Pubblico per la prima volta su questo Blog una Novella che fa parte della Raccolta "Mostri e Ritratti" pubblicata da Universitalia - Roma.
La pubblico perché c'è chi parla di un'Italia cambiata, diventata razzista: in realtà qualcuno, culturalmente e intellettivamente debole, può esserlo diventato per l'imposizione voluta, purtroppo, dai partiti che si definiscono di sinistra di accettare masse di persone provenienti dal continente africano con scuse tipo "ci pagheranno le pensioni", ma il lavoro non c'è e intanto dobbiamo pagare loro tutto, "fuggono da guerre", e si scopre che nei Paesi di provenienza non c'è alcuna guerra ecc. ecc..
Personalmente non ho mai avuto percezione che una persona fosse diversa da me per il colore della pelle: forse perché già a 5 anni giocavo con una amichetta dalla pelle nera..
Però posso testimoniare che già negli anni fra il 1975 e il 1979 gente, per me mentalmente rozza, si girava a guardare una persona di pelle nera come se fosse un fenomeno da baraccone e ne do testimonianza con l'episodio finale di questa novella in cui il razzismo, verso chi non è omologato all'ambiente in cui si trova a vivere, la percorre tutta: il colore della pelle è una scusa in più.
Gente per bene, brava gente
"Ma dove siamo qui?" Chiese lei, guardando fuori dal finestrino della macchina i palazzoni sempre più fitti ed il verde sempre più raro.
"Dopo il Verano, sulla via Tiburtina." Spiegò lui.
"Ma lo sai che in tanti anni non sono mai venuta in questa zona della città? Molti anni fa devo esserci passata in pullman, ma qui c'erano tutti prati, la città finiva al Verano."
Lui fermò la macchina davanti ad un palazzone a "cortina" rossa con i balconi bianchi.
"Non è brutto, no?" Disse lui guardandola. Voleva essere rassicurato: in fondo non avevano scelta con i pochi soldi che avevano. Una donna dell'ufficio vendite li accompagnò nella visita al palazzo di recentissima costruzione.
"Certo quello al secondo piano è più bello, ma costa settecentomila lire di più!" Disse lei scendendo le scale, mentre la donna dell'ufficio vendite li precedeva distanziandoli. "Ma sì, in fondo il primo piano è meglio per i bambini, meno pericoloso per via dei balconi." Si convinse. Era una che si accontentava.
In macchina, dopo aver preso gli accordi per firmare il compromesso, continuarono le loro riflessioni: "Certo il quartiere è brutto, la zona anche, ma la casa è ben rifinita, grande abbastanza per tutti noi......" Disse lei. "E poi, tesoro, non potevamo che permettercela qui. E' quanto di meglio abbiamo trovato per quella cifra, sia come rifiniture, sia come grandezza." Concluse lui con spirito pratico. Alla fine erano contenti.
*****
Si trasferirono nella nuova casa in marzo. Con pazienza, a poco a poco, aprirono tutte le scatole e misero a posto tutte le loro cose. Non fu facile: lei aveva tre bimbi dall'uno ai cinque anni, e non potevano essere di aiuto; lui aveva vari impegni per guadagnare a sufficienza per tutti, ma si faceva in quattro per sistemare "stop", per appendere "pensili" ed armadietti, ammennicoli vari per i bagni ed altro.
Con loro era venuta a vivere da poco, causa la morte del marito, la vecchia madre di lei. La povera donna soffriva di disturbi di natura psichica da moltissimi anni, non gravissimi, ma tali da renderle la vita non felice e difficile, a volte, anche per chi le viveva accanto. Era, comunque, una donna tranquilla, silenziosa, persa dietro suoi pensieri tormentosi che trasparivano in borbottii solitari. La giovane figlia si irritava per questo e per altro: avrebbe voluto la madre più efficiente nel darle una mano. L'anziana donna a volte ci riusciva, a volte non faceva le cose come sua figlia, che peraltro era un tipo perfezionista e pignolo, voleva, a volte, infine, pensava proprio ad altro e non a ciò che sarebbe stato opportuno fare.
Il palazzo non era abitato che in parte. Molti appartamenti dovevano essere ancora venduti. L'appartamento di fronte a quello dei due giovani era già abitato: quando la giovane donna usciva vedeva la porta di fronte schiudersi appena, allora si voltava per salutare il vicino e fare la sua conoscenza, ma dallo spiraglio buio non si affacciava nessuno. Il pianerottolo del primo piano era male illuminato e, l'ignoto scrutatore, aveva la luce spenta all'interno dell'appartamento, così non si vedeva proprio chi ci fosse al di là.
"Che strano comportamento!" Pensò la giovane.
Usciva sempre insieme ai suoi tre bambini, ordinatissimi, pulitissimi ed anche vestiti con un pò di civetteria di madre: i due maschietti, uno biondo di un anno ed uno bruno di tre, curatissimi e la femminuccia più grandicella sempre vestita con graziosi abitini dai colori ben abbinati alle scarpe. Non potevano spendere molto, ma la giovane mammina sapeva spendere bene: sceglieva l'epoca dei saldi e conosceva certi negozietti dove si poteva risparmiare.
Anche lei era curata nel vestire e, dato che era anche molto carina e dotata di una naturale eleganza, valorizzava ciò che indossava facendolo apparire di pregio anche se non lo era.
La madre di lei era sempre stata sciatta ma, da quando era tornata a vivere con la figlia, questa le stava addosso, come aveva fatto per tutta la sua adolescenza, prima di sposarsi giovanissima, e le imponeva di curare la sua persona. L'anziana donna era di buona indole e le obbediva.
"Sai - disse un giorno la giovane al marito - ho scoperto che qui vicino c'è un negozio che vende colori ad olio e li ho comperati."
Disegnava e dipingeva da sempre, lo sentiva come un insopprimibile impulso, ma con la cura della famiglia aveva dovuto trascurarlo.
"Ne sono felice tesoro, - disse lui - sai che ho sempre desiderato che tu coltivassi te stessa. Anzi, che ne pensi di riprendere i tuoi studi di medicina?"
Prima della morte del padre la ragazza, organizzandosi, era riuscita ad iscriversi all'Università e a dare esami in un corso di laurea impegnativo come quello di medicina. Il marito l'aveva incoraggiata: "La tua intelligenza non deve essere sacrificata alla famiglia, i figli cresceranno, tu ci metterai di più perché hai loro da seguire, ma quando saranno grandi avrai una tua professione da svolgere."
Con la morte del padre, oltre ad un immenso dolore, erano piombati sulle spalle della povera ragazza molti altri doveri ed obblighi, oltre quelli che già aveva. Le poche proprietà di suo padre doveva gestirle lei, dato che sua madre non ne era in grado, e così doveva anche occuparsi dei documenti della successione e della reversibilità della pensione....e di sua madre, naturalmente. La povera donna, a causa della sua malattia, aveva sbalzi di umore e di opinione: non era capace di fare nulla, di decidere nulla, alla figlia, che l'interrogava su qualcosa, diceva: "Fai tu." Poi la criticava, insinuando chissà quali cattive intenzioni ella potesse avere, e questo irritava profondamente la ragazza, la quale, pur sapendo che in sua madre parlava la malattia, oberata dalle cose da fare e da pensare, senza più tempo per sé stessa, pur operando al meglio nell'interesse di tutti, sentiva non riconosciuto il suo sacrificio.
L'affettuoso stimolo del marito, anche se lei ne conosceva il sentimento, finiva per irritarla, in quanto ne riconosceva la giustezza, ma le era impossibile realizzarlo perché cozzava contro un mare di difficoltà quotidiane. Alle cose da fare, infatti, si aggiungevano le stranezze di sua madre, che lei ben conosceva, ma che aveva sperato di arginare integrandola nella sua famiglia. Purtroppo nemmeno l'affetto per i nipotini era una cura per la smania che abitava nella povera donna. La giovane mammina aveva davvero un difficile "ménage" da gestire.
Non aveva mai tempo per fermarsi a scambiare due chiacchiere sul portone di casa come facevano alcune persone, a dire il vero sempre le stesse, perché andava sempre di fretta, avendo molto da fare: infatti aveva sulle sue fragili spalle la gestione di una famiglia di sei persone!
