Rifiuti, il processo Cerroni diventa “soap”. “La verità sul Supremo e il clan”
“Il Supremo l'ho inventato io. Acea e Ama: i nomi degli amici che hanno fatto carriera”
di Valentina Renzopaoli
Il processo sulla gestione dei rifiuti nel Lazio e al “supremo” Cerroni si trasforma in una soap opera: entra in scena la vedova di Arcangelo Spagnoli, considerato dalla Procura di Roma figura chiave del “sistema Cerroni”, e a piazzale Clodio si accende lo show. La signora Debora Tavilla, è un fiume in piena.
CERRONI: Proprietario della discarica di rifiuti "Malagrotta" che per anni, nonostante le normative europee, ha continuato a funzionare e ad arricchirlo grazie al Comune di Roma che non ha trovato altre soluzioni.
Sentita come testimone “de relata” del pm Alberto Galanti, parla per due ore di fila, inondando la Corte con uno tzunami di informazioni, commenti, rumors, gossip, malcelato rancore e confessioni personali. Alla fine l'esame del teste assomiglia più che altro ad una seduta di psicoterapia che alterna momenti di grande melodramma.
Interrogata dal pm, Debora Tavilla (dipendente di Acea e Acea Ato 2 dal 1999 al 2010 e licenziata dopo una causa contro l'azienda) ha ripercorso le tappe della vita privata e professionale del marito, Arcangelo Spagnoli, dirigente pubblico che ha a lungo rivestito la carica di Responsabile Unico del Procedimento in seno all’Ufficio del Commissario Straordinario per l’Emergenza Ambientale della Regione Lazio.
Una posizione conquistata dopo una carriera politica, prima nell'ambito del Partito Socialista, poi come consigliere capitolino, poi come funzionario regionale, capace di rimanere in contatto con personaggi noti della politica romana. “Tutto quello che ha fatto non lo ha fatto da solo”, ha sentenziato la signora parlando “affettuosamente” del marito, da cui si era separata nel 2009, dopo aver scoperto che lui aveva acquistato un appartamento in via dell'Aeronautica all'Eur, senza dirle nulla.
Una capacità, quella di tessere rapporti, che aveva consentito a Spagnoli di conoscere e stringere amicizia anche con l'illustre Manlio Cerroni, anzi con il “Supremo”, “titolo” entrato ormai nel gergo comune degli affari romani, che sarebbe stata proprio lei a coniare. “Mio marito mi parlava di Cerroni con immensa stima, come di una persona molto in gamba che stava salvando Roma. Ed era orgoglioso di aver guadagnato, a sua volta, la sua stima”, racconta il teste. “Conoscere Cerroni era considerato un grande privilegio e così mi venne in mente il soprannome “Il Supremo”, che poi iniziarono ad usare tutti”.
Una posizione conquistata dopo una carriera politica, prima nell'ambito del Partito Socialista, poi come consigliere capitolino, poi come funzionario regionale, capace di rimanere in contatto con personaggi noti della politica romana. “Tutto quello che ha fatto non lo ha fatto da solo”, ha sentenziato la signora parlando “affettuosamente” del marito, da cui si era separata nel 2009, dopo aver scoperto che lui aveva acquistato un appartamento in via dell'Aeronautica all'Eur, senza dirle nulla.
Una capacità, quella di tessere rapporti, che aveva consentito a Spagnoli di conoscere e stringere amicizia anche con l'illustre Manlio Cerroni, anzi con il “Supremo”, “titolo” entrato ormai nel gergo comune degli affari romani, che sarebbe stata proprio lei a coniare. “Mio marito mi parlava di Cerroni con immensa stima, come di una persona molto in gamba che stava salvando Roma. Ed era orgoglioso di aver guadagnato, a sua volta, la sua stima”, racconta il teste. “Conoscere Cerroni era considerato un grande privilegio e così mi venne in mente il soprannome “Il Supremo”, che poi iniziarono ad usare tutti”.
Stando a quanto racconta la signora, Spagnoli e Cerroni si sarebbero conosciuti tra il 2006 e il 2007, quindi durante la gestione del Commissario Delegato ai rifiuti della Regione Lazio. In quel periodo Ama, Acea e il gruppo Colari stavano lavorando per creare il Consorzio Co.E.Ma che avrebbe dovuto realizzare e gestire un impianto di termovalorizzazione su un terreno della Pontina Ambiente. “Mio marito lavorava tantissimo, aveva un vero e proprio furore per il lavoro e spesso litigavamo per questo. Sperava in un incarico importante nel Coema. Mi disse che Cerroni, l'Ad di Acea Andrea Mangoni e il presidente di Acea Ato 2 Biagio Eramo gli avevano promesso un ruolo importante a livello dirigenziale, perché era considerato un grandissimo esperto di rifiuti, diceva lui”.
Ma la signora, che ha un contenzioso mai sopito con Acea per una sua storia personale professionale, è un'onda inarrestabile e la deposizione è l'occasione succulenta per togliersi pur qualche sassolino dalla scarpa: “Cerroni era ritenuto un personaggio importante e conosco gente che ha fatto una grande e fulminea carriera in Acea e Acea Ato 2 solo perché era amico di Cerroni o amico di amici o perché veniva da Pisoniano anche se non sapeva mettere in fila due parole”.
