giovedì 3 maggio 2018

I Racconti di una cattivissima vecchia: 7° - Vicini di casa di tanto tempo fa


Vicini di casa di tanto tempo fa

Dai vecchi ci si aspetta saggezza e... bontà.
L'unica bontà che riesco ancora a provare è verso gli innocenti, non solo i bambini che subiscono la follia degli adulti, ma anche gli adulti vittime innocenti di pazzi, disgraziati senza morale ed etica. Dai miei precedenti racconti si è capito che non ho indulgenza per i folli. 
Chi sta così male con la testa da fuggire totalmente la realtà è anch'egli indifeso, gli altri lo disprezzano, lo beffeggiano, quando non gli fanno del male... 
Ma ci sono i pazzi che, pur con le storture delle loro nevrosi e psicosi, mantengono un rapporto sia pur fuorviato con la realtà e sono quelli che creano problemi agli altri. L'aspetto peggiore è come cercano poi di coprire le loro malefatte mentendo cinicamente e cercando di gettare sugli altri le motivazioni dei loro distorti comportamenti.
Nella vasta genìa delle persone perniciose ricadono colleghi di lavoro, vicini di casa, oltre coloro che incrociate per strada guidando l'automobile!
E' inutile dire ipocritamente che il vivere fra esseri umani sia facile e che i rapporti siano tutti zuccherosi!
Se sei già una carogna da giovane non ti accorgerai molto di quanto siano carogne gli altri, dato che le fai e te le aspetti!
Ma se sei una persona perbene ti accorgerai vivendo che se è vero che "chi trova un amico trova un tesoro"  è ancora più vero che chi trova un collega leale e corretto trova un tesoro e chi trova un vicino di casa perbene che rispetti il suo prossimo trova un tesoro!
D'altra parte se esiste un simile proverbio sull'amicizia vuol dire che gli esseri umani non sono tanto bravi e buoni e che trovarne costituisce una rarità!
Un parente di mio padre non molto intelligente, poco scolarizzato ed elementare nei rapporti sociali, mi disse un giorno che "avere dei buoni vicini di casa era una ricchezza"!
Ero giovane e pensai a quelli dei miei genitori. Di solito si trovano buone persone se sei persona semplice, dall'aria indifesa, cosa che fa scattare il bisogno di proteggere e la voglia di aiutare in molta gente. Aiutando chi sente inferiore a sé in qualche cosa la gente si sente importante.
Capitò a mia madre appena urbanizzata: timidissima, fu presa sotto l'ala protettrice della portinaia del palazzo dove abitava in affitto. Gentilissima le indicò dove doveva recarsi per i vari uffici pubblici dandole tutte le informazioni su come muoversi in città, e mantenne verso di lei un'aria di protezione affettuosa che si estendeva anche verso di me bambina piccola. Questa rara persona ho appreso recentemente che ebbe poi un grande dolore: la sua figlia femmina, mia compagna di giochi, diventata adulta faceva l'indossatrice, segno che era diventata molto alta e molto bella, ma si ammalò di leucemia e morì ancor giovane.. La vita è trascorsa senza che io avessi più notizie di quel luogo, di quel palazzo, ma una mia parente aveva mantenuto dei rapporti con quel luogo e, parlando del nostro passato e delle persone conosciute allora, mi ha dato questa triste notizia di fatti avvenuti ormai tanto tempo fa.
Dopo i miei genitori non hanno più avuto la fortuna di buoni vicini di casa, anche se loro erano molto buoni, rispettosi ed accoglienti. Segno che ho ragione a dire che le persone perbene sono una rarità e con il procedere del tempo e del degrado sociale sono diventate sempre più rare.
A dire il vero un paio di famiglie brave capitarono nella casa di fronte alla nostra. Avevamo acquistato un appartamento sul cui pianerottolo si affacciava solo un altro appartamento e negli anni che abitammo lì in quell'appartamento si avvicendarono molte famiglie.
Dapprima c'erano un fratello ed una sorella: scapolo lui, nubile lei. Lui aveva una gamba offesa e lavorava in casa. A volte mi facevano entrare in casa loro e la sorella mi mostrava orgogliosa i lavori di suo fratello: erano attestati, diplomi, certificati, scritti in bei e vari colori, in caratteri che sembravano di stampa, ma lui li realizzava a mano, questa era la sua arte. Doveva aver studiato bella calligrafia, un tempo si usava, e sapeva scrivere in corsivo inglese, gotico ed altri tipi di caratteri calligrafici. Quel lavoro credo fosse il loro unico sostentamento.