Nel palazzo era stata già notata: prima di tutto perché era molto carina e fine, poi per i tre bimbi che suscitavano la curiosità di chi, evidentemente, non aveva altro da pensare!
"Ma sono i fratellini?" - Chiedeva qualcuno al portiere. Ed avuta la risposta che si trattava, invece, della madre, il commento era quasi sempre: "Ma come si è sposata giovane!"
Nel negozio di colori e cornici dove era andata ad acquistare il materiale per dipingere, una donna sconosciuta le aveva detto sorridendo: "Io la conosco!"
"Davvero?" Aveva risposto con un sorriso la ragazza: "E come mai?"
"Io abito nel suo stesso palazzo - disse la donna, una graziosa signora sui quarantacinque anni - e la vedo passare dalla finestra della mia cucina che dà sul cortile, con questi bambini così ben tenuti! E poi lei è così giovane! Complimenti signora!"
La giovane arrossì di piacere, ringraziò per i complimenti e si schermì: "Non sono giovane come sembro, comunque, ho venticinque anni."
"Ne dimostra meno, - disse con sincerità la signora - comunque, cosa sono venticinque anni?!" Concluse con un'espressione di rimpianto.
Fu un incontro piacevole e da allora si salutarono sempre incontrandosi, anche semplicemente con un sorriso ed un cenno cortese.....fino a quando non cominciò a diffondersi una certa acrimonia contro la mammina troppo perfetta.....allora, anche la signora, contagiata dalle chiacchiere, assunse un'aria dimessa, come di chi non vuole essere coinvolto e prende le distanze, sia dai calunniatori che dalla vittima delle calunnie, e non salutò più la giovane.
*****
La donna della porta di fronte a quella della famiglia di cui narriamo, colei che schiudeva lo spiraglio ogni volta che sentiva aprire o chiudere la porta dei vicini, era anziana, dall'aspetto paesano, malvestita di nero, piccola e cicciotta, con i capelli bianchi scomposti: così apparve un giorno a Mara, la mammina, non appena questa aprì la sua porta alla quale quella aveva bussato.
Mara non la conosceva, ma fu chiaro che era la "misteriosa osservatrice" poiché alle sue spalle aveva lasciato la porta aperta che lasciava intravedere un piccolissimo ingresso, arredato con mobili dozzinali.
"Che c'ha er giornale de ieri per caso signò?" Chiese la donna a Mara.
"No, mi dispiace, ma l'abbiamo gettato. Prego, vuole entrare?"
'Nun fa' gniente, ho lasciato la porta aperta.....Mannaggia, dovevo da vedé 'na cosa......"
"Mi spiace...- ripeté la giovane imbarazzata.
"Signò, ma com'è che su' madre è sempre così scontenta?" Fece quella cambiando discorso. - "Piglia pure 'na bbona penzione, io piglio meno de lei: mi marito era capo operaio alle acciaierie de Terni." Informò, con un pizzico di orgoglio, Mara che l'ascoltava, suo malgrado, bloccata sul vano della porta.
"Nun è mai contenta, mai contenta! - Riprese i commenti sulla madre di Mara, senza darle il tempo di interloquire. La ragazza aveva capito che sua madre doveva essersi fermata diverse volte a parlare con quella donnetta: di tempo ne aveva, perché a casa non faceva nulla ed usciva in continuazione presa dalla sua smania.
"Signora, - riuscì a dire - se lei ha parlato con mia madre si sarà resa conto che non sta molto bene, ed è per questo che è scontenta." Era un pò stupita che quella non se ne rendesse conto da sola e glielo chiedesse.
"M'ha raccontato com'è morto su' padre." - Continuò la donna, come inseguendo una logica che era nella sua mente e che non era influenzabile da nessuna comunicazione esterna. - "Quanno è morto mi' marito - informò - noi je semo stati vicino, fino all'urtimo! Tutta l'agonia, ch'è durata giorni e giorni, je semo sempre stati vicino!"
La giovane non capiva che ci potesse essere di bello e confortante in un'agonia durata giorni e giorni; sia pure circondata di gente, un'agonia è sempre dolorosa e la presenza degli altri non può che servire a chi vuole mettersi la coscienza a posto, illudendosi di poter fare qualcosa per chi lotta con la morte, ma non certo al moribondo le cui deboli forze sono protese solo verso la resistenza al dolore ed al malessere estremo, e che non può certo apprezzare nulla di ciò che avviene intorno a lui: egli è chiuso nel suo microcosmo di pena senza sollievo di guarigione.
"Non si possono scegliere il luogo e l'ora della propria morte, signora - rispose semplicemente Mara - e la morte non manda sempre in anticipo il proprio biglietto da visita." Concluse tristemente. Non capiva perché la sconosciuta vicina le rammentasse la scomparsa di suo padre facendo, per di più, un paragone con un'altra morte, compiacendosi assurdamente di ciò che era toccato a lei come se, in qualche modo, lei avesse merito di come le erano andate le cose e la giovane e sua madre colpa di non aver potuto esser vicino al proprio caro al momento del trapasso.
Suo padre era morto per un embolo cerebrale mentre stava trascorrendo qualche giorno nella sua casetta di campagna da solo. Non aveva ancora compiuto cinquantasei anni e nulla faceva presagire una fine così repentina e prematura. Era morto nel sonno e, al mattino, un contadino del posto, con il quale aveva un appuntamento per seminare un podere di sua proprietà, non vedendolo, pensò che fosse partito. Così pensarono tutti gli altri abitanti del piccolo borgo dove lui era nato e dove la morte aveva voluto coglierlo. Eppure lo conoscevano: era un uomo che non sarebbe mai partito senza salutare sorridendo tutti quelli che conosceva e che non avrebbe mai mancato un appuntamento senza avvertire. La casa non aveva telefono e di solito chiamava lui la moglie, o la figlia. Passavano i giorni e non telefonava. La moglie si offendeva del suo silenzio. Una domenica sua figlia chiamò all'unico telefono del paese: quello della locanda con annessa osteria e vendita di tabacchi e generi alimentari. Rispose Maria, la locandiera.
"Ciao Maria, sono Mara, la figlia di Toni, mi chiami papà per favore? Aspetto in linea."
La casa era a soli cinque minuti a piedi da lì.
Maria fece una pausa di sorpresa, poi: "Ma tuo padre è partito una settimana fa, Mara, non c'è!" Nella testa e nel cuore di Mara fu come se si aprisse un'orribile ferita: non esisteva più niente, solo quel pensiero. Capì subito che qualcosa di orribile era successo.
Conosceva profondamente suo padre. Sapeva ciò che lui poteva fare e ciò che non poteva fare. Sapeva prevedere tutto ciò che era possibile e ciò che non lo era per suo padre. Erano, infatti, uguali nel carattere, nella psicologia, e lei ne aveva fatto coscientemente ed inconsciamente il suo modello comportamentale, di vita, mentre aveva rifiutato la madre.
"Mio padre non è qui Maria, quindi deve essere lì, non può essere diversamente: aprite la casa, andate ed aprite la casa, vi dò io l'autorizzazione, è anche casa mia!"
"Mara! - rispose Maria sinceramente atterrita dall'idea che le parole dell'altra le suggerivano - "Me stai a mette paura!"
Ma la risolutezza e l'imperio nella voce della figlia la fecero obbedire senza altro indugio. "Richiamo fra mezz'ora!" Aggiunse soltanto Mara, ed attaccò il ricevitore. In quella mezz'ora spiegò al marito cosa le aveva risposto la locandiera e disse come non era assolutamente possibile che suo padre fosse andato da qualche parte senza prima avvertire. Tutta la sua vita era prevedibile e scontata per lei. Non era uomo da menzogne e sotterfugi, non aveva mai preso niente per sé, ed era di gusti semplici. L'ansia la attanagliava trasformandosi in angoscia. Quell'attesa era un'agonia. Avrebbe voluto sbagliarsi, qualunque cosa era accettabile, anche scoprire un padre non conosciuto, con una doppia personalità, qualunque cosa ma non "quella".
La pasta della domenica si scuoceva nella pentola, nel forno l'arrosto si raffreddava, ed i suoi piccolissimi bambini la guardavano sentendo penetrare in loro l'ansia della madre, senza capirne la causa e la ragione ed avendo perciò più paura. Il caro marito sedeva triste ed in silenzio, non si agitava, non parlava, sapeva che non c'era niente da dire in quel momento. Aveva comperato un vassoio di paste che erano là sul tavolo, come tutte le domeniche, in attesa di essere la gioia dei piccoli golosoni.
Per fare qualcosa, Mara scolò la pasta, la condì meccanicamente con il sugo e la lasciò lì, sul tavolo, a finire di scuocersi e a raffreddarsi. "I bambini debbono mangiare." Pensava meccanicamente. Ma non aveva più forza per nient'altro: il suo pensiero era tutto in quell'attesa. Squillò il telefono, non ebbe la forza di rispondere: la risolutezza di mezz'ora prima, dettata dalla disperazione, aveva lasciato il posto ad un'immensa paura. Suo marito ascoltò a testa bassa ciò che gli veniva detto dall'altra parte del filo, non dovette parlare perché lei capisse, lo vide scolorirsi in viso e chiese, ormai con la paura, l'angoscia ed il dolore che erano diventati un grumo solo nella sua gola: "Come?" Lui sussurrò qualcosa nel ricevitore, lo scostò dall'orecchio e guardandola prostrato le rispose:
"L'hanno trovato nel letto, è morto nel sonno, non si è neanche mosso." In quel momento quelle parole suonarono come consolazione a più orribili possibilità. Una settimana! Una settimana! E quelli avevano creduto che fosse partito.
Nel piccolo paese fu un avvenimento di cui parlare molto, e che fece grande impressione. I compaesani, pur nella loro ottusa rozzezza ed ignoranza, che non li aveva certo aiutati a pensare che Toni non era tipo da sparire senza preavviso, furono sinceramente addolorati per la morte di un uomo che nessuno aveva motivo di non amare. C'era qualcuno che lo invidiava perché lo riteneva uno che stava bene, ma che parlasse male di lui c'era solo una donna, Cora, che era la suocera di un suo fratello.
Dal momento che Mara aveva telefonato, Maria si era rivolta a suo marito: "Gaspare! Oh! Gaspare! Ha telefonato la figlia di Toni, dice che il padre deve stare qua!"
"Ma che stai a dì? Sei scema?"
"La figlia di Toni ha telefonato che cercava il padre e dice che non sta giù, a Roma! Ha detto d'andà a aprì la casa!" Aggiunse agitata. Il marito cominciò a capire: " Ma Toni non era partito?" Cercò di ragionare.
"S“, ma giù non c'è, la figlia lo cerca qua e ha detto d'andà a aprì la casa..........Uh! Madonna mia santissima!" Più parlava più la realtà le si avvicinava e la terrorizzava.
L'uomo rifletté: "Stamattina ha telefonato pure Quirino, il fratello di Toni, che lo cercava perché gli facesse un certificato qui al comune. Io pure gli ho detto che era ripartito.....Ma...allora... se lo cercano qua...La Madonna!" - Imprecò avviandosi, seguito dalla figlia adolescente.
Per la strada quelli che incontrava lo guardavano meravigliati dall'aria sconvolta che aveva: "Oh, Gaspare! Dò vai? Ch'è successo?" E lui, continuando a camminare, confusamente, lasciava la novella. L'interlocutore allora fermava il suo cammino e si voltava a guardarlo, mentre quello continuava per la sua strada, frettolosamente, seguito dalla figlia, che lasciava anch'essa qualche ragguaglio.
Era un paese dove nessuno aveva mai tanta fretta, a meno che non dovesse andare a prendere la corriera, ma neanche in quel caso correva perché, per abitudini ataviche, andavano sempre con grande anticipo per timore di perderla. Così la gente piano piano tornava sui suoi passi e seguiva Gaspare verso la casa di Toni.
Non fu difficile buttare giù la porta del terrazzino d'abbasso, giacché chiudeva male. Dopo pochi passi Gaspare, che entrò per primo, fu assalito dal lezzo acre della morte.
"Ma che succede? - chiedevano le donnette affacciandosi sulla porta.
"Tony è morto! pensavamo che era partito e invece stava morto là dentro!" Rispondevano i meglio informati.
Cora si precipitò a telefonare a sua figlia per darle la notizia. L'odiato e invidiato fratello di suo genero era morto!
Odiato perché si era permesso di cercare di dissuadere suo genero a diventare tale, ed invidiato perché era arrivato a certe mete, casa lì e casa a Roma, prima degli altri! La casa di Toni era quasi attaccata alla sua e lei era stata oltre una settimana con il morto lì vicino senza accorgersene! Come succede sempre, in ogni caso della vita, dette una sua versione dei fatti del tutto falsa, però in buona fede: disse alla figlia che il cadavere di Toni era stato scoperto per merito del fratello minore, Quirino, che aveva telefonato per chiedergli un certificato da fare in comune.
Invece Quirino, appreso da Maria che suo fratello "era ripartito", telefonò a casa di lui a Roma. Gli rispose la moglie che, seccata perché il marito non le telefonava, gli disse:
"Lo cerchi qua? Non sai dov'è?"
Quello, invece di spiegarle che al paese gli avevano detto che era ripartito, pensò che la cognata era matta e gli rispondeva così per questo, in realtà suo fratello era a Roma ma lei non voleva dirglielo: insomma, se fosse stato per lui, Toni sarebbe rimasto ancora un pezzo morto nel suo letto!
*****
Il giovedì precedente quella triste domenica dei primi di ottobre, Mara aveva condotto i suoi tre tesori a Villa Borghese: faceva ancora caldo e c'era un bel sole. Mentre era seduta a guardare i suoi cuccioli che giuocavano, vide avvicinarsi un uomo anziano in compagnia del suo nipotino, si riconobbero e si salutarono. Era questi un tale di nome Pietro, nativo dello stesso piccolo borgo dei suoi genitori: "Ho visto tuo padre fuori." I nativi di quel paese quando si incontravano a Roma dicevano sempre così: fuori, e si capiva che s'intendeva il comune luogo di nascita.
"Ah! Davvero?!" Rispose cordiale la giovane. " Sei stato a Montelino anche tu?"
"Sì, e sono tornato l'altro ieri. Tuo padre mi ha detto che si fermava un pò di più perché voleva raccogliere le castagne."
"Beh, non credo, a me ha detto che sarebbe tornato al massimo domenica prossima."
"No, no, - insistette l'altro, petulante, - "A me ha detto che si sarebbe fermato un po’ di più!"
Mara si seccò per quell'insistenza e pensò: "Vuole essere più informato di me che sono sua figlia?" Ma non disse niente per buona educazione e lasciò cadere il discorso. Salutò il vecchietto pensando a quando avrebbe raccontato dell'incontro a suo padre, sorridendo tra sé.
Suo padre, invece, era già morto, probabilmente la notte tra il mercoledì ed il giovedì precedenti: come poté ricostruire in seguito interrogando le persone che l'avevano visto per ultime.
Forse solo per cattiva memoria o per un'inconscia difesa per le notizie depistanti che aveva riferito a Mara, la quale, stando a ciò che lui le aveva detto, avrebbe potuto starsene tranquilla ad aspettare ancora un po’ il ritorno del padre, il vecchio Pietro raccontò il loro incontro in modo del tutto diverso: lui le avrebbe detto che il padre gli aveva confidato di voler anticipare il ritorno a Roma perché faceva troppo freddo. La brava gente che sentiva ciò si chiedeva come mai Mara, allora, non si fosse preoccupata prima per il silenzio di suo padre.
La stupidità della gente aggiungeva amarezza al suo dolore: Mara, a chi le chiese spiegazioni disse la verità, ma non poteva dirla a tutti, anche perché, dal momento della scomparsa di suo padre, fu afflitta da preoccupazioni, incombenze e responsabilità pesanti per una ragazza di venticinque anni con tre bimbi molto piccoli.
Ora, a pochi mesi di distanza da quella morte, era sulla porta di casa, trattenuta da una vecchia sconosciuta che le poneva domande avendo già precostituita nella sua mente una sua realtà: l'impossibilità di comunicare era un fatto reale e non un'invenzione di un intellettuale del cinema come Michelangelo Antonioni!
Questo fu il primo incontro di Mara con i suoi dirimpettai.
Il secondo incontro ebbe per protagonista un'altra componente di quella singolare famiglia. Era passato del tempo e Mara non aveva ancora capito bene come questa fosse composta ma, non essendo curiosa, non aveva neanche cercato di capirlo.
Una mattina sentì suonare alla porta, era sola in casa, suo marito al lavoro, sua madre a spasso o in chiesa (che era il suo luogo preferito), i bimbi più piccoli all'asilo, la più grandicella a scuola. Chiese chi fosse prima di aprire: le rispose una voce femminile soffocata. Aprì e si trovò dinanzi una giovane donna che le sembrò di riconoscere in una biondina che la salutava sempre quando la incontrava sul portone o per le scale ed al cui saluto Mara rispondeva volentieri, chiedendosi però chi fosse.
Era in pigiama, a piedi nudi e un'apertura sul petto faceva vedere, in gran parte, il seno.
"Signora, mi aiuti.......Sto male...." Disse e, girandole le spalle, rientrò nell'appartamento di fronte lasciando la porta spalancata su un ingresso buio.
Passato l'attimo di sorpresa, Mara prese le chiavi di casa, chiuse la porta dietro di sé e si fece sulla soglia dell'appartamento di fronte guardando all'interno, nel buio: "Permesso?" Chiese timidamente. Le rispose la voce della ragazza da una stanza che dava sul piccolo ingresso dal quale si sviluppava tutta la piccola casa:
"Venga, signora, venga pure....Sono qui. Mi scusi, mi sono rimessa a letto." La serranda della finestra era quasi del tutto abbassata, filtrava appena la luce sufficiente per non inciampare negli oggetti di cui si intravedeva soltanto la sagoma. "Cos'ha?" Chiese Mara.
"Mi dispiace tanto di averla disturbata...Sono i nervi...Sa, sono sola...Mia zia non c'è...Lavorano tutti..." Mentre parlava cercava di sorridere ma le veniva solo una penosa smorfia che le tirava le labbra e muoveva la testa sul cuscino quasi febbrilmente, mentre con una mano si ravviava nervosamente i capelli che le cadevano sulla fronte. Mara, con un intuito ed una sensibilità che forse le derivavano dall'esperienza della malattia di sua madre e forse anche da una natura particolarmente sensibile al dolore altrui, capì che la ragazza era in preda ad una crisi d'angoscia e che quello che lei chiamava "nervi" altro non era che uno stato di nevrosi d'ansia. Aveva letto molto sull'argomento, sia per chiarire meglio a sé stessa i problemi di sua madre, sia per allontanare da sé la paura, non del tutto inconscia, di poterne ereditare la malattia. Inoltre anche lei aveva sofferto di disturbi provocati dall'ansia in passato: stremata da un'infanzia non serena né felice, dai continui problemi quotidiani che la situazione della sua famiglia le imponeva, aveva cominciato quasi a rifiutare il cibo. Mangiava pochissimo e spesso aveva nausea. I medici, ottusamente, cercavano la causa nel suo stomaco, nel suo sangue, e lei continuava a dir loro: "E' un vomito psicologico." La guardavano perplessi, quasi che nei loro studi avessero dimenticato che nel corpo umano, anche se in sala settoria non si vede, c'è anche un qualcosa che alcuni chiamano "anima", immortale o meno che sia.
La cura era stata, infatti, una sola: l'amore di suo marito prima, dei suoi bimbi poi.
Anche se, in questo caso, i sintomi erano diversi, più imponenti, tanto da indurre la ragazza dai capelli biondi ad uscire di casa discinta e scalza in cerca di aiuto, per Mara fu chiaro che nascevano da una sofferenza psicologica. Le parlò quindi, la interrogò poco, con discrezione e, soprattutto, cercò di infonderle sicurezza. Sapeva bene che l'angoscia della fanciulla avrebbe potuto aumentare, stimolata dalla paura per i sintomi provocati dallo stato d'ansia stesso: un circolo chiuso.
A poco a poco la ragazza si calmò, ma volle un certo farmaco che le avevano prescritto: Mara la tranquillizzò, le disse che si sarebbe recata subito in farmacia a prenderglielo. Lei non credeva ai farmaci, ma sapeva che, in certi casi, quando ancora non si riesce a dominare con la mente l'ansia, sono uno "stop", una tregua, per risparmiare energie al soggetto, per non farlo giungere allo sfinimento.
Quel giorno arrivò un po’ in ritardo davanti alla scuola della sua bambina, contrariamente al solito.
Nel tardo pomeriggio suonò alla porta una donnetta piccola e grassottella, simile alla donnetta anziana con la quale Mara aveva già parlato, solo più giovane e, come la fanciulla in crisi d'angoscia, con i capelli schiariti dall'ossigeno.
"Signora, volevo ringraziarla per quello che ha fatto per mia nipote". Aveva un'aria gentile e risoluta, parlava in fretta, accavallando le sillabe, in un italiano di persona incolta, con un accento che trasformava le "t" in "d" e le "s" in "z".
Mara rispose:"E' dovere, signora." Poi chiese: "Ora come sta?"
"Meglio, meglio. Se vuole venire a vederla?...." Disse invitandola ad andare nell'appartamento di fronte di cui aveva lasciato l'uscio schiuso.
"Sì, vengo subito! - E, avvertiti i bambini e sua madre, uscì. La ragazza stava notevolmente meglio, le sorrise dal letto in cui giaceva ancora e la ringraziò.
Quello fu l'inizio dei rapporti fra Mara e la famiglia che le abitava di fronte.
Questa era composta dalla donnetta piccola, grassottella e decolorata che si chiamava Ada; da suo marito, un uomo corpulento con un faccione rubizzo, che Mara conobbe in seguito, che faceva il camionista per una ditta e che per questo era spesso lontano da casa; dalla loro figlietta Evita, una bimbetta di circa quattro anni e, a periodi, dall'anziana donna che era la madre di Ada. La ragazza bionda, Vanna, era figlia di una sorella di Ada che, come si seppe poi, per misteriose ragioni, non la voleva in casa, pur vivendo da sola. Vanna, confidò in seguito a Mara, era ospite pagante della zia, a cui quei soldi facevano comodo per poter arrotondare ed arrivare a pagare il mutuo della casa: due stanze e servizi con finestre sul cortile interno del palazzo.
Da quel momento la famiglia Rotai suonò spesso al campanello della famiglia Agosti.
Suonava Vanna ogni volta che stava male o, come vedremo, anche in altre circostanze.
Suonava la vecchia madre di Ada quando c'era, sempre per chiedere qualcosa in prestito.
Suonava Ada: per chiedere consigli per Evita che stava male alla giovane ed esperta plurimammina, per chiedere un passaggio in macchina, per portare qualche omaggio che Mara fingeva gentilmente di accettare e poi cestinava regolarmente.
Suonava Evita, continuamente ed inopportunamente, anche all'ora di cena, perché si sentiva sola e nessuno in famiglia la redarguiva a non farlo, giacché i loro costumi non erano borghesi come quelli degli Agosti e non sapevano cosa fosse la "privacy" e di questa e di molte altre cose ignoravano l'esistenza.
I tre bimbi Agosti erano autosufficienti: la giovane madre li aveva cresciuti in armonia tra di loro, evitando troppe lodi all'uno o all'altro, con un certo equilibrio era riuscita a far capire loro che amandosi e sostenendosi l'uno con l'altro avevano tutto da guadagnare. Erano tutti e tre vicini di età, quindi giocavano insieme volentieri. Evita non piaceva loro: parlava un linguaggio diverso, non la capivano sempre e lei non capiva sempre quello che dicevano i tre bambini. Mara cercò di indurre i suoi figli ad accettare la bimba dei vicini:
"Lei è sola, non siate egoisti, ha bisogno di stare con altri bimbi, di giocare!" Li esortava; anche se, a sentire certi episodi che i suoi figli le raccontavano sul comportamento di Evita, restava lei stessa sconcertata.
Un giorno le dissero che la bimbetta aveva proposto loro uno strano gioco che avrebbero dovuto fare di nascosto dei grandi: il gioco si chiamava "sedere-sedere", intendendo per "sedere" proprio "quel-con-cui-ci-si-siede". A parte l'ilarità che poteva destare in Mara una simile espressione, indubbiamente pensò che i suoi bimbi avevano fatto bene a reagire come avevano reagito: cioè a rifiutarsi di giocare e finanche di sapere di cosa si trattasse.
Altre strane e disdicevoli abitudini della bimbetta erano togliersi ciò che aveva nel naso con le dita ed attaccarlo alle pareti della casa, cosa che suscitava un giusto ribrezzo nei tre bambini di Mara, ed uscire in strada da sola anche nelle ore buie della sera invernale, nonostante i suoi quattro anni.
La madre, Ada, spesso la conduceva con sé per tutto il suo giorno di lavoro fuori casa, ma altre volte la affidava a sua nipote Vanna, la quale, o perché stava male di nuovo, o perché doveva uscire all'improvviso, spesso la "scaricava" alla gentile vicina. Un cortese aiuto Mara lo riteneva giusto, ma le sembrava che la richiesta e la confidenza andassero oltre il lecito che, per lei, era consentito.
Accadde che Vanna si trovasse di nuovo sola durante quelle sue crisi d'angoscia e che chiamasse sempre la giovane e saggia vicina. Diceva di trovare in Mara un vero aiuto. In effetti, nonostante i suoi venticinque anni, lo era, un po’ per la natura del suo carattere, serio e riflessivo, e un po’ perché, con la madre strana che il destino le aveva data in sorte, aveva dovuto adattarsi a maturare presto.
"Tu mi sai rassicurare." - Le diceva Vanna sorridendole con gratitudine; nel suo sorriso però c'era sempre come una nota stonata: era come se la ragazza le riconoscesse una superiorità di saggezza e di maturità che la stupiva (glielo aveva anche detto: "Pensare che io ho solo due anni meno di te!") e, nello stesso tempo, la guardasse con occhio indulgente e malizioso, ma anche un po’ amaro, come di chi ne sa di più. Di cosa non si sa. Ma certo in qualcosa Vanna si sentiva più "avanti" della saggia mammina che aveva di fronte.
"Tu mi sai rassicurare, non come il dottor Como che quando lo chiamo mi dice: - Ma signorina lei non può andare avanti così....Ma come fà ad andare avanti così?! - Io dopo mi sento peggio. Ma come fà un medico a non capire che, se è una cosa psicologica, così mi fa stare male? Mi mette in ansia...Quando va via sto peggio! Mi sa solo dare quelle tre o quattro pasticche e basta!"
"In effetti un medico - rispose Mara - dovrebbe rendersi conto che il corpo non è disgiunto dalla psiche e che sono un tutt'uno che si influenza vicendevolmente."
"Ma poi - insistette Vanna, parlando del comune medico della mutua - con me ci ha provato."
"No, non è possibile, è sposato da poco....." Per la pura Mara era difficile credere una cosa simile e non si preoccupò, nel suo candore, di far capire a Vanna che non le credeva. Di ogni persona e situazione voleva farsi un convincimento personale, non era, come la maggioranza della gente, una che credeva subito a ciò che le veniva detto con acritica superficialità.
Con un sorrisetto ambiguo Vanna replicò:" E che vuol dire?"
"Ma sembra una persona così a modo.....- Continuò Mara sulla difensiva - Forse avrai interpretato male un suo gesto, una sua frase."
"Seeeh! Mi voleva denudare il seno! Che io il male ce l'ho lì?!"
"Forse ti voleva sentire il cuore."
"Sì, come no?! Quando è entrata Evita la voleva mandare via: che fastidio gli dava la bambina se stava a guardare mentre mi visitava? Evita, che è impunita, non se n'è voluta andare e lui non mi ha scoperto più il seno, capito?!"
Mara non rispose più nulla. Non c'era nulla da dire, anche se l'idea che lei si era fatta del giovane medico era molto più dignitosa. Anche a lei aveva fatto una discreta corte, ma rispettosa e gentile: complimenti sulla sua eleganza, discorsi culturali, un passaggio in macchina. Niente che potesse offenderla od offendere la moglie del dottore, che Mara conosceva dato che abitavano nel palazzo di fronte al suo ed avevano il balcone proprio di faccia al suo. Un giorno che, in strada, aveva incontrato il dottore con sua moglie che spingeva il passeggino del loro bimbo, si erano salutati ed il giovane medico le aveva cerimoniosamente presentate; in seguito Mara, incontrandola, le sorrideva e la salutava, ma la giovane sposa del medico non salutava mai per prima e rispondeva svogliatamente e senza sorridere al suo saluto. Quando Mara andava in studio, che era all'interno della loro abitazione, la moglie la salutava allo stesso modo, e con lo stesso stile defilato ed appannato rispondeva al telefono quando Mara chiamava il dottore.
Nel palazzo dove abitava Mara aveva preso una casa in affitto anche una sorella della moglie del medico ed ogni tanto questa veniva a farle visita: se la si incrociava sul portone non si riusciva nemmeno a darle quel saluto che, evidentemente, non voleva; camminava lentamente, ad occhi bassi, vestiva in modo un pò trasandato. Per Mara un tale comportamento era incomprensibile. Forse la giovane signora temeva di suscitare invidie in un ambiente socialmente molto basso, in cui essere la moglie di un medico significava ancora qualcosa e, per difesa, teneva un atteggiamento dimesso?
Mara non lo seppe mai. Qualche tempo dopo, qualcuno, nell'intento di denigrare Mara, che non era stata così accorta come la moglie del dottor Como ed aveva suscitato rabbie ed invidie senza rendersene conto, aveva detto al giovane medico che Mara aveva parlato male di lui e questi, invece di verificare se fosse vero o no, aveva cominciato ad avere nei riguardi di Mara un atteggiamento freddo e scostante. Una volta che lei lo aveva chiamato per una visita domiciliare, era presente anche il marito di Mara, invece della solita conversazione amabile e distesa aveva detto con tono risentito e come se rispondesse a cose dette da Mara: "Io, signora, ho trent'anni e penso di avere davanti a me una lunga carriera! Faccio questo - intendendo il medico della mutua - perché anch'io devo vivere, ma spero che non farò solo questo per tutta la vita!" Meravigliata Mara, insieme al marito, non poté che dargli ragione. La sua timidezza e la buona educazione le impedirono di chiedergli chiarimenti sul tono usato che, visto che lei non gli aveva mai detto nulla che potesse offenderlo, non aveva senso.
Il marito di Mara era un intellettuale, colto e distaccato, aveva notato il tono strano con cui il dottor Como si era rivolto in particolare a sua moglie e l'inutile perorazione della sua carriera, che nessuno metteva in dubbio, e l'assurda giustificazione di fare il medico della mutua, però non vi dette peso più di tanto. Mara se la prese di più intuendo, dato il malanimo che ormai circolava su di lei, che qualcuno doveva averle messo in bocca considerazioni denigratorie sul lavoro che svolgeva il giovane medico, cose che lei non aveva mai nemmeno pensato.
"Se lui è così stupido da credere, senza verificare prima di agire, non merita davvero la tua stima!" Le disse il marito perché se ne facesse una ragione.
*****
Alcuni anni dopo, quando ormai Mara e la sua famiglia si erano trasferiti in un'altra casa, leggendo il giornale, in cronaca, videro con sorpresa il nome del dottor Como: qualcuno di quel posto, dove lui abitava ancora, l'aveva denunciato perché avrebbe dato precedenza alle visite dell'attività privata rispetto a quelle mutualistiche. Si era nel periodo in cui le due attività erano consentite dalla legge. Il fatto fu riportato in cronaca anche nei giorni successivi con aggiornamenti sugli sviluppi della faccenda. Un piccolo scandalo: "Chissà se oggi capirà che quella su di me era maldicenza?" Disse Mara al marito. "Quell'ambiente era avvelenato e lui pure ne è stato vittima."
