"Ripuliture"
"Cornelio, usciamo un po', facciamo una passeggiata!" Barbara era andata a cercarlo nell'orto, dove lui cercava di stare il più possibile continuando in quella sua tranquillità malsana che si era ricavato aiutato dal suo carattere passivo e vile. Fare finta di niente gli veniva naturale, la sua vita da tantissimo tempo, dopo i primi traumi all'inizio del loro matrimonio, era uno scorrere senza spontaneità, che sarebbe riuscito a pochi, qualora psicologicamente sani, ma lui già da prima aveva un carattere rivelatore di qualcosa che non andava nella sua testa. Era di un ordine ossessivo, nel suo modesto lavoro come a casa. Poteva anche sembrare una virtù l'essere ordinato per un uomo, apprezzabile da chi lo aveva sposato. Ma Barbara non apprezzava niente di lui e lo diceva a tutti, senza ritegno. Però lui le serviva per puntellare la sua fragilità psichica, l'assenza di una stabilità, che lui accettava, dopo aver pensato di combattere le sue stranezze anche picchiandola. Da tanti anni aveva accettato che in casa comandasse lei, da quando, scoperto che lei lo tradiva anche, aveva avuto un crollo e pensato di andarsene. Poi era rimasto. Per le figlie, ancora piccole, ma non solo, per il suo carattere vile e per un sordido calcolo pratico, come ebbe a dire ad una conoscente. Stancamente aveva considerato che, ad esempio, un suo collega si era separato dalla moglie e per un periodo si era adattato a vivere con un'altra donna. Dopo due anni era finita e si era trovato a dover cercare una casa, ma erano troppo care per il suo reddito, anche a sceglierle nelle zone più economiche.
Lui capì che l'invito doveva avere una motivazione innaturale, perché la conosceva bene. Se in lui, reprimere le reazioni spontanee sostituendole con un fare innaturalmente calmo per mantenere la sua tranquilla infelicità, era la norma, per lei la norma erano delle pulsioni che metteva in atto per reprimere le sue ansie, le quali nascevano dalla sua incapacità di accettare la sua vita così come era. Non le bastava la patologica e incontrollabile mitomania che la spingeva a creare una realtà inesistente, ma appagante per la sua megalomania, ella cercava inesauribilmente di convincere tutti che le bugie che diceva erano verità e, in particolare, quelle che servivano a coprire atti vergognosi che la riguardavano.
Essendo furba, ma non intelligente, Barbara pensava di poter tenere su piani diversi certi aspetti della sua vita. Dunque non le era bastato il patto fatto con Cornelio tanti anni prima, quando lui era rimasto con la lusinga di lei che aveva bisogno di un uomo che curasse gli interessi di famiglia, anche per le figlie: loro bene comune. Con un giro di persone disoneste, fra cui alcuni suoi amanti più o meno fugaci, era entrata in un sistema di bustarelle e di ricatti nell'ambito del suo lavoro, per cui erano iniziati ad entrare molti soldi che con il suo misero stipendio impiegatizio non avrebbe mai visto. Lui si era adattato sordidamente anche a questo. Il denaro, le possibilità che esso dava, erano diventati una compensazione della sua condizione, e lui aveva fatto sua anche la smodata ambizione di lei, arrivando a sentirsi tronfio per ogni minimo successo avessero le sue figlie o i loro mariti. Non una soddisfazione naturale connaturata in ogni genitore, ma di più! Una rivalsa verso il mondo intero consapevole o meno della sua umiliazione esistenziale. Ne scaturiva, in chi conosceva la loro patologia familiare, meraviglia e fastidio per quel pavoneggiarsi di persone socialmente e culturalmente modeste, se non fosse per la sovrastruttura di acquisti che davano conto di larghe possibilità economiche non spiegabili dai loro rispettivi lavori.
Smise il lavoretto che stava eseguendo nell'orto e obbedì alla richiesta di lei, come faceva sempre. Docilmente le chiese dove voleva andare.
