il prof Torello Lotti, l’ex super primario, uno dei fari della dermatologia internazionale che con lui era rimasto coinvolto in uno scandalo e in un lungo processo che aveva segnato Cagnoni senza però macchiarne la professionalità, anche perché ne era uscito completamente scagionato (per Lotti la Cassazione ha annullato la sentenza di condanna).
La famiglia Cagnoni a Firenze la conoscono tutti. Il padre Mario era venuto a Firenze per insegnare: un luminare, ex professore di clinica medica all’Università e primario a Careggi, è considerato un gran signore. Molti gli amici delle medie e del liceo che ricordano di essere stati a studiare e a divertirsi con Matteo nella villa di famiglia, in via Bolognese, a La Lastra.
«Matteo è sempre stato il tipico bravo ragazzo di buona famiglia – racconta il primario della diagnostica senologica di Careggi, Jacopo Nori che con lui ha frequentato i corsi della facoltà di Medicina – Ci conoscevamo bene, abbiamo studiato insieme, eravamo nello stesso gruppo. Una persona equilibrata».
Camicia con la risvolta alle maniche, polo sportiva, una Golf e le giornate di un ragazzo che sapeva godersi la vita. La laurea col massimo dei voti e lode, poi la specializzazione in dermatologia, a Siena, con il prof Lotti, dopo il mater a Napoli. «Siamo sconvolti, quello che è successo, se è accaduto veramente, resterà incomprensibile per chi lo conosce bene – dice di lui la compagna di specialità, la dermatologa Ilaria Ghersetich – Matteo è sempre stato una persona normale, mite, buona, razionale: l’ultima da cui mi sarei aspettata una reazione di tale violenza. Anche perché quella di Matteo era veramente la famiglia perfetta, si è fidanzato presto con Giulia, hanno avuto tre figli».
Anche sul lavoro era sempre sorridente, gentile, educato. Il ritratto della perfezione. Come «professionista equilibrato e razionale», lo descrive anche il primario della clinica dermatologica all’Iot, Nicola Pimpinelli. Ma allora? Com’è possibile che una persona così massacri la moglie a bastonate? «Tutto questo è veramente inspiegabile», dice Massimo Mazzanti, suo amico e informatore scientifico. Lui l’aveva visto poco tempo fa. Erano andati a cena insieme. Matteo era amabile e divertente come al solito. Ma poi che cosa è successo al ritratto della perfezione?
Il Dott. Matteo Cagnoni: al ritratto della perfezione bisogna aggiungere il suo aspetto, estremamente gradevole e piacente |
Spesso la realtà supera la fantasia degli scrittori e le storie vere sono più complesse delle storie di fantasia.
Negli ultimi anni ho accumulato tale e tanta esperienza di storie vere che nello scrivere prendo spunto da esse, ma quando ero molto giovane amavo scrivere ricorrendo alla fantasia.
Questa triste e amara vicenda del Dott. Cagnoni, che non sappiamo fino a sentenza definitiva se sarà o meno dichiarato l'assassino di sua moglie, mi ha fatto ricordare una novella, totalmente inventata, che scrissi all'età di venti anni e che è pubblicata nella raccolta "Mostri e Ritratti" edita da Universitalia:
La novella si intitola: "Un uomo tranquillo"
La pubblico per la prima volta in questo blog.
Un uomo tranquillo
Il professor Ardenzi era un pacifista, assolutamente alieno da ogni forma di violenza, odiava, anzi, la violenza.
La riteneva un'espressione di inciviltà, un residuo di ancestrali forze brute della natura umana, residuo di istinti primordiali, cavernicoli. Egli si compiaceva di fare spesso discorsi su questo argomento: con i colleghi, con i superiori, con sua moglie e, in classe, con gli allievi.
Il professor Ardenzi era conosciuto ed ammirato nel suo ambiente per la sua figura di uomo posato, tranquillo, civile ed educato, oltre che per la sua bravura professionale. Erano apprezzate anche quelle sue idee contro ogni forma di violenza, che erano l'espressione piu' evidente della sua personalita' tranquilla anche se, bisognava ammetterlo, qualche volta esagerava e annoiava un po' con l'insistere sull'argomento.
Aveva una figura elegante, asciutta, il viso un po' pallido, serio ma sereno, disteso; a volte si aggrondava, quando aveva qualche contrarieta', allora l'espressione era di una durezza ed inflessibilita' uniche, anche se egli restava calmissimo e cosi' la sua voce: ne sapevano qualcosa i suoi allievi che ne avevano grande soggezione in quei momenti.
Ma, in genere, egli era un amico per gli studenti: aperto, cordiale, sorridente, con la sua calma olimpica ed i suoi modi signorili, conquistava facilmente le simpatie di chi l'ascoltava e, spesso, piu' che un professore sembrava un ragazzo gentile e piacevole con le tempie brizzolate.
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"La guerra e' un residuo di incivilta', signor preside, un brandello di barbarie. Gli uomini in fondo sono rimasti dei barbari che, per risolvere le loro questioni, non sanno far altro che ammazzarsi a vicenda. A che e' servita la nostra moderna civilta' se non siamo riusciti ad eliminare del tutto dal nostro concetto di vita la guerra?"
"In effetti la guerra e' qualcosa di atroce che la nostra civilta' dovrebbe eliminare." Erano nello studio del preside, quattro o cinque professori riuniti per discutere questioni di ordine scolastico che, una volta esaurite, avevano lasciato campo libero alla conversazione. Gli uomini amano parlare di problemi universali, problemi che di solito fanno accalorare chi li discute senza arrivare a niente, ma che servono a far sentire impegnati, pensatori: e' una debolezza dell'uomo della strada, come della persona colta e, talvolta, sono proprio queste discussioni su problemi etici, filosofici o sociali ad avvicinare e far conoscere meglio uomini che, magari, lavorano fianco a fianco e che non troverebbero mai la possibilita' di comunicare veramente se i loro discorsi restassero sempre incanalati nelle anonime questioni professionali.
Il pacifista ad oltranza, il professor Ardenzi, amava parlare dei suoi argomenti preferiti e gli altri, un po' perche' affascinati dalla sua personalita' indubbiamente interessante, un po' perche' quegli argomenti solleticavano la vanita' piu' o meno riposta di quegli uomini di studio costretti dalla vita ad una professione in fondo noiosa, lo assecondavano volentieri.
"..........e si parla di pace per paura, non perche' si e' giunti alla maturita' civile di ritenere la guerra un'espressione di barbarie."
"Bisogna ammettere, pero', che la guerra, talvolta, risolve delle questioni che altrimenti non si risolverebbero mai!" Chi parlava era il professor Saffi, e di lui si sapeva che era un nostalgico del ventennio e delle marce militari.
"Ah no, caro professore! - Il preside era un assertore convinto ed ammirato delle idee cosi' ben esposte dall'Ardenzi - L'incapacita' degli uomini a risolvere civilmente le loro intricate questioni politiche non giustificano la guerra."