*****
Per aiutare Vanna a star meglio Mara la esortava a sposarsi e ad avere dei bambini: "Quando avrai qualcuno che ha bisogno di te, vedrai, non ripiegherai più su te stessa e starai bene per forza!"
Lei l'ascoltava con un sorriso malinconico: "Il mio fidanzato non è l'uomo giusto per me, io lo so........"
"Allora lascialo."
Di nuovo una smorfia di sorriso e poi: "Non posso lasciarlo....Io lo so che è l'uomo sbagliato, ma non posso lasciarlo."
Mara non faceva mai domande: cercava di aiutarla dicendole le cose in cui credeva, senza approfittare della sua debolezza, del suo bisogno, per scavare nei suoi problemi privati. Né raccontava a nessuno del palazzo quel che faceva per la ragazza: odiava chi, con la scusa di fare del bene, si intrufolava nella vita altrui per poi farne pettegolezzo ipocritamente ammantato di umana pietà, senza tralasciare di sottolineare il bene fatto, naturalmente!
Le confidenze di Vanna erano tutte spontanee ma, siccome Mara non chiedeva mai niente, frammentate e non sempre spiegabili.
"Il mio fidanzato non ha un lavoro. Un giorno ho conosciuto un onorevole.....- Rapido sorriso un po’ ambiguo. - Mi piaceva pure....Mi stavo quasi innamorando.....Ho provato a chiedergli se trovava un lavoro al mio fidanzato...Ma non sa fare niente... Sta tutto il giorno senza fare niente, poi la sera va nelle discoteche e un'amica di mia madre che l'ha incontrato mi ha detto che ha fatto lo scemo con lei..... Ma io non ci credo, poi che me ne importa..."
Nel mondo perbene e borghese di Mara non c'erano discoteche, negli anni settanta ne esistevano poche e mal frequentate, c'erano locali per i giovanissimi e "night clubs" per i più "agés": lei era stata in un paio di "nights" con suo marito, tutti e due in Via Veneto e dintorni. Non capiva come la madre di Vanna, che Ada diceva facesse la bidella come lei in una scuola, avesse amiche che andavano per discoteche.
"Va spesso nei locali il mio fidanzato, perché ci vanno anche sua madre e sua sorella.... La madre è un tipo volgare: pensa che si è comperata degli stivaloni bianchi alti a metà coscia.... E' una donna di oltre quarant'anni...E poi bianchi...."
Mara non capiva quel mondo che Vanna le descriveva: nessuna delle persone del suo ambiente si sarebbe mai sognata di vestire così, a nessuna età. Poi continuava a non capire la frequentazione così assidua di questi locali.
Vanna vestiva in modo molto costoso, un po’, solo un poco vistoso....Il suo parrucchiere non era della zona, ma era in centro ed era, disse la zia, molto costoso. Pagava tutto l'ingegnere per il quale Vanna lavorava. Faceva la segretaria, ma senza un orario d'ufficio. Squillava il telefono e, anche se era sprofondata a letto in una delle sue frequenti crisi con le serrande abbassate, si tirava su, metteva i suoi vestiti costosi, le pellicce, i colli di volpe di vari colori, si truccava molto bene, chiamava un tassì ed usciva: anche se era mezzogiorno.
Quando stette male tanto da non farcela ad uscire venne a farle visita la "moglie dell'ingegnere": una donna volgare quanto silenziosa, truccata pesantemente, con la mascella squadrata ed i capelli tinti di un nero carico. Recava con sè una bimbetta altrettanto volgare che, con Evita, suonò alla porta degli Agosti: Mara provò a parlare con le bambine ma rimase spiacevolmente colpita dai modi reticenti delle due alle sue innocenti domande, sembravano due scimmiette ammaestrate, piene di una malizia adulta.
I tre bambini di Mara tirarono un sospiro di sollievo quando se ne andarono.
La madre di quella che avrebbe dovuto essere "la figlia dell'ingegnere", una donna sui quarantacinque anni, si intratteneva nell'appartamento di fronte al capezzale della povera Vanna in preda alle sue angosce. Venne più volte: viaggiava su una pesantissima "Mercedes" nera vecchio modello ed aveva l'aspetto di una prostituta in disarmo. Una volta fece una visita frettolosa, e da solo, pure l'ingegnere: era molto più giovane di quella donna ed abbastanza fine; scese da un'auto sportiva, con un abbigliamento anch'esso sportivo....Era assolutamente improbabile immaginarli insieme...e ...ci tenevano molto alla segretaria!
"A mia zia do un rimborso spese di telefono di sessantamila lire! A me il telefono serve per il lavoro!" Diceva Vanna a Mara. Più di una volta aveva suonato adirata alla porta della buona vicina, chiedendole la cortesia di poter chiamare la società dei telefoni perché aveva il telefono isolato:
"Io li denuncio a questi! Non possono farmi questo, a me il telefono serve per il lavoro!"
Mara rifletté che lei pagava circa diciottomila lire di telefono pur facendo anche telefonate extraurbane, dato che suo marito lavorava in un centro nei dintorni di Roma.
"Sono vissuta in collegio fino a diciotto anni, - raccontava Vanna - mia madre mi ci ha messo quando ne avevo due."
"Non era un collegio se ce l'hanno messa a due anni, - pensava Mara senza dirlo - era un brefotrofio."
"Sono venuta a vivere con mia zia perché mia madre non mi ha voluta. Ha una casa dove sta da sola ma deve ricevere i suoi amici e io la disturbo."
"Che amici può avere una donna di mezza età, grassottella e scialba che fa la bidella?" Pensava Mara. Era un mondo decisamente incomprensibile per lei.
Ma non per suo marito evidentemente che, un giorno che gli manifestava le sue perplessità sbottò: "Ma insomma non hai ancora capito che questa fa la "squillo"?! Lo disse con una punta di esasperazione. Va bene il candore, ma sua moglie, che pure reputava una ragazza intelligente, a volte sembrava decisamente stupida!
Mara era esterrefatta! Sì, ora tutti gli spazi vuoti si riempivano ed il quadro era completo....La sua pulizia interiore le impediva di vedere la sporcizia, anche quando questa era evidente per tutti.
Era evidente per la portinaia, che veniva a servizio in casa sua due volte la settimana, che un giorno, mentre lavava il suo pavimento, le disse con un riso pieno di malizia: "Ma come fà Vanna ad essersi comperata un appartamento di quattro stanze a Corso Trieste a ventitré anni?"
"A chi lo dice, - aveva risposto Mara - noi abbiamo potuto comperare questo: salone, due camere, cameretta e doppi servizi, ma qui! Magari Corso Trieste! Costano il doppio!"
"Apposta, dico, come avrà fatto una ragazza che la madre aveva messo al brefotrofio e che quando l'hanno messa fuori non l'ha voluta nemmeno in casa? A me mi fa ridere Ada, - le due donne si davano del tu e così i loro mariti - ne dice di bugie! Dice che il padre di Vanna è morto quando era piccola e che la madre doveva lavorare e per questo l'ha messa al brefotrofio, poi un giorno la madre m'ha detto: "Io il marito non ce l'ho avuto mai!" L'ha detto ridendo! Ma che c'è di male! Sono cose che possono succedere! Poi dice che fa la bidella in una scuola in Viale Libia ed esce di casa alle otto e mezzo: deve prendere due autobus, ma a che ora arriva! Fa la donna di servizio come me e si vergogna a dirlo! A me poi! Poi si dimentica e le scappa detto "la signora mia"!"
Era evidente per la lavandaia che aveva il negozio di fronte al portone, anch'essa in confidenza con Ada, che un giorno aveva detto a Mara: "Mi volevano lasciare Evita, qui in negozio, un pomeriggio che, con gli abiti di tutti i giorni, sono andati in comune perché Vanna si doveva sposare con quello che non lavora. Ma io devo già guardare i miei figli che stanno qui fuori, sul marciapiede, mentre lavoro....."
*****
"Fammi la cortesia, taglia con questa gente!" Disse con decisione il marito di Mara.
Quando Ada si rese conto che Mara prendeva le distanze, punzecchiata dalla sua "amica" portinaia che la prendeva in giro sulle sue bugie dicendole: "Pure la signora Agosti pensa male", reagì da bestia ignorante quale era: prendendosela con colei dalla quale si sentiva giudicata e disprezzata, ed il cui giudizio aveva per lei maggior peso. Si sentiva molto gratificata da quel rapporto di buon vicinato: la cultura e la finezza di quella coppia, la loro confidenza, l'avevano fatta sentire un pò più su di dove era. Poco le importava dei lazzi di quell'ignorantona della portinaia o delle smorfie della lavandaia, due che erano come lei.... Ma quel rifiuto dell'Agosti le bruciò!
"E' pazza come la madre, è pazza, è pazza!"
Con l'aiuto di una sua amica che abitava al quarto piano e che per vivere vendeva il pesce in un mercato all'aperto, e di un'altra che girava per le case facendo le iniezioni intramuscolari senza essere infermiera, diffuse leggende ed invenzioni per rafforzare la sua tesi. In questo fu aiutata dall'inconsapevole vittima che ogni tanto sgridava a voce alta qualche figlio o, non sapendo come fronteggiarne le stranezze, sua madre.
*****
Presa dai suoi doveri di madre di tre bimbi piccoli, di figlia di una donna bisognosa di cure e di moglie, occupata per questo in mille incombenze che le avevano fatto mettere da parte il suo sogno di conseguire una laurea, Mara non si curò troppo delle maligne chiacchiere della sua vicina, né dell'invidia che aveva suscitato in alcune donnette del palazzo e, in particolare, nell'animo della lavandaia nel cui negozio molte di queste si servivano.
Nel palazzone le donnette l'avevano notata: per l'eleganza accurata con cui vestiva, per i bambini sempre curatissimi che non scendevano mai in strada a giocare con gli altri, ma uscivano solo per salire in macchina con la mamma o col papà per andare in una scuola fuori quartiere e non in quella comunale di zona dove andavano i figli loro. L'avevano notata per il suo diverso stile di vita: perché guidava la macchina e per quelle donnette persino la patente di guida era un segno di grande emancipazione, perché studiava all'Università pur non essendo una "ragazza" bensì una donna sposata, perché, informandosi presso la portinaia, avevano appreso che quando usciva il pomeriggio in macchina con i suoi bambini li conduceva a giocare in qualche grande parco cittadino, lontano dal quartiere, in mezzo al verde.....
Il costo accessibile degli appartamenti del palazzone della periferia più popolosa e meno elegante della città, aveva indotto sia ad acquistare che ad affittare famiglie provenienti dai ceti socialmente e culturalmente più disagiati, con abitudini tutt'altro che borghesi, mentre Mara era integralmente borghese sia per educazione che per modi. Il suo aspetto indubbiamente grazioso e fine, la sua innata eleganza, la professione del marito, il suo dimostrare meno anni di quelli, già pochi, che aveva, avevano suscitato inevitabili confronti ed altrettanto inevitabili invidie. La malattia di sua madre era dunque motivo di maligna curiosità perché era il punto debole di quella, altrimenti, fortunata famiglia.
*****
La lavandaia, ad esempio, aveva tre figli come lei e la sua stessa età, ma ne dimostrava almeno dieci di più, ed era brutta, sformata, i suoi figli stavano tutto il giorno in strada, suo marito lavorava con lei ed era uno stupidone, non un uomo colto come il marito della signora Agosti. Certo non faceva la sua vita: lei stava tutto il giorno chiusa in quel negozio a pulire e stirare i panni di tutti e mentre stirava guardava fuori dalla porta a vetri e vedeva il balcone di Mara proprio davanti a lei, pieno di fiori, e la donna di servizio che puliva, sia pure solo un paio di volte a settimana...Lei pensava alla sua casa sempre in disordine perché non ce la faceva a pulirla da sola con tre bambini ed il negozio da mandare avanti...
E' vero, la signora Agosti era gentile, quando passava in negozio si fermava a parlare volentieri, e lei le aveva detto delle sue difficoltà, dei suoi panni da lavare che le si accumulavano in casa perché doveva stare tutto il giorno nella lavanderia "a secco"; ma capiva poi veramente quella, visto che non doveva lavorare e poteva starsene tutto il giorno dietro ai suoi figli e alla sua casa e aveva pure l'aiuto?
E' vero, era stata ad ascoltarla quando le era morto il fratello giù in Lucania per una pasta avariata, da loro si moriva pure per queste cose, e le aveva raccontato che lei e la sorella avevano pianto tanto, fino a che a lei erano venuti dei crampi alle mani:"Come ad artiglio...Così..." Ed aveva contratto una mano per far capire alla signora, chiedendole se sapeva da cosa poteva dipendere quel fatto lì, visto che studiava medicina. Mara le aveva risposto che era un fatto nervoso, tacendo la parola "isterico", perché temeva di offenderla.
Insomma, la signora Agosti le faceva rabbia lo stesso, nonostante la sua gentilezza e l'aveva voluta punire con piccole cattiverie che quella non aveva neppure raccolto.
Un giorno che era venuta in negozio le aveva detto con aria fintamente compunta: "Signora, non so se posso permettermi... ma ho visto sua madre che era in una rosticceria e beveva una birra...sa io glielo dico solo perché so che questo genere di persone non può bere alcolici.....Io ho la moglie di mio cognato, il fratello di mio marito, che beve, poverina, è malata di nervi anche lei, il marito ha un'altra donna e lei lo sa, sta tutto il giorno da sola con questi tre bambini, che pena!"
Ebbene quella non se l'era presa affatto, anzi!
"Eh! Lo so che sarebbe meglio che non bevesse birra mia madre, - rispose - però le piace mangiare supplì in rosticceria e capisco che qualcosa ci deve bere sopra! Piuttosto le fanno male i supplì: un giorno si è sentita male di stomaco proprio perché aveva mangiato in rosticceria... Ma che debbo fare, non posso impedirle di fare ciò che le piace, sarebbe peggio! Mi dispiace per sua cognata, ma mia madre non beve come lei, mia madre soffre solo della sua malattia psichica, per fortuna in forma non grave, da quando io ero piccola, la ricordo sempre così.... Purtroppo sono malattie, non è che uno se le va a cercare. Ma sua cognata, poverina, perché il marito le lascia tre bambini se è in quelle condizioni?! Non ha paura che possa accadere loro qualcosa visto che la mamma ha una malattia psichica ed è anche alcolista?"
Nessuna mortificazione, nessuna vergogna, quella parlava tranquillamente della malattia della madre, l'ammetteva.... Però con la sua amica pantalonaia che abitava nel palazzo della signora Agosti se ne faceva di risate sulla madre! E per malignità nemmeno glielo nascondeva, lo vedesse pure quella presuntuosa! Un giorno le aveva riportato un paio di pantaloni suoi, chiari, con una macchia rotonda di unto misto a polvere! Quello stupido di suo marito si era scusato, non finiva mai di giustificarsi! Aveva una tale ammirazione per quella lì! Sempre tutta carina, truccata... Poi da quando aveva saputo che avevano la stessa età sicuramente in cuor suo faceva dei paragoni...quello stupido di suo marito! Dopo che aveva riportato i pantaloni non puliti bene, però, aveva cominciato a lavorarselo suo marito, insinuando che non era stata lei a sbagliare ma quella a volerli mettere in cattiva luce e, visto che avevano perso parecchi clienti, c'era da pensare che quella parlasse male del loro lavoro!
Poco dopo Mara smise di servirsi nel loro negozio: "Hai visto? - disse al marito la lavandaia - Te lo avevo detto che quella ci ha fatto perdere i clienti! Ha smesso di portarci la roba e dirà in giro che non sappiamo fare il nostro mestiere!"
"Hai ragione, l'altro giorno stavo davanti al suo portone a parlare con il portiere, lei è passata, l'ho salutata e non mi ha risposto!"
Invece Mara aveva iniziato a seccarsi molto per la pesante volgarità dell'amica della lavandaia: la pantalonaia, che abitava nel suo palazzo ma in un'altra scala, e che lei conosceva solo di vista.
