giovedì 1 giugno 2017

Addio piccola grande Ayse

 Ayse Deniz Karacagil, 24 anni


Nelle foto sorride sempre: è bella, giovane, innocente, coraggiosa: una eroina. Perché è eroico combattere contro l'ingiustizia che tutto corrompe. Lei era pura e combatteva. Purtroppo è morta, ma combattendo con i curdi e contro il Daesh, quindi per una causa giusta. 
Era stata condannata a oltre 100 anni di carcere per le proteste legate a Gezi Park, a Istanbul: nel suo Paese.
E' morta a Raqqa.

La Morte ci coglie dove vuole e come vuole..

Da: Roma Today
Serenella Bini trovata morta: la 71enne cadavere a Fiano Romano

Fiano Romano, Serenella Bini trovata morta vicino all'autostrada

Serenella Bini, sparita lo scorso 22 maggio, è stata ritrovata priva di vita in località Scorano. Sul corpo non sono presenti segni di violenza


Potrebbe interessarti:http://www.romatoday.it/cronaca/serenella-bini-morta.html
Seguici su Facebook:http://www.facebook.com/pages/RomaToday/41916963809
Una notizia triste che ho appreso da "Chi l'ha visto" ieri sera. Mi ha colpito perchè era una bella signora della mia stessa età.
Da quanto ricostruito con il solito rigore, tipico di questa benemerita ed insostituibile trasmissione, l'ultimo contatto telefonico che la signora ha avuto con una sua amica, che l'aveva chiamata al cellulare, era presso la fermata della Metro Cornelia. L'amica ha riferito che l'ha sentita come distratta, le rispondeva come se la sua testa fosse altrove. Dopo di che il silenzio, ella non rispondeva neppure allo squillo del cellulare. Una donna che passava in auto l'ha vista camminare lungo la strada dove non avrebbe dovuto essere e la sera, al buio, l'ha vista un uomo, il quale è stato così civile da tornare indietro, fermarsi e chiederle se aveva bisogno di qualcosa, se voleva telefonare a qualcuno, ma la signora non gli ha risposto e l'ha guardato solo con gli occhi sbarrati. L'uomo, esempio di purtroppo rara civiltà, ha chiamato allora il 112 avvertendo che una signora anziana, forse in difficoltà, camminava da sola al buio sul ciglio della strada, dando indicazione del luogo esatto. Pare che i Carabinieri competenti per territorio gli abbiano risposto che si sarebbero subito recati sul posto e l'uomo si è tranquillizzato. Invece da quel giorno, il 22 maggio, la signora è stata ritrovata solo il 31 e non più in vita. 
Fino a quel giorno Serenella Bini era stata una signora sana ed autonoma, tanto da trasferirsi a Fiano, lasciando la casa di Casal Lumbroso a Roma, per stare vicino alla casa di riposo dove viveva sua madre 98enne. Aveva delle amiche nel quartiere dove aveva vissuto e  ci tornava spesso: anche quel 22 maggio. Stava ritornando a Fiano con i mezzi pubblici facendo un percorso che aveva fatto tante volte. Dunque cosa può esserle accaduto?
Dalle testimonianze raccolte si possono solo fare delle ipotesi che l'autopsia confermerà o smentirà. La mia ipotesi è che la signora abbia avuto un inizio di emorragia cerebrale che le ha creato dei problemi neurologici da spaesamento, dunque ha sbagliato autobus, o è scesa alla fermata sbagliata, e si è messa in cammino senza riuscire neppure a chiedere aiuto. In questa mia ipotesi ci sta il fatto che non rispondeva al cellulare e non ha risposto all'uomo che civilmente si è interessato di una signora anziana che camminava sola al buio sul ciglio di una strada fuori città.
Alla fine l'emorragia si è espansa e la signora è caduta.
Ci fu un episodio che mi colpì, sempre su "Chi l'ha visto": un signore era sparito dopo essere andato a pescare a Fiumicino. Altri pescatori sullo stesso molo riferirono che se ne era andato presto perché aveva un forte mal di testa. Si era allontanato in auto guidando verso casa. Per un anno intero non si trovò né lui né la sua auto: casualmente qualcuno, facendo pulizia nella macchia della tenuta Presidenziale, quasi al limite del confine con la strada che lui avrebbe dovuto percorrere per tornare a casa, trovò l'auto con lui dentro morto. Si ricostruì che l'emorragia in atto, che aveva causato il mal di testa feroce, l'aveva ucciso mentre cercava di tornare a casa, l'auto senza controllo aveva piegato la recinzione che delimitava la tenuta dalla strada e, continuando il suo percorso, si era infilata nella macchia i cui cespugli l'avevano tenuta nascosta alla vista per un anno. Chissà chi avrà ritirato su la rete e i pali che la sostenevano pensando di fare una cosa giusta, senza sapere che quello poteva essere un indizio per chi lo ha cercato disperatamente su e giù lungo il percorso che lui avrebbe dovuto fare sulla strada di ritorno a casa.
Rita Coltellese *** Scrivere: Roberto Straccia e gli altri