"Ma la violenza non si risolve eliminando la guerra e superandola come si è superata l'era delle caverne, la violenza è anche in ognuno di noi, lo.....lo........vediamo nei delitti che accadono ........e talvolta per futili motivi! Se voi condannate la guerra come espressione totale di violenza, voi dimenticate la natura dell'uomo! " L'ex-fascista, che era però una brava persona, si accalorava nel parlare. Il pacato professor Ardenzi, chiamato dai suoi studenti "Lord Sesbury", per sottolineare la sua personalità inglesizzante, sorrise all'agitato professor Saffi: "Il professore ha ragione: la violenza è in ognuno di noi, fa parte dell'istinto animale in un certo senso. Ma, se la civiltà serve a far prevalere l'intelligenza sull'istinto, se essa è il progresso dell'intelligenza medesima, ecco che noi, arrivati ad un certo livello morale ed intellettuale, avremmo dovuto di già imparare a dominare questi istinti primordiali ed a far prevalere la ragione. Altrimenti eccone le conseguenze: come ha detto lei i delitti d'impulso accadono spesso per futili motivi, e chi li commette è preda dell'istinto. Si sente di gente che si accoltella per contendersi un cane, altra che uccide per un insulto, altri che, se non giungono al delitto, si riducono a mal partito picchiandosi da selvaggi, magari soltanto per un sorpasso o altro stupido contrasto automobilistico! Ma tutte queste manifestazioni di violenza sono condannate dalla legge, mentre la guerra è l'espressione di violenza peggiore perché, non solo è collettiva, ma è autorizzata dallo Stato.........E' ammessa dagli uomini, dalle coscienze! Ecco allora che l'inciviltà sta non solo nel praticare la violenza, ma nell'ammetterla! Comprende?" La sua dialettica aveva fatto tacere il povero professore nostalgico che non seppe che ribattere. Tuttavia fece una domanda al professor Ardenzi : "Ma lei nell'ultima guerra ha combattuto?"
"No, perché sono stato riformato al servizio di leva per una malformazione; - non specificò quale - ma se mi avessero dichiarato idoneo mi sarei opposto come obiettore di coscienza."
" Ah!"
" Ma l'avrebbero fucilata!" - disse il Preside.
" Lo so bene, ma avrei dato la mia vita pur di non piegarmi alla violenza. Perché avrei dovuto diventare un assassino, sia pur autorizzato, dei miei simili? Ma pensate: quello che chiamano nemico è gente come noi, padri di famiglia, ragazzi! Magari mi poteva capitare di ammazzare un professore di filosofia, come oggi sono io, un uomo con il quale avrei potuto avere, invece, degli scambi culturali. Ed infine, dopo che facciamo? Torniamo ad essere amici, magari sposiamo una straniera del paese ex-nemico, alla quale, senza saperlo, abbiamo ucciso un parente."
"Certo - aggiunse uno dei professori presenti - se si riflette, tutti dovrebbero dichiararsi obiettori di coscienza, allora non si potrebbe fucilare un esercito intero."
"Già, e la Patria chi la difende?" Chiese con un gesto vivo del capo il professor Saffi.
"Se si eliminasse il concetto di guerra - disse pacatamente Ardenzi - non esisterebbe questo problema."
Ormai la riunione si scioglieva, la conversazione era stata tirata sin troppo per le lunghe. I professori si alzarono e salutarono il Preside, si salutarono tra loro, ed uscirono dallo studio ognuno per la sua strada, diretti ognuno ai propri compiti. Ancora qualche frase sull'argomento....Un sorriso.....Saffi che si accalorava ancora puntualizzando le sue idee....La conversazione moriva a brandelli nei corridoi: le frasi dette erano già dimenticate.
Ardenzi si recò a casa: le sue ore di lezione erano finite.
A casa l'attendeva Susanna. Susanna aveva gli occhi chiari come il cielo al mattino in primavera, i capelli sottili e biondi, soffici come piume di cigno, ed il corpo roseo, sodo e morbido dei suoi venticinque anni.
Lui ne aveva quarantaquattro e l'aveva sposata da due anni. In vita sua si era innamorato solo due volte: a quindici anni di una compagna di ginnasio che aveva una lunga treccia bionda, e di Susanna a quaranta passati. L'amore a quaranta anni è più pericoloso che a venti; brucia come a venti, ma si hanno meno risorse per risollevarsi dalle disillusioni.
Ma egli era stato fortunato: Susanna lo aveva sposato e lo amava.
A scuola si era un po' mormorato su questo matrimonio: "Ma come, il professor Ardenzi, una persona così seria, sposare una donna tanto più giovane di lui!" Ma questo lo avevano detto soprattutto le mature signorine professoresse a cui la figura alta e snella del professore aveva procurato qualche sogno e qualche speranza. Per il resto il suo matrimonio non aveva certo fatto diminuire la stima che i suoi colleghi ed il signor Preside avevano per lui, anzi, Susanna aveva suscitato simpatie in tutti quelli del suo ambiente che l'avevano conosciuta, ed avevano ricevuto molti inviti per questo. Da principio avevano accettato, si erano lasciati coccolare dalle mogli dei colleghi di lui, le quali li guardavano con tenerezza perché erano freschi sposi, poi, quando lui si era accorto che anche qualche suo collega guardava con tenerezza Susanna, aveva preferito declinare gentilmente quegli inviti e, per non far torto a nessuno, dicevano di no a tutti, ora mettendo una scusa ora l'altra, ma soprattutto dicendo che amavano starsene nella loro casa, soli, a godersi la loro felicità. I colleghi avevano capito sorridendo comprensivi e così ci si riuniva solo in occasioni particolarmente importanti.
In realtà i coniugi Ardenzi amavano starsene in casa a godersi davvero la loro intimità ma non è, poi, che stessero sempre tappati fra quelle quattro mura. Uscivano spesso, ma soli: andavano a pranzo fuori, alle corse, al cinema, a fare gite.....Ed erano felici. Il professor Ardenzi era tanto felice: per lui era tornata con Susanna la giovinezza che non si era goduta, un po’ per lo studio un po’ per i complessi che gli erano nati per la menomazione che gli aveva procurato l'esonero dal servizio militare: aveva un testicolo atrofizzato. "Niente di grave, - avevano detto i medici - lei può avere figli ugualmente, è un uomo normale".
Col passare del tempo, superata la prima giovinezza, era passato anche il bruciore della frustrazione ed i complessi si erano attenuati: si era fatto una ragione di tutto questo e aveva cominciato a credere a quel che i medici gli avevano sempre detto e ripetuto. Susanna, peraltro, non aveva battuto ciglio alla sua confessione, anzi, gli aveva detto che aveva fatto molto male a tormentarsi nella sua giovinezza e a non dar subito retta ai medici. Questo lo aveva fatto molto felice. Lei lo capiva perfettamente.
*****
Susanna era ad attenderlo sulla porta. Egli le circondò con un braccio la vita sottile e la baciò sulle labbra.
"Sei stanco tesoro?"
"No, anzi.......Comunque questi esami sono sempre una fatica bestiale, soprattutto per te che sei costretta a startene in città con il caldo."
"Ma che c'entra - rispose lei ridendo - ecco che giri sempre la cosa a me! Lui presiede agli esami e chi è stanca sono io!"
"Sul serio Susanna, - disse lui con la sua bella voce calma - tu non puoi startene qui con il caldo che fa, siamo al 20 luglio e ci saranno almeno 30° all'ombra. Io non voglio che tu, per star vicina a me, nuoccia al bambino!"
"Da quando aspettiamo nostro figlio sei diventato ancora più noioso." Disse lei scherzando con tenerezza e posandogli un braccio sulle spalle, mentre lui guardava il piatto senza mangiare. Doveva prima chiarire e convincere Susanna.
"Susanna sii ragionevole, questo caldo non può che nuocerti e quindi nuocergli. Se tu te ne vai a Marina di Massa come l'anno scorso, io poi ti raggiungo alla fine del mese, forse anche prima, il tempo di finire questi benedetti esami... In fondo non sarai sola, la tua amica Marisa potrebbe venire con te. Penso che le farebbe piacere, non ha mai niente da fare quella. Ascoltami tesoro, ti prego, sono veramente preoccupato, i primi mesi sono i piu' importanti e non vorrei...."
"Va bene Augusto, va bene, telefonero' a Marisa, ma queste tue premure, tesoro scusami, mi sembrano esagerate, in fondo due mesi di gravidanza sono pochi per risentire gia' del caldo."
Comunque Susanna parti'.
Egli stesso l'accompagno', insieme a Marisa, alla stazione e per tutto il percorso in macchina non fece che ripeterle raccomandazioni su come e quando doveva fare il bagno, che non doveva stare troppo al sole ecc. ecc..
Lei ascoltava paziente, talvolta rispondendogli che aveva capito e che non si preoccupasse. Marisa cicalava eccitata scuotendo la testa di un rosso esagerato: " Non ti preoccupare Augusto - disse - la prendo sotto la mia protezione!"
*****
Gli esami lo tennero molto occupato e, ad un certo punto comincio' lui a risentire del caldo.
Ebbe dei capogiri. "Stanchezza, - disse il medico - ci vuole riposo."
A scuola il Preside, che lo aveva in simpatia, disse che avrebbe provveduto a sostituirlo, nella sua qualita' di professore interno, con il professor Saffi.
Egli avrebbe voluto e potuto farcela ancora per i tre giorni che restavano, ma poi penso' che il piu' era fatto, che il professor Saffi amava gli studenti quanto lui e che, infine, aveva tanto desiderio di rivedere Susanna.
Parti' dunque a bordo della sua Fiat 1100 e, mano a mano che guadagnava chilometri, si sentiva meglio. Pensava a Susanna: l'avrebbe riabbracciata presto; si crucciava immaginando che lei poteva essere stata imprudente, nuocendo al bambino, ma subito dopo si sgridava dicendosi che lei aveva ragione, che era esagerato e si preoccupava troppo.
Giunse a Marina di Massa alle tre del pomeriggio. Ando' all'albergo ma gli dissero che la signora era uscita con la sua amica dalla mattina. Egli si diresse allora verso lo stabilimento dove erano stati anche l'anno prima, sorridendo fra se' della sorpresa che avrebbe fatto a Susanna.
Il padrone dello stabilimento lo riconobbe o fece finta di riconoscerlo, comunque lo saluto' con grande cordialita'. "La sua signora? Non so, ora domando: Mariaaa! Sai se la signora Ardenzi e' in spiaggia?"
Maria rispose di no e, dentro di se', lo mando' al diavolo, chiedendosi se lei fra tutti i bagnanti che avevano li' poteva sapere se la signora Ardenzi stava in spiaggia!
"Probabile che stia prendendo il sole signor Ardenzi, comunque, se sa il numero della cabina io le do' la chiave, cosi' anche lei puo' scendere in spiaggia."
"E' la 128." Disse lui. Lo sapeva perche' era la stessa dell'anno prima. Susanna glielo aveva scritto.
Il grasso padrone dello stabilimento gli porse la chiave sorridendo con tutta la sua dentiera.
Il professor Ardenzi la prese e con la chiave in mano e la giacca sul braccio scese le scalette che portavano alle cabine.
La 128 era grande, un "casotto", come lo chiamavano li', e per questo costava di piu', ma ci si stava piu' comodi e lui e Susanna, con la loro attrezzatura da campeggio, mangiavano li' l'estate passata, per non andare in mezzo alla confusione del ristorante dell'albergo o, peggio, dello stabilimento.
Senti' l'ansito roco solo quando fu vicinissimo alla porta e stava per infilare la chiave nella serratura. Resto' un secondo, solo un secondo interdetto, poi, senza pensare, o pensando che venisse da cabine vicine, apri' la porta.
Stavano sulla sinistra del casotto, con i piedi verso la porta, distesi e avvinghiati sul materassino di gomma.
Lei lo guardo' con gli occhi un po' torbidi e stralunati, i capelli arruffati; l'uomo schizzo' su nudo come un verme: era giovane, molto giovane, bruno e con una virilita' insultante.
Lui li fissava come inebetito, gli occhi divenuti grandi, molto grandi: fissava lei scomposta e senza nulla addosso. Per una frazione di secondo penso' pazzamente di coprirla: la nudita' di lei era sua, solo sua, quell'altro uomo non doveva vederla; poi si ritrovo' fuori, sotto il sole divenuto ancora piu' cocente, piu' abbagliante. Passò, quasi barcollando, davanti al botteghino dove stava seduto il grasso padrone dello stabilimento; con lo stesso viso senza espressione passo' davanti al portiere dell'albergo; quello lo chiamo' e gli dette la chiave della camera.