Quando diventai più grande, ormai non abitavano più lì, mi chiesi per chi mai redigesse quei diplomi.. Di certo le scuole pubbliche, dovendo rilasciare diplomi tutti uguali, li dovevano ordinare alle tipografie, forse era lo stesso Ministero della Pubblica Istruzione che provvedeva a tale bisogna... Chi mai poteva ordinare al nostro vicino di casa diplomi, attestati ed altro che erano copie uniche, fatte a mano con tanta perizia?! Di certo non poteva trattarsi di attestati, certificati e diplomi che significassero titoli rilasciati legalmente da organismi statali...
Poi arrivò una famiglia molto perbene. La signora Fraschetti aveva due maschi adolescenti e li educava molto bene. Ricordo la sua inflessibilità nell'imporre ad uno di loro, liceale, di andare a scuola, anche se lui diceva di non sentirsi tanto bene: ma la mamma subdorava che si trattasse di una scusa per evitare qualche interrogazione non avendo studiato abbastanza bene. A questi vicini dettero fastidio invece i miei genitori per un loro tremendo litigio che mi spaventò moltissimo e la dolce e ferma signora Fraschetti mi prese in braccio e mi portò in casa sua dove io, tremante, mi vergognai moltissimo dei suoi due educatissimi ragazzi, perché avevo solo una vesticciola da notte che mi lasciava scoperte le gambette di pudicissima bambina. 
Infine, altra perla rara, venne ad abitare in quell'appartamento una famiglia che aveva un chiosco di frutta nell'elegante quartiere della Vittoria. Lui sembrava un gran signore non un fruttivendolo. La mattina usciva prestissimo con un grembiule color carta da zucchero abbottonato sopra i vestiti  e, dovendo lavorare all'aperto, spesso portava un cappello di lana ed una sciarpa. Parlava in perfetto italiano e sorrideva e salutava educatamente. La moglie ugualmente ed era una gran bella signora. Avevano una sola figlia, Sandra, che crescevano come una principessa: ottime scuole ed ottima educazione. Se ne andarono quando acquistarono una casa proprio nella via dell'elegante quartiere della Vittoria dove avevano il chiosco.
Arrivò un'altra coppia di fruttivendoli. Anche loro si alzavano presto, molto presto: all'alba, avendo un banco in un mercato non si sa dove collocato. Questi avevano l'aspetto di gente molto semplice ed elementare, ma quando ci si incontrava sul pianerottolo salutavano rispettosamente. Senonchè un giorno sentimmo un gran trambusto: grida sul pianerottolo. Aprimmo la porta e vedemmo una giovane alta, molto dignitosa, che non rispondeva se non con frasi educate alle urla della fruttivendola, la quale le rovesciava addosso frasi volgari di cui, in particolare, ne ricordo una che mi stupì per la sua trivialità. La giovane cercava di chiudere delle valigie che la fruttivendola le aveva scaraventato sul pianerottolo e che si erano aperte e alla sua frase: "Ma dove le metto le valigie?" Quella le gridò: "Mettitele nella fregna!" Scoprimmo così che i fruttivendoli affittavano una stanza a quella giovane e, per qualche contenzioso che era sopravvenuto fra loro e l'affittuaria, l'avevano cacciata scaraventandole poco urbanamente le valigie in mezzo al pianerottolo.
Le due splendide persone che erano i miei genitori nei riguardi del loro prossimo li indussero a consolare la giovane dall'aria seria e dignitosa e ad offrirsi di tenerle per qualche giorno le valigie nel nostro ingresso, in attesa che lei trovasse un'altra sistemazione. 
Avevo tredici anni ma già non ero come i miei genitori, vedendoli troppo accondiscendenti con il loro prossimo. Forse il seme della cattiveria era già in me.. L'idea di avere il nostro ingresso occupato per giorni da quei fagotti non mi piaceva affatto e lo dimostrai senza infingimenti. Ma ovviamente prevalse la bontà e disponibilità dei miei genitori.