Si era accorta dei lazzi delle due cafone ma, quel che aveva passato il segno, era stato un commento a voce alta su sua madre che la pantalonaia aveva proferito mentre lei rincasava con i suoi bambini e quella, che la precedeva di qualche passo nell'androne del palazzo, si era rivolta ad una sua amica, estranea al posto, che l'accompagnava, e le aveva detto:
"La vedi questa? - E si era girata a guardarla costringendo la sua accompagnatrice a fare altrettanto - C'ha tre figli!" - Aggiunse con un sorriso stupido.
Un po’ in imbarazzo per la situazione in cui, suo malgrado, quella l'aveva messa, la donna disse:
"Sembra una ragazzina." Facendole così un complimento. Inopinatamente, allora, la pantalonaia aveva proferito:
"Lo sai che la madre è scema?" La sua amica non aveva nascosto il suo disappunto ed aveva chinato la testa senza dire nulla, probabilmente capendo che quella la stava usando per offendere una persona che lei nemmeno conosceva.
Mara valutò in un attimo se reagire a quella volgare provocazione e, veloce come è il pensiero, immaginò la scena che, inevitabilmente, ne sarebbe seguita: un volgare alterco con una persona che non conosceva e non voleva conoscere; sapeva a malapena che faceva la pantalonaia dalla portinaia che le veniva a lavare il pavimento in casa.
Avrebbe voluto insultarla e dirle che la scema era lei visto come si comportava e che non si permettesse mai più di importunare la gente che non conosceva e di proferire insulti su sua madre, perché l'avrebbe denunciata! Ma lei era sola con tre bambini e quella aveva una testimone che era sua amica o parente e non avrebbe mai testimoniato in suo sfavore! I suoi bambini non avrebbero capito la scena, perché troppo piccoli, e li avrebbe inutilmente spaventati, trascinandoli in una scenata in pieno portone, dove passavano continuamente persone, dato che vi confluivano sette scale! Avrebbe dato solo spettacolo a beneficio dei maligni e quella ne sarebbe stata felice: con l'educazione che dimostrava di avere ne poteva uscire una vera piazzata in cui Mara, riservata e borghese, aveva tutto da perdere. Fece quindi finta di niente ad eccezione di un commento che rivolse ai bambini, temendo che avessero capito l'osservazione sulla nonna: "In questo palazzo abita gente davvero bassina!" Intendeva di livello morale ed educativo. Non seppe nemmeno se i bambini avessero capito, di sicuro la scema vera che le camminava davanti non capì e, se sentì, pensò forse che si riferisse alla sua statura, dato che era alta si e no un metro e cinquanta.
*****
Dopo quell'episodio Mara non si servì più nella lavanderia che stava davanti al suo portone.
Pensava che ignorare le cafonate ed allontanare le persone da quel poco di confidenza che aveva dato loro l'avrebbe messa al riparo da altre villanate. Così non fu.
La lavandaia, invidiosa di quella donna che aveva la sua stessa età ed il suo stesso numero di gravidanze ma conservava una figura snella e un aspetto adolescenziale, cominciò a parlare male di lei con tutte le "comari" che si servivano nel suo negozio: era favorita in questo dal fatto che poteva indicare il balcone fiorito di Mara che era proprio lì davanti.
L'argomento principale era che Mara si dava delle arie e credeva di essere "chissacchì" perché il marito era un "dottore". Riducendo il pensiero di Mara al proprio livello lillipuziano, la lavandaia trovava buon terreno nelle donnette altrettanto piccine, che si guardavano bene dal verificare se quella giovane così carina, fine ed elegante fosse davvero così stupida e scioccamente superba; la vedevano entrare ed uscire con i tre bambini sempre ben vestiti e curati, salire in macchina con loro, sempre elegante e riservata e pensavano che la lavandaia aveva ragione.
L'antipatia cresceva. A qualcuno non era antipatica ma chi glielo faceva fare di difenderla. Avrebbe avuto contro uno stuolo di bruttone, poco scolarizzate e con tanta voglia di dare addosso a chi appariva più fortunato di loro. Sul fatto che avesse sulle spalle una famiglia di sei persone fra cui una donna anziana che non le era di alcun aiuto, ma che le creava non pochi problemi per il suo comportamento con continui cambiamenti di umore e bizzarrie di vario genere, non si soffermavano neppure a pensare, preferendo solo sottolineare quel che diceva loro la lavandaia: che la madre era matta.
Il marito, il lavandaio, non si dava pace del fatto che quella non era più venuta nel loro negozio dopo l'episodio della macchia. La moglie l'aveva convinto che il motivo fosse quello e che i clienti che avevano perso in quel periodo fossero stati messi sull'avviso da quella lì che andava dicendo che loro non pulivano bene i vestiti, cosa che era vera, ma la donna aveva trovato comodo spostare il problema sulla cliente insoddisfatta e che spiccava un pò sulle altre di quell'ambiente.
Mara non ne poteva più di tutta quella stupida curiosità per sua madre e per tutta la sua famiglia. Non capiva tutto quell'interesse per la malattia di sua madre, visto che l'aveva da quando lei era nata e in nessun posto era accaduta una cosa simile.
Il lavandaio passava molto tempo a parlare con il suo portinaio, erano "amici", come lo sono le persone del popolino tra loro: legano per i modi comuni, per le comuni incombenze di servizio. Questo non piaceva a Mara, perché la portinaia entrava in casa sua due volte a settimana a svolgere servizio di pulizia e anche in lei aveva notato stupidi atteggiamenti derisori per la situazione di sua madre.
Nonostante avesse avuto molte difficoltà a trovare una collaboratrice domestica in quel quartiere, dove molte donne che svolgevano questa attività abitavano e, per uno strano complesso di inferiorità, non volevano si sapesse, preferendo prestare la loro opera in altre zone, ma non nella loro, Mara preferì rinunciare ai servizi della portinaia. Pensava così di riacquistare la sua riservatezza e la sua tranquillità. Ma così non fu.
Portinai, lavandai e la zia di Vanna avevano amiche, amici e comari nel palazzo e nei dintorni e sfogarono il loro scorno linciando la povera giovane mammina.
Le cafonate si moltiplicarono giacché non c'è niente che renda più sicuri dell'impunità che il sapersi numericamente superiori. L'insultavano se stava alla finestra o in balcone, quando entrava ed usciva da sola o con i bambini, così piccoli da non poter certo rendere testimonianza. Si facevano da spalla l'un l'altro, parlando fra loro, pronti a tenersi la mano, se lei avesse reagito, dicendole che aveva capito male, che sognava. Mara fu molto brava a non reagire mai.
*****
Non si poteva sopportare in eterno, comunque. Gli Agosti decisero di vendere la casa. Serviva loro una stanza in più, e questo era un buon motivo oltre a quello di dare ai propri figli che crescevano un ambiente più vivibile.
Poco tempo prima del loro trasferimento, venne ad abitare nel palazzone una coppia mista: lei bianca lui nero, somalo: due persone abbastanza fini.
Un giorno, rientrando a casa, mentre attraversava il lungo e largo androne, Mara colse la seguente scena: un uomo con il suo bambino di circa otto, nove anni usciva dalla porta a vetri che dava sul cortile e si avviava per attraversare l'androne del palazzo, ad un tratto si fermò perché aveva scorto arrivare qualcuno dietro di lui che Mara ancora non poteva vedere essendo costui nel cortile, l'uomo, rivolto al suo bambino, disse: ""Guarda, guarda a papà!" E per richiamarlo indietro fece un gesto rapido delle dita della mano che teneva scivolata lungo il fianco. Il bimbo tornò sui suoi passi girandosi incuriosito a guardare dentro il cortile:
" Guarda a papà, sta arrivando il negro!" Un attimo dopo irruppe nell'androne la figura elegante e dinoccolata del signore somalo, il quale passò diritto accanto all'esterrefatta Mara che si chiedeva, costernata, se si era reso conto di essere indicato ai bambini come un fenomeno da guardare: il negro!
Pochi giorni dopo lo incrociò di nuovo nel medesimo androne nel quale confluivano le sette scale, era con sua moglie, lei guardò Mara e disse al marito: "I signori se ne vanno, qui era troppo giù per loro!" "Ah sì?" Commentò il marito con un sorrisetto derisorio.
"Anche loro si sono fatti inquinare, incredibile!" Pensò desolata la povera signora Agosti!
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