Sisma
Romanzo inedito di Rita Coltellese
Romanzo inedito di Rita Coltellese
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Il Romanzo viene pubblicato per capitoli, ad ogni nuovo capitolo verrà scritta la data di pubblicazione del precedente in modo che il lettore possa, tramite il calendario che appare a destra, ritrovare facilmente il precedente.
SISMA
Capitolo III
(Il Capitolo II è stato pubblicato il 26 giugno 2019)
Il lungo nastro della strada nel suo ricordo era imbrecciato di bianchi sassi e privo di ombra, giacché, nello scavare la strada sul fianco della collina, avevano fatto saltare con la dinamite anche la vegetazione. I rari alberi rimasti nei terreni che costeggiavano il percorso stradale di accesso al paese erano stati tagliati e venduti dai proprietari come legname per sete di denaro.
Ora la strada era asfaltata ed erano ricresciuti alberi, cespugli e vegetazione.
Le tornarono alla mente le noiose passeggiate con qualche compagna estiva del posto lungo quel nastro di un bianco abbacinante, senza un punto d'ombra per ristoro. Ormai adolescente non era più felice di tornare in vacanza in quel luogo come da bambina, quando quel posto era la libertà assoluta di uscire di casa e gironzolare in un paese dove tutti si conoscevano da generazioni e bastava chiedere di persona in persona per ritrovare qualcuno e sapere dove fosse.
In uno dei quei pomeriggi, avendo accanto una compagna la cui immagine non ricordava, furono sorpassate da un'Ape guidata troppo velocemente su quei sassi bianchi da Nazareno, un giovane buono, dall'animo sempre pronto alla celia, allo scherzo, per ridere con spirito. Sotto i loro occhi stupefatti l'Ape sbandò spostandosi tutta alla propria sinistra e, tagliando in rapida diagonale la corsia opposta, deserta come tutta la strada, scendere lungo il ripido costone per cadere di sotto, là dove il nastro bianco, formando un'ampia curva, tornava indietro a circondare il costone stesso.
Sara e la sua accompagnatrice, rimaste basite dall'assurdo incidente, costernate e quasi piangenti corsero lungo la strada fino alla grande curva che formava il tornante, convinte che dopo di essa sarebbe apparso ai loro occhi Nazareno morto o gravemente ferito.
Quale fu la loro meraviglia, lieta, nel trovare Nazareno in piedi, accanto all'Apetta mezzo sfasciata, con un rivolo di sangue sulla faccia impolverata che dalla fronte gli scendeva fino al mento: sorrideva con la sua grande bocca simpatica e non diceva nulla. Sara e l'altra, felicemente sorprese, gli fecero mille domande: se stava bene, se dovevano chiamare qualcuno... Ma lui, sempre con quel sorriso tranquillo e sereno, le rassicurò e, ripresa la ormai scassata Ape, fece il secondo miracolo di rimetