Giorni fa, nel salotto televisivo di Lilli Gruber, si parlava di Mani Pulite, la famosa inchiesta che portò poi alla discesa in politica di Antonio Di Pietro: un uomo in cui ho creduto anch'io, fino a prendere la tessera, per la prima volta in vita mia, di un partito: Italia dei Valori.
Con la sua arietta ironica e saputella, di chi si sente sempre dalla parte giusta e guarda con sufficienza al resto del mondo, Marco Travaglio, ospite in studio, sottolineava, giustamente, il vezzo di molti di incolpare i magistrati che condussero quelle indagini, piuttosto di tener conto dei reati che le persone indagate e condannate avevano commesso.
Ma quando qualcuno in studio ha parlato di suicidi, con la stessa aria di depositario della verità, Marco Travaglio ha detto: "Nessuno si è mai suicidato." Oppure: "Non c'è stato alcun suicidio". Non sono un registratore, dunque la frase precisa non so riportarla, ma era di questo sicuro tenore.
Mi sono stupita di questa affermazione detta non senza il solito sorrisetto ironico.
E Gabriele Cagliari? Non si suicidò forse in carcere con un sacchetto di plastica sulla testa? Era detenuto in attesa di giudizio.
Non sto certo difendendo gli indagati e i condannati dell'inchiesta Mani Pulite, sia chiaro, ma mi disturba la negazione dei fatti da qualunque parte venga. E Marco Travaglio è più giovane di me e fa il giornalista per avere così poca memoria.
Con questo, comunque, sono d'accordo con quanto detto da uno dei magistrati dell'inchiesta definita Mani Pulite:
- Piercamillo Davigo: << la morte di un uomo è sempre un avvenimento drammatico. Però credo che vada tenuto fermo il principio che le conseguenze dei delitti ricadono su coloro che li commettono non su coloro che li scoprono. Non è neanche pensabile che uno possa sentirsi responsabile delle conseguenze di delitti che altri hanno commesso. Il mestiere del magistrato è scoprirli e reprimerli>>.
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