La giovane si recò dai Carabinieri per denunciare i nostri dirimpettai e tornò accompagnata da un Carabiniere. Come andarono i loro contenziosi legali non lo so, ricordo solo che il Carabiniere l'accompagnò poi da noi e io chiesi quanto tempo dovevano stare i bagagli della ragazza nel nostro ingresso. Venne fuori che i due giorni detti approssimativamente erano diventati almeno una settimana. Il Carabiniere, vista la mia contrarietà che contrastava con la dolcezza di mia madre, disse: "Quanti anni ha?" "Tredici." Risposi. Mia madre sorrideva quasi a scusarsi, la ragazza mi guardava in silenzio seria, e il Carabiniere con un sorriso mite guardando mia madre  disse:"Così piccola e già così dura." Non mi offesi. Era la constatazione di un fatto: sapevo di essere proprio così. Inflessibile con me stessa e con gli altri. Amavo l'ordine in tutti i suoi aspetti, a cominciare dai comportamenti umani.
La ragazza venne più volte a prendere delle cose dalle sue valigie e, ammirata dal suo contegno serio e dignitoso, un giorno scambiai con lei qualche frase.
Aveva 19 anni ed era di un paese più a nord: disse il nome.. Glielo feci ripetere perché non l'avevo mai sentito ed aveva un suono non particolarmente accattivante sul piano turistico: suonava come "...gonchio..". Anche il suo nome non era usuale dalle nostre parti: era un nome breve, più da uomo ma al femminile, e il cognome anch'esso non frequente nel centro Italia.
Mi disse che era a Roma per studiare canto e che per pagarsi le lezioni cantava nei locali da ballo e nelle serate. Ma anche la sua mamma l'aiutava. Veniva dal mondo contadino e "La mia mamma ha le galline e si vende le uova per aiutarmi" disse. Nelle valige teneva gli abiti da sera per le serate e una volta venne proprio a prenderne uno perché aveva una serata. Mi disse che prendeva lezioni da un famoso Maestro di musica leggera che lavorava in televisione, disse il nome, e disse che da altre allieve si faceva pagare in natura... Anche se avevo 13 anni capii. "Ma io pago seimila lire l'ora - ci tenne a dire con un certo orgoglio - grazie alla mia mamma che mi manda i soldi e al mio lavoro." Credeva nelle sua capacità vocali e si vedeva dal suo serio impegno. Le chiesi come era la sua voce: pensò un attimo guardando sopra la mia testa, era molto alta, poi rispose: "Fra Mina e Milva."
Quando venne a riprendere definitivamente le sue valigie salutò i miei genitori promettendo di invitarli ad una sua serata per far sentire la sua voce. I miei sorrisero benevolmente e non si offesero quando poi lei non si fece più viva: capirono che era troppo impegnata a costruire con mille problemi il suo avvenire. Io, invece, notai che non aveva mantenuto la promessa: "Avuto il favore arrivederci e grazie!"
Tre anni dopo, ero in casa di una mia amica, e lei mise sul giradischi un 45 giri dicendomi: "Senti che voce questa nuova cantante!" Era una voce bellissima, potente, particolarissima e il ritornello ripeteva: "Come ti vorrei, vorrei, vorrei..." 
Sulla copertina del disco c'era la foto di questa nuova cantante: bella, truccata e pettinata in modo raffinato. Non ricordai subito il suo nome scritto sulla copertina, perché non misi immediatamente in relazione quella giovane raffinata con il viso acqua e sapone della seria ragazza che aveva lasciato le sue valigie in casa mia tre anni prima: i capelli castano chiari di quella ragazza erano pettinati con la "banana" sulla nuca fermati da mollette, il viso senza un filo di trucco, l'abito di una foggia semplice, di una stoffa che andava molto in quel momento, colore verde militare a quadri. Questa della copertina aveva i capelli corti e vaporosi acconciati in una pettinatura alla moda e resi di un bel colore castano fulvo, ben diverso dal colore smorto naturale.. Il trucco, non pesante, valorizzava la bella bocca e i grandi occhi... La riconobbi dal naso: un naso importante... e ricordai il nome. Aveva avuto il successo che meritava, sia per la sua serietà, sacrificio ed impegno, sia per la sua splendida voce.
Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale, essendo il racconto frutto della fantasia della scrittrice Rita Coltellese.