E quando fu in camera si getto' sul letto, supino, lo sguardo fisso al soffitto. Si sentiva come un senso di pazzia nella mente, di pazzia e di irrealtà.
Quanto tempo passo' cosi'? I pensieri si affollavano nella sua mente confusa: sua moglie, Susanna, dolce Susanna, una sgualdrina.....da quanto tempo.... ora, pochi giorni... e il figlio, il figlio suo che raccoglieva le lordure degli altri... quel figlio che aveva sempre voluto, che era la prova che lui era un uomo....
Ma era un uomo? Era suo poi quel figlio?
Gemette posandosi una mano sugli occhi e poi sulla fronte. I pensieri lo assillavano affollandosi: "Da quanto, da quanto?!!! L'anno scorso? No, non era possibile, era stata sempre vicino a lui... Lo aveva conosciuto pero'.....e poi quest'anno.....Ma era solo lui o altri.....?
Pensieri orribili, pensieri a cui non si poteva piu' mettere argine... Piu' nulla di sicuro per far da riferimento, da base, tutto crollato, tutto...
Tutto distrutto, la sua vita distrutta... Gli usci' un singhiozzo secco, ma i suoi occhi restavano senza lacrime.
Allora una collera, una collera terribile comincio' a bruciargli il petto e la gola, a inniettargli gli occhi di sangue, a fargli ronzare la testa di mille api.
*****
Quando lei entro' era sera; aveva parlato con Marisa e aveva deciso di andarsene: lei l'avrebbe ospitata. Giancarlo se l'era squagliata come un codardo, quel vigliacco. Non aveva fatto altro che balbettare qualche frase di scusa ed era sparito lavandosene le mani come Pilato!
Ora doveva prendere la valigia ed andarsene, non voleva parlare, non aveva nulla da dire a sua discolpa, e suo marito le faceva pena, sapeva di essere una donna debole, che si era fatta trascinare dai sensi, solo dai sensi: Giancarlo era cosi' bello!
Non aveva nulla da dire a suo marito, ma lui avrebbe parlato e lei lo avrebbe ascoltato a testa bassa, umilmente, poi se ne sarebbe andata.
Poi chissà, in seguito lui l'avrebbe rivoluta, ora no, ora era troppo recente e bruciante l'offesa.
Apri' con la chiave che aveva e si fece avanti esitante. Lui era sul letto e giro' la testa verso di lei quando entro': che faccia aveva! Dio mio, sembrava un vecchio! Gli occhi rossi, senti' una pena pesante nel cuore.
"Vado via, - disse con voce bassa - sono venuta a prendere la valigia". E fece per avvicinarsi all'armadio: ma lui schizzo' su, il corpo agile di un felino in contrasto con la faccia distrutta di poco prima, e le si paro' dinnanzi. Era piccola rispetto a lui e rimase ferma un po' tremando con gli occhi bassi, come si era detta di fare. "Sgualdrina, - le soffio' sul viso lui con la voce che era un ringhio - sporca, fetida sgualdrina!"
Lei allora alzo' gli occhi spaventata: non era Augusto questo, o no, non era quell'uomo tranquillo che lei conosceva.
Quando poso' gli occhi sul viso di lui senti' un gelo improvviso serpeggiarle nelle vene e comincio' a battere i denti e ad indietreggiare con gli occhi azzurri spalancati dal terrore. Lui avanzava quanto lei indietreggiava fissandola dall'alto con i suoi occhi divenuti terribili.
Quando fu contro la parete, al colmo del terrore, lei apri' la bocca per urlare, ma le mani di lui, grandi, dure, due morse d'acciaio, le chiudevano gia' la gola soffocando il suo grido. E strinse, strinse, strinse, fino ad irrigidire i muscoli delle braccia e i nervi del collo, fissando gli occhi di lei che lo fissavano azzurri, sempre piu' grandi, in un'espressione di attonito stupore, finche' quegli occhi non ebbero una fissita' vitrea. Allora la lascio' ed ella scivolo' grottescamente lungo il muro e si affloscio' ai suoi piedi.