“Di chi sta parlando? Faccia i nomi” gli chiede il pubblico ministero. E lei, snocciola nomi e cognomi: “Per esempio Enzo Aureli, era entrato come operaio in un depuratore, per carità un grande lavoratore, ma non si sa come in pochi anni è diventato dirigente. Certo non posso dimostrare che Cerroni lo abbia personalmente raccomandato ma ho fatto due più due”, dice.
E nello tzunami Tavilla ci finisce pure il figlio di un nome illustre. Dice la Tavilla: “... E poi Camillo Toro, il figlio incompetente del procuratore capo di Roma Achille Toro. Era un mio collega, lui ha pure patteggiato una condanna a sei mesi per rilevazione del segreto d'ufficio ma continua a lavorare in Acea... mentre io sono fuori, con il curriculum che mi ritrovo, pieno di esperienza e master”.
E tra rivelazioni e rivendicazioni c'è ampio spazio anche per l'aneddotica spinta: “Lavorando nello staff della comunicazione di Acea ho avuto modo di vedere parecchie volte Cerroni arrivare in sede. Aveva il suo budge personale senza nominativo che gli aveva procurato la segretaria di Mangoni. Poi andava in riunione nella stanza di Eramo e le segreterie tiravano fuori le tazzine del servizio buono di ceramiche perché lui non gradiva il bicchiere di plastica. E tutti i cellulari rimanevano fuori dalla stanza. In realtà questa era una consuetudine in Acea. Chi entrava nell'ufficio di Eramo doveva lasciare il telefonino fuori”, conclude.
Debora Tavilla è la terzultima teste della lista pubblico ministero, a due anni e mezzo dall'inizio del processo immediato e a tre esatti dal blitz che portò in carcere Manlio Cerroni e i suoi “sodali” accusati di associazione a delinquere. La testimonianza del 5 gennaio 2017 è stata la prima volta in cui i presenti hanno strabuzzato gli occhi e malcelato i sorrisi.
Ma la signora, che ha un contenzioso mai sopito con Acea per una sua storia personale professionale, è un'onda inarrestabile e la deposizione è l'occasione succulenta per togliersi pur qualche sassolino dalla scarpa: “Cerroni era ritenuto un personaggio importante e conosco gente che ha fatto una grande e fulminea carriera in Acea e Acea Ato 2 solo perché era amico di Cerroni o amico di amici o perché veniva da Pisoniano anche se non sapeva mettere in fila due parole”.
“Di chi sta parlando? Faccia i nomi” gli chiede il pubblico ministero. E lei, snocciola nomi e cognomi: “Per esempio Enzo Aureli, era entrato come operaio in un depuratore, per carità un grande lavoratore, ma non si sa come in pochi anni è diventato dirigente. Certo non posso dimostrare che Cerroni lo abbia personalmente raccomandato ma ho fatto due più due”, dice.
E nello tzunami Tavilla ci finisce pure il figlio di un nome illustre. Dice la Tavilla: “... E poi Camillo Toro, il figlio incompetente del procuratore capo di Roma Achille Toro. Era un mio collega, lui ha pure patteggiato una condanna a sei mesi per rilevazione del segreto d'ufficio ma continua a lavorare in Acea... mentre io sono fuori, con il curriculum che mi ritrovo, pieno di esperienza e master”.
E tra rivelazioni e rivendicazioni c'è ampio spazio anche per l'aneddotica spinta: “Lavorando nello staff della comunicazione di Acea ho avuto modo di vedere parecchie volte Cerroni arrivare in sede. Aveva il suo budge personale senza nominativo che gli aveva procurato la segretaria di Mangoni. Poi andava in riunione nella stanza di Eramo e le segreterie tiravano fuori le tazzine del servizio buono di ceramiche perché lui non gradiva il bicchiere di plastica. E tutti i cellulari rimanevano fuori dalla stanza. In realtà questa era una consuetudine in Acea. Chi entrava nell'ufficio di Eramo doveva lasciare il telefonino fuori”, conclude.
Debora Tavilla è la terzultima teste della lista pubblico ministero, a due anni e mezzo dall'inizio del processo immediato e a tre esatti dal blitz che portò in carcere Manlio Cerroni e i suoi “sodali” accusati di associazione a delinquere. La testimonianza del 5 gennaio 2017 è stata la prima volta in cui i presenti hanno strabuzzato gli occhi e malcelato i sorrisi.
Purtroppo, nonostante la colorita testimonianza di questa signora, c'è ben poco da ridere per i contribuenti Italiani, che scoprono sempre più quanto di poco pulito, poco lineare, ci sia nella gestione degli Apparati pubblici.
Questo processo è penale, naturalmente, ma per le questioni civili Cerroni ed io abbiamo lo stesso avvocato, una simpatica persona che è anche amico di uno dei miei figli.
Ovviamente "Il Supremo" piace a tutti, in quanto elargisce denaro..
Ma fa parte di un sistema che ha fiaccato la resistenza e la fiducia degli Italiani che davvero questa Italia, così ridotta, si possa cambiare.