"Ma qui, lungo la strada!" Fece lei spazientita. "Dai sbrigati!" L'esortazione di lei gli fece capire quello che già aveva intuito, conoscendola, che dietro c'era un altro scopo che non quello che avesse voglia di fare due passi. Non le chiese nulla e si avviò per cambiarsi le scarpe rientrando in casa.
"Fai presto che dalla torretta ho visto che stava caricando i boccioni!" Lui capì, ma sempre calmo le disse: "Che devi fa' Barbaré? Chi è che carica i boccioni?"
Sapeva benissimo a chi si riferiva: a dei vicini di casa che per abitudine caricavano l'acqua da portarsi nella casa al mare. Nonostante cercasse con pazienza di controllarla era risalita sulla tozza torretta che sovrastava la loro "villa": risultato di pezzi messi insieme un po' per volta dai proprietari precedenti, senza un disegno architettonico di insieme, al quale la megalomania di lei aveva fatto delle aggiunte in un vero patchwork.
Era capitato che, passeggiando con altri vicini che aveva abbindolato per la sua smania di socializzare proiettando su di loro un'immagine di sé inesistente, ma di cui aveva estremo bisogno, fossero passati quelli che avevano la casa al mare, ed ora lei sapeva quale strada percorrevano in quella loro periodica trasferta e voleva incrociarli chissà per quale suo nevrotico disegno.
Poi capì, quando per via lei lo prese per mano.
Da anni non erano più una coppia unita da amore e lei nella sua psicopatologia non ne faceva mistero, parlandone con vicini di casa e conoscenti, trattandolo davanti agli altri come un servo. Lui anche non era normale, giacché accettava piattamente tutto questo. Dunque ora andare a passeggiare tenendosi per mano che senso aveva se non il solito di continuare a vivere una doppia vita di facciata e di deliranti menzogne per gli altri e di miseria fra le mura di casa?
Camminarono a lungo, ma le persone che lei voleva li vedessero così non si vedevano passare. Forse avevano fatto un'altra strada, forse tardavano... Camminavano: senza gioia lui, passivamente prono alla volontà di lei, tesa e compressa nella sua malata rabbia, follemente convinta che bastasse recitare per convincere gli altri di una realtà diversa da quella squallida che vivevano.
In particolare la sua fragile intelligenza si era convinta che, ora che uno dei suoi generi era diventato, per la sua visione megalomane, "una personalità", lei doveva dare un'immagine di sé e del suo matrimonio perfetta!
Nessuno sano di mente avrebbe mai pensato ciò, dopo che per anni aveva umiliato in ogni modo quello straccio di marito che le camminava accanto.
I due, peraltro, si erano resi grottescamente ridicoli recitando parti di persone con lavori importanti con il vicinato e non solo. Esclusi quei pochi di scarsa intelligenza ed altrettanto scarsa aderenza alla realtà visibile a chiunque, forse anche perché persone poco scolarizzate, la credibilità di simili recite era inesistente per i più.