Ha ucciso la madre

Da: TGCOM 24

Catania, vedova uccisa al cimitero: arrestato figlio dopo tre anni di indagini

Il movente sarebbe da ricondurre a dissidi familiari. A incastrarlo il suo Dna, trovato sulle tracce biologiche rilevate sul luogo del delitto

Svolta nelle indagini sull'uccisione di Maria Concetta Velardi, 59 anni, uccisa il 7 gennaio del 2014 nel cimitero di Catania, dove si era recata per una visita alla tomba di famiglia: la polizia di Stato ha arrestato il figlio, il 44enne Angelo Fabio Matà, per omicidio aggravato. Il movente sarebbe da ricondurre a dissidi familiari. A incastrarlo il suo Dna, trovato sulle tracce biologiche rilevate sul luogo del delitto.
La donna fu trovata uccisa, con la testa fracassata da un grosso masso di pietra lavica, non distante dalla cappella di famiglia. A denunciare il ritrovamento fu proprio il figlio, sottufficiale della Marina militare, che spostò la grossa pietra, sporcandosi le mani di sangue e chiese aiuto a un custode che ha avvisò la polizia. Agli investigatori disse che intorno alle 17 era andato a prendere un caffé al bar e che quando era tornato aveva trovato la madre senza vita.

Il movente della rapina venne subito escluso, poiché la donna aveva indosso una collana e un suo bracciale fu trovato vicino al masso. Le indagini si indirizzarono così anche sul figlio, che fu indagato assieme ad altre quattro persone, poi uscite dall'inchiesta: due presunti "spasimanti" della vedova e una coppia di romeni che frequentava il cimitero.

Matà, tramite i suoi difensori, aveva esposto la tesi che al delitto avesse partecipato una donna e che ad assassinare la madre fossero stati in due. Aveva per questo chiesto la riesumazione della salma per verifiche su ferite alla schiena della vittima per verificare se fossero state provocate da unghiate. La richiesta è stata però rigettata dal Tribunale.

Ora, dopo tre anni di indagini, gli investigatori ritengono di avere "univoci e concordanti indizi di colpevolezza nei confronti del figlio della vittima".

Dal sito della trasmissione "Chi l'ha visto?"
Catania, 31/5/2017 - Clamorosa svolta nelle indagini sull'omicidio di Maria Concetta Velardi, 59 anni, uccisa il 7 gennaio del 2014 nel cimitero di Catania. Su ordine del gip la polizia ha arrestato il figlio Angelo Fabio Matà per omicidio aggravato. Il suo Dna sulle tracce biologiche rilevate sul luogo del delitto. Il movente sarebbe da ricondurre a dissidi familiari. Secondo la ricostruzione della Polizia di Stato l'omicidio è stato commesso tra le 15:30 e le 15:45 quando il figlio si sarebbe trovato al cimitero, dove testimoni hanno sentito le urla di una lite. Prima tornare e 'scoprire' il corpo della madre, per crearsi un alibi Matà sarebbe passato con l'auto da un meccanico e poi in un bar, portando con sé il cellulare della donna. Sul suo cellulare, passato a una donna per chiamare il 118, ci sarebbe stato del sangue. La Polizia Scientifica di Palermo e Catania ha inoltre accertato che Maria Concetta Velardi avrebbe graffiato il figlio con la mano destra: suo il Dna rilevato sul materiale genetico sotto due unghie della mano destra della vittima. Sangue misto a quello della madre è stato trovato sugli abiti e sullo sportello dell'auto di Matà. Mentre sono stati attribuiti a un trascinamento i segni sul dorso della vedova. Un centinaio di oggetti hanno collocato solo madre e figlio vicino alla cappella di famiglia, così come le due grosse pietre usate per uccidere la donna, del peso di 23 e 18 kg. Tracce di sangue della donna anche sulla portiera posteriore destra dell'auto del figlio.