Lei si era lasciata andare alla sua sfrenata mitomania vantando lauree e titoli che la sua ignoranza scolastica svelava essere impossibili. Si era vantata di svolgere una professione altamente specializzata onde spiegare gli introiti che invece le arrivavano tramite le sue tresche truffaldine con persone altrettanto disoneste del suo ufficio. Aveva attribuito titoli accademici anche a Cornelio, poco più che un operaio nel suo vero lavoro prevalentemente manuale, e lui su sua malata insistenza era arrivato anche a recitare vere e proprie scenette per assecondarla. L'infantile copione era sempre predisposto da lei e per sparare assurde vanterie anche uno dei suoi generi si era prestato a fargli da spalla. Non poteva certo parlare da solo e allora, a voce altissima, si era messo in balcone con il genero accanto che fingeva di chiedergli "come era andato il viaggio" e aveva ripetuto un assurdo copione immaginato dalla sua squilibrata compagna di vita: aveva detto di essere un inventore, che la sua invenzione era stata acquistata da una ditta di una città di provincia, che lui aveva raggiunto tale città in auto, aggiungendo particolari per rendere, a suo modo di vedere, la recita più credibile, tipo che "sull'autostrada tirava un vento, un vento"... Ma il pezzo forte del ridicolo l'aveva raggiunto quando, sempre obbedendo al copione preordinato della mente malata ed infantile di lei, disse che arrivato nella città, andati insieme con la moglie presso la ditta, subito avevano preso un aereo per la Germania per fare in loco il brevetto europeo! Una vera ed inutile follia tanto tale copione sarebbe apparso insostenibile anche per un bambino. Invece il genero, che gli faceva da spalla, non gli disse che da quella città non esisteva un aeroporto che avesse voli internazionali, che furono messi in seguito ma purtroppo pochi e non per la Germania... Né gli disse che non bisognava andare in Germania per fare brevetti europei, giacché si facevano presso gli uffici preposti italiani!
Il genero non era malato come la coppia, era solo un opportunista.
Mediocre negli studi, laureatosi tardi e con un basso voto di laurea, non aveva trovato altra strada, restando a pietire dietro un professore all'università, che quella di guadagnare poco o nulla, facendosi schiavo del professore. Unico sistema, vergognoso, imposto a chi vuole fare tale carriera in Italia, se non si è figlio di professore o la sua amante.
Lui si era adattato bene a questa condizione, anche se c'era stato l'infortunio della fidanzata che era rimasta incinta. Le aveva detto subito che non aveva soldi per poterla sposare, ma che era disposto a farlo.
Cornelio e Barbara avevano pagato tutto pur di rimediare alla facciata: e da quel momento avevano anche mantenuto la famiglia della figlia, aiutandoli in ogni modo. Avevano dato loro la casa in città, e mentre lui passava il tempo dietro il professore assecondandolo in tutto e sperando in una sistemazione che tardava ad arrivare, la sua famiglia mangiava a casa dei suoceri. Quello che faceva all'università, dunque, faceva anche in famiglia: assecondava per il suo meschino interesse. Fra alti e bassi Barbara ne veniva ripagata da piccoli successi della zoppicante ascesa nel mondo universitario di questo genero senza grandi qualità, se non quella della perseveranza. Dietro di lei, miseramente, si gonfiava come un tacchino anche Cornelio.
Ora, dopo tanti anni, arrivato all'età di 50 anni nel più assoluto precariato, di contratto in contratto a termine, finalmente il professore gli aveva dato un posto in un ufficio che era di supporto alla Camera dei Deputati. La vicinanza con tale potere mandò in pazzia totale Barbara, che sempre aveva avuto nella sua piccola mente marcia come unici valori "le raccomandazioni", "lo scambio di favori", "la "corruzione", uniche leve, per lei, per farsi largo nella vita. Oltre queste, naturalmente, c'erano quelle usate da suo genero: servire obbedendo, attendere nella precarietà di un contratto che scadeva senza sapere se ce ne sarebbe stato un altro e quando, e così arrivare ad un'età matura.
Come aveva conseguito la laurea in ritardo e con un basso voto, così i posti dove il professore di volta in volta lo metteva erano decisi e favoriti da lui, egli non aveva mai affrontato un duro concorso vincendolo da solo per la sua qualità e preparazione. Era uno strumento nelle mani del professore. L'importante era essere "diventato importante".
In realtà il posto "importante" ora raggiunto lo era solo per la retribuzione, continuando egli a servire il suo professore come aveva sempre fatto. Quello che Barbara non sapeva era che l'ennesimo contratto era solo per tre anni, rinnovabile una sola volta per altri tre. Arrivato alla soglie dei sessanta anni avrebbe dovuto sperare solo di nuovo nel suo padrino o trovarsene un altro: stando vicino alle stanze del potere era possibile!
Per questa nuova "importante" posizione di suo genero ella aveva deciso di dare una ripulitura all'immagine della sua famiglia. Dunque, quei vicini che dovevano passare in auto, dovevano vederla mano nella mano con Cornelio come due innamoratini di Peynet! Da un po' di tempo aveva cominciato a chiamarlo con aggettivi vezzeggiativi, tipo "stellino" e altri che avevano avuto come unico risultato di suscitare il riso in chi conosceva i loro trascorsi.
Finalmente, ormai stremati dalla passeggiata mano nella mano, e mentre stavano ritornando indietro, i vicini da cui voleva farsi vedere in questa rinnovata idilliaca veste passarono in auto.
La donna li guardò piena di meraviglia e subito un sorriso ironico le affiorò alle labbra. Barbara guardò di sbieco il marito che guidava e che rimase imperturbabile.
Ella sapeva, interrogando ossessivamente, come solo lei sapeva fare, una ex-amica a cui aveva sottratto il marito, che quell'amica si era confidata e sfogata al telefono proprio con quel vicino, confidando la sua umiliazione di cornuta preoccupata, a dire il vero, più di perdere i soldi che il marito possedeva piuttosto che il marito stesso, un vecchio sporcaccione che l'aveva già abbondantemente tradita in passato. La mente sciocca e malata di Barbara temeva che il suo vicinato sapesse quel segreto di Pulcinella, in quanto aveva agganciato quella traballante coppia, che in fondo viveva come lei e Cornelio solo per la facciata, proprio tramite il loro figlio che frequentava la casa di quei vicini, essendo amico dei loro figli. La sua mente malata si era accesa apprendendo che il padre di quel giovane era un uomo ricco. Aveva fatto di tutto per agganciarlo sotto gli occhi falsamente indifferenti di Cornelio, umiliato e silente, giacché lei gli ricordava ad ogni piè sospinto che in quella casa tutto era suo e lui era solo un tollerato ospite.
Di fronte a tali squallide manovre i vicini, già abbastanza schifati, presero le distanze definitivamente per non essere coinvolti, data l'amicizia dei loro figli con il figlio del viscido ricco fedifrago.
Dunque come non pensare che tali manovre fossero palesi e come non prevedere che il giovane figlio di quella coppia, che lei aveva agganciato sommergendola di inviti e offerte di favori, non ne parlasse con i suoi amici, come era puntualmente avvenuto?
La donna in auto si girò verso suo marito che guidava impassibile e gli disse: "Hai visto? Era la pazza." La chiamavano così, senza offesa dato che lo era veramente.
"Ho visto." Rispose lui continuando nella sua impassibilità a guidare.
"Mano nella mano..." Aggiunse lei ironica.
"E ti meravigli?" Rispose lui indifferente.
Lui capì che l'invito doveva avere una motivazione innaturale, perché la conosceva bene. Se in lui, reprimere le reazioni spontanee sostituendole con un fare innaturalmente calmo per mantenere la sua tranquilla infelicità, era la norma, per lei la norma erano delle pulsioni che metteva in atto per reprimere le sue ansie, le quali nascevano dalla sua incapacità di accettare la sua vita così come era. Non le bastava la patologica e incontrollabile mitomania che la spingeva a creare una realtà inesistente, ma appagante per la sua megalomania, ella cercava inesauribilmente di convincere tutti che le bugie che diceva erano verità e, in particolare, quelle che servivano a coprire atti vergognosi che la riguardavano.
Essendo furba, ma non intelligente, Barbara pensava di poter tenere su piani diversi certi aspetti della sua vita. Dunque non le era bastato il patto fatto con Cornelio tanti anni prima, quando lui era rimasto con la lusinga di lei che aveva bisogno di un uomo che curasse gli interessi di famiglia, anche per le figlie: loro bene comune. Con un giro di persone disoneste, fra cui alcuni suoi amanti più o meno fugaci, era entrata in un sistema di bustarelle e di ricatti nell'ambito del suo lavoro, per cui erano iniziati ad entrare molti soldi che con il suo misero stipendio impiegatizio non avrebbe mai visto. Lui si era adattato sordidamente anche a questo. Il denaro, le possibilità che esso dava, erano diventati una compensazione della sua condizione, e lui aveva fatto sua anche la smodata ambizione di lei, arrivando a sentirsi tronfio per ogni minimo successo avessero le sue figlie o i loro mariti. Non una soddisfazione naturale connaturata in ogni genitore, ma di più! Una rivalsa verso il mondo intero consapevole o meno della sua umiliazione esistenziale. Ne scaturiva, in chi conosceva la loro patologia familiare, meraviglia e fastidio per quel pavoneggiarsi di persone socialmente e culturalmente modeste, se non fosse per la sovrastruttura di acquisti che davano conto di larghe possibilità economiche non spiegabili dai loro rispettivi lavori.
Smise il lavoretto che stava eseguendo nell'orto e obbedì alla richiesta di lei, come faceva sempre. Docilmente le chiese dove voleva andare.
"Ma qui, lungo la strada!" Fece lei spazientita. "Dai sbrigati!" L'esortazione di lei gli fece capire quello che già aveva intuito, conoscendola, che dietro c'era un altro scopo che non quello che avesse voglia di fare due passi. Non le chiese nulla e si avviò per cambiarsi le scarpe rientrando in casa.
"Fai presto che dalla torretta ho visto che stava caricando i boccioni!" Lui capì, ma sempre calmo le disse: "Che devi fa' Barbaré? Chi è che carica i boccioni?"
Sapeva benissimo a chi si riferiva: a dei vicini di casa che per abitudine caricavano l'acqua da portarsi nella casa al mare. Nonostante cercasse con pazienza di controllarla era risalita sulla tozza torretta che sovrastava la loro "villa": risultato di pezzi messi insieme un po' per volta dai proprietari precedenti, senza un disegno architettonico di insieme, al quale la megalomania di lei aveva fatto delle aggiunte in un vero patchwork.
Era capitato che, passeggiando con altri vicini che aveva abbindolato per la sua smania di socializzare proiettando su di loro un'immagine di sé inesistente, ma di cui aveva estremo bisogno, fossero passati quelli che avevano la casa al mare, ed ora lei sapeva quale strada percorrevano in quella loro periodica trasferta e voleva incrociarli chissà per quale suo nevrotico disegno.
Poi capì, quando per via lei lo prese per mano.
Da anni non erano più una coppia unita da amore e lei nella sua psicopatologia non ne faceva mistero, parlandone con vicini di casa e conoscenti, trattandolo davanti agli altri come un servo. Lui anche non era normale, giacché accettava piattamente tutto questo. Dunque ora andare a passeggiare tenendosi per mano che senso aveva se non il solito di continuare a vivere una doppia vita di facciata e di deliranti menzogne per gli altri e di miseria fra le mura di casa?
Camminarono a lungo, ma le persone che lei voleva li vedessero così non si vedevano passare. Forse avevano fatto un'altra strada, forse tardavano... Camminavano: senza gioia lui, passivamente prono alla volontà di lei, tesa e compressa nella sua malata rabbia, follemente convinta che bastasse recitare per convincere gli altri di una realtà diversa da quella squallida che vivevano.
In particolare la sua fragile intelligenza si era convinta che, ora che uno dei suoi generi era diventato, per la sua visione megalomane, "una personalità", lei doveva dare un'immagine di sé e del suo matrimonio perfetta!
Nessuno sano di mente avrebbe mai pensato ciò, dopo che per anni aveva umiliato in ogni modo quello straccio di marito che le camminava accanto.
I due, peraltro, si erano resi grottescamente ridicoli recitando parti di persone con lavori importanti con il vicinato e non solo. Esclusi quei pochi di scarsa intelligenza ed altrettanto scarsa aderenza alla realtà visibile a chiunque, forse anche perché persone poco scolarizzate, la credibilità di simili recite era inesistente per i più.
Lei si era lasciata andare alla sua sfrenata mitomania vantando lauree e titoli che la sua ignoranza scolastica svelava essere impossibili. Si era vantata di svolgere una professione altamente specializzata onde spiegare gli introiti che invece le arrivavano tramite le sue tresche truffaldine con persone altrettanto disoneste del suo ufficio. Aveva attribuito titoli accademici anche a Cornelio, poco più che un operaio nel suo vero lavoro prevalentemente manuale, e lui su sua malata insistenza era arrivato anche a recitare vere e proprie scenette per assecondarla. L'infantile copione era sempre predisposto da lei e per sparare assurde vanterie anche uno dei suoi generi si era prestato a fargli da spalla. Non poteva certo parlare da solo e allora, a voce altissima, si era messo in balcone con il genero accanto che fingeva di chiedergli "come era andato il viaggio" e aveva ripetuto un assurdo copione immaginato dalla sua squilibrata compagna di vita: aveva detto di essere un inventore, che la sua invenzione era stata acquistata da una ditta di una città di provincia, che lui aveva raggiunto tale città in auto, aggiungendo particolari per rendere, a suo modo di vedere, la recita più credibile, tipo che "sull'autostrada tirava un vento, un vento"... Ma il pezzo forte del ridicolo l'aveva raggiunto quando, sempre obbedendo al copione preordinato della mente malata ed infantile di lei, disse che arrivato nella città, andati insieme con la moglie presso la ditta, subito avevano preso un aereo per la Germania per fare in loco il brevetto europeo! Una vera ed inutile follia tanto tale copione sarebbe apparso insostenibile anche per un bambino. Invece il genero, che gli faceva da spalla, non gli disse che da quella città non esisteva un aeroporto che avesse voli internazionali, che furono messi in seguito ma purtroppo pochi e non per la Germania... Né gli disse che non bisognava andare in Germania per fare brevetti europei, giacché si facevano presso gli uffici preposti italiani!
Il genero non era malato come la coppia, era solo un opportunista.
Mediocre negli studi, laureatosi tardi e con un basso voto di laurea, non aveva trovato altra strada, restando a pietire dietro un professore all'università, che quella di guadagnare poco o nulla, facendosi schiavo del professore. Unico sistema, vergognoso, imposto a chi vuole fare tale carriera in Italia, se non si è figlio di professore o la sua amante.
Lui si era adattato bene a questa condizione, anche se c'era stato l'infortunio della fidanzata che era rimasta incinta. Le aveva detto subito che non aveva soldi per poterla sposare, ma che era disposto a farlo.
Cornelio e Barbara avevano pagato tutto pur di rimediare alla facciata: e da quel momento avevano anche mantenuto la famiglia della figlia, aiutandoli in ogni modo. Avevano dato loro la casa in città, e mentre lui passava il tempo dietro il professore assecondandolo in tutto e sperando in una sistemazione che tardava ad arrivare, la sua famiglia mangiava a casa dei suoceri. Quello che faceva all'università, dunque, faceva anche in famiglia: assecondava per il suo meschino interesse. Fra alti e bassi Barbara ne veniva ripagata da piccoli successi della zoppicante ascesa nel mondo universitario di questo genero senza grandi qualità, se non quella della perseveranza. Dietro di lei, miseramente, si gonfiava come un tacchino anche Cornelio.
Ora, dopo tanti anni, arrivato all'età di 50 anni nel più assoluto precariato, di contratto in contratto a termine, finalmente il professore gli aveva dato un posto in un ufficio che era di supporto alla Camera dei Deputati. La vicinanza con tale potere mandò in pazzia totale Barbara, che sempre aveva avuto nella sua piccola mente marcia come unici valori "le raccomandazioni", "lo scambio di favori", "la "corruzione", uniche leve, per lei, per farsi largo nella vita. Oltre queste, naturalmente, c'erano quelle usate da suo genero: servire obbedendo, attendere nella precarietà di un contratto che scadeva senza sapere se ce ne sarebbe stato un altro e quando, e così arrivare ad un'età matura.
Come aveva conseguito la laurea in ritardo e con un basso voto, così i posti dove il professore di volta in volta lo metteva erano decisi e favoriti da lui, egli non aveva mai affrontato un duro concorso vincendolo da solo per la sua qualità e preparazione. Era uno strumento nelle mani del professore. L'importante era essere "diventato importante".
In realtà il posto "importante" ora raggiunto lo era solo per la retribuzione, continuando egli a servire il suo professore come aveva sempre fatto. Quello che Barbara non sapeva era che l'ennesimo contratto era solo per tre anni, rinnovabile una sola volta per altri tre. Arrivato alla soglie dei sessanta anni avrebbe dovuto sperare solo di nuovo nel suo padrino o trovarsene un altro: stando vicino alle stanze del potere era possibile!
Per questa nuova "importante" posizione di suo genero ella aveva deciso di dare una ripulitura all'immagine della sua famiglia. Dunque, quei vicini che dovevano passare in auto, dovevano vederla mano nella mano con Cornelio come due innamoratini di Peynet! Da un po' di tempo aveva cominciato a chiamarlo con aggettivi vezzeggiativi, tipo "stellino" e altri che avevano avuto come unico risultato di suscitare il riso in chi conosceva i loro trascorsi.
Finalmente, ormai stremati dalla passeggiata mano nella mano, e mentre stavano ritornando indietro, i vicini da cui voleva farsi vedere in questa rinnovata idilliaca veste passarono in auto.
La donna li guardò piena di meraviglia e subito un sorriso ironico le affiorò alle labbra. Barbara guardò di sbieco il marito che guidava e che rimase imperturbabile.
Ella sapeva, interrogando ossessivamente, come solo lei sapeva fare, una ex-amica a cui aveva sottratto il marito, che quell'amica si era confidata e sfogata al telefono proprio con quel vicino, confidando la sua umiliazione di cornuta preoccupata, a dire il vero, più di perdere i soldi che il marito possedeva piuttosto che il marito stesso, un vecchio sporcaccione che l'aveva già abbondantemente tradita in passato. La mente sciocca e malata di Barbara temeva che il suo vicinato sapesse quel segreto di Pulcinella, in quanto aveva agganciato quella traballante coppia, che in fondo viveva come lei e Cornelio solo per la facciata, proprio tramite il loro figlio che frequentava la casa di quei vicini, essendo amico dei loro figli. La sua mente malata si era accesa apprendendo che il padre di quel giovane era un uomo ricco. Aveva fatto di tutto per agganciarlo sotto gli occhi falsamente indifferenti di Cornelio, umiliato e silente, giacché lei gli ricordava ad ogni piè sospinto che in quella casa tutto era suo e lui era solo un tollerato ospite.
Di fronte a tali squallide manovre i vicini, già abbastanza schifati, presero le distanze definitivamente per non essere coinvolti, data l'amicizia dei loro figli con il figlio del viscido ricco fedifrago.
Dunque come non pensare che tali manovre fossero palesi e come non prevedere che il giovane figlio di quella coppia, che lei aveva agganciato sommergendola di inviti e offerte di favori, non ne parlasse con i suoi amici, come era puntualmente avvenuto?
La donna in auto si girò verso suo marito che guidava impassibile e gli disse: "Hai visto? Era la pazza." La chiamavano così, senza offesa dato che lo era veramente.
"Ho visto." Rispose lui continuando nella sua impassibilità a guidare.
"Mano nella mano..." Aggiunse lei ironica.
"E ti meravigli?" Rispose lui indifferente.
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