Essendo fin dall'inizio una spettatrice della trasmissione "Chi l'ha visto" non mi meraviglio più dell'accento sincero con cui gli assassini mentono.
Gli addetti delle Forze dell'Ordine, i magistrati inquirenti, lo sanno bene, ma i cittadini qualsiasi come me possono fare questa scioccante esperienza solo vedendo i filmati in cui gli assassini parlano guardando dritto negli occhi chi li intervista su una persona scomparsa, che si scoprirà poi essere stata uccisa o, come in questo caso, quando già si sa che è stata uccisa ma non si sa ancora da chi. 
Mentono recitando meglio del più abile degli attori, dunque si scopre di quanto sia capace l'essere umano in fatto di menzogna e di finzione, pur di coprire la proprie malefatte.
In questo caso per dire a quest'uomo assassino bisogna aspettare i tre gradi di giudizio, ma certo il suo DNA sotto le unghie della madre, il suo sangue frammisto a quello di lei, e tutte le prove elencate purtroppo non lasciano molti dubbi.
Questa povera, graziosa signora, ha avuto una sfortuna enorme: ha perso il marito presto, ha perso un figlio per un tumore, e l'unico che le era rimasto l'ha uccisa.
Ora solo chi la conosceva può dire se magari era una madre che sbagliava ingerendo nella vita affettiva di suo figlio, ma anche se fosse appartenuta a quel genere di madri, dato che purtroppo ce ne sono tante, è stata sfortunata, perché arrivare ad uccidere è uno scalino sanguinoso che anche i figli più vessati non arrivano a scendere.
Leggendo all'epoca di questa tragica vicenda avevo trovato anomalo che la donna si recasse ogni giorno al cimitero e passasse il suo tempo dentro la tomba in muto colloquio con il marito e il figlio morti. Ma poteva essere spiegabile con il fatto che quel doppio dolore le aveva tolto ogni voglia di vivere e solo lì si sentiva bene, vicino a loro.
Quello che invece ho trovato ancora più anomalo era che il figlio, ormai ultraquarantenne, l'accompagnasse ogni giorno.
Costui è un sottufficiale della Marina Militare, un uomo che si era separato dalla moglie e che era tornato a vivere con la madre. Dunque una persona che aveva fallito la sua unione e che non si era emancipato dal rapporto con la figura materna, e che forse aveva da essa una dipendenza psicologica patologica.
Come tutti i cimiteri di ogni città ci sono sempre mezzi pubblici per raggiungerli, un servizio ovvio e doveroso per i cittadini sprovvisti di patente di guida che vogliono visitare i propri cari scomparsi.
Quest'uomo invece, pur lavorando, ogni giorno accompagnava la madre al cimitero in un ossessivo e triste rito. Ha detto che abitualmente, mentre lei era dentro la cappella, lui andava in un bar dei dintorni a prenderle il caffè che le portava con un bicchierino chiuso da asporto: attenzioni altrettanto esagerate ed anomale.
Sicuramente nel processo verrà esplorata anche la psicologia del profondo di quest'uomo che, a oltre quarantanni, era così dipendente dalla figura di una madre dolente per affetti che non aveva più e che lui sentiva di non riuscire a compensare.
Maria Concetta Velardi la donna uccisa 
Le indagini:
Da: LiveSiciliaCatania.it  

La "messinscena" del figlio 
dopo l'omicidio della madre 

di 

L'omicidio di Maria Concetta Velardi al cimitero: la ricostruzione degli investigatori.

CATANIA - Le tracce del dna di Fabio Matà trovate su due delle unghie della madre Maria Concetta Velardi, uccisa a colpi di pietra il 7 gennaio 2014 al cimitero di Catania, sono una delle prove chiave che hanno portato all'arresto del militare con l'accusa di omicidio. Le indagini della Squadra Mobile sono state meticolose, certosine e articolate. Fondamentali per l'inchiesta gli esami della Polizia Scientifica su una miriade di reperti trovati sulla scena del crimine e anche sulle tracce biologiche rivenute sul vialetto del camposanto di Catania in cui la vedova ha trovato la morte. Per la polizia il figlio della Velardi dopo l'omicidio ha organizzato e strutturato una messinscena tale da costruirsi un alibi. Che però è risultato troppo debole.

TRAMORTITA, TRASCINATA E UCCISA - Gli investigatori della sezione Omicidi della Squadra Mobile trovano Maria Concetta Velardi riversa supina sull'asfalto in una stradina delimitata da alcune cappelle, accanto al capo due grossi massi di pietra lavica. "Si tratta di pietre di 23 e 18 chili", spiega Antonio Salvago, dirigente della Mobile ai cronisti. "Per questo - spiega - abbiamo immediatamente capito che l'assassino doveva essere un uomo di una certa consistenza fisica, che doveva essere capace di caricare questo tipo di peso". Le prime attività tecniche fanno capire ai poliziotti che la vedova era prima stata tramortita con una pietra più piccola e poi trascinata fino al vicolo dove poi le hanno fracassato la testa e il torace. Vano il tentativo della donna di parare i colpi: dall'autopsia è emerso che aveva diverse fratture al braccio con cui, forse d'istinto, si era riparata. Dall'esame del medico legale Giuseppe Ragazzi emerge un altro dato inquietante: Maria Concetta è morta dopo un'agonia di almeno 45 minuti.

L'ORA DEL DECESSO E LA MESSINSCENA DEL FIGLIO.  L'autopsia fissa l'orario del decesso tra le 15.30 e le 15.45. "In quel lasso di tempo abbiamo elementi che provano che Fabio Matà era all'interno del cimitero", spiega ancora Antonio Salvago. E' questo il primo dato che smonta le dichiarazioni dell'arrestato, che appena sentito racconta di essersi allontanato intorno alle 17 per andare al bar a prendere il caffè e dopo il suo ritorno ha fatto la macabra scoperta. Ma i controlli incrociati delle celle dimostrano che il figlio della Velardi non è andato solo al bar, salutando i clienti in maniera "insolita", ma anche dal meccanico. Una stranezza, questa, visto che non vi è mai stata una chiamata all'officina per segnalare magari un guasto all'autovettura. Inoltre Matà si porta dietro il cellulare della madre. "Un altro fatto anomalo, perché lui era solito chiamare spesso la madre quando si trovava al cimitero. E inoltre era solito non lasciarla mai da sola. Caso vuole - afferma il capo della Mobile - che quel giorno si comporta in modo diverso rispetto alle sue abitudini".

LA CHIAMATA AL 118. Non è stato Fabio Matà ad allertare le forze dell'ordine. E nemmeno il custode del cimitero, come era emerso da una prima ricostruzione dell'omicidio. A chiamare il 118 è una signora che usa il telefono di Matà. "C'è una donna riversa piena di sangue", dice la donna mentre in sottofondo si sentono le urla disperate dell'uomo, oggi finito in manette. Il militare, sentito dagli inquirenti, ha raccontato che dopo la telefonata e dopo aver provato a spostare le pietre per rianimare la madre prende la macchina per cercare il custode e chiedere aiuto. Ma all'interno dell'auto non è stata trovata una sola goccia di sangue, ma la donna che ha telefonato per chiedere i soccorsi racconta di un cellulare intriso di sangue. Ancora contraddizioni.

GLI INDIZI E IL DNA. Non solo le pietre sono state analizzate ai laboratori della Scientifica, ma anche le tracce biologiche, i recipienti per innaffiare i fiori, il materiale trovato sulla tomba e anche sulla macchina di Matà. "Sulla portiera posteriore destra abbiamo trovato una piccola macchia di sangue - dice Salvago - dalle analisi della Scientifica è stato scoperto che si tratta di Dna di Matà misto a sostanza ematica della madre". Per gli inquirenti potrebbe essere materiale biologico provocato da un graffio della vittima o da una ferita procuratosi con lo sfregamento delle pietre. "Da tutti i reperti analizzati sono stati riscontrate tracce di Dna della vittima e del figlio, di nessun altro", spiega Alessandro Drago della Polizia Scientifica. "Su due delle unghie della mano destra della Velardi, infine, abbiamo trovato il dna di Fabio Matà", aggiunge ancora Drago. E, come detto, sarebbe questo uno degli indizi schiaccianti. Quel ciuffetto di capelli trovato sulle mani della vittima? Prova secondo la difesa cruciale per l'inchiesta. I test della scientifica hanno determinato che si trattava dei capelli della stessa vittima. Ma non è il solo indizio che sbaraglia l'intera ricostruzione dei consulenti ingaggiati da Fabio Matà. I graffi sulla schiena della Velardi non sarebbero altro - secondo la Mobile - che i segni del trascinamento del corpo verso il viottolo del camposanto.

LE URLA. Una donna quel pomeriggio ha sentito delle urla. Lo ha raccontato agli inquirenti che per non lasciare aloni nella ricostruzione hanno svolto un'attività di estrema precisione. "Abbiamo analizzato frame dopo frame anche le immagini di video sorveglianza", racconta Montemagno della sezione Omicidi. I poliziotti e la Scientifica sono andati a ritroso, guadando i filmati, per riscontrare i racconti della testimone e verificare se ci fosse compatibilità con l'orario del decesso emerso dall'autopsia. Le attività tecnico-scientifiche hanno portato a un risultato positivo. Per gli inquirenti quindi tra madre e figlio sarebbe scoppiata una lite, degenerata poi nel tragico delitto. A sentire le urla inoltre non è stata solo una donna, ma in totale tre persone.

IL MOVENTE. "Fabio Matà covava del rancore nei confronti della madre perché rappresentava un ostacolo per i suoi progetti di vita personale". Non scende nel dettaglio Antonio Salvago quando spiega ai cronisti il movente che avrebbe portato l'indagato a uccidere Maria Concetta Velardi. "Dissidi personali", aggiunge. Il militare di Maristaeli tra poche settimane si sarebbe sposato con la fidanzata che lo ha affiancato in ogni conferenza stampa e in ogni sopralluogo. Questa mattina i poliziotti sono andati nella casa di San Giovanni Galermo dove viveva con la madre e lo hanno arrestato. Tre anni dopo l'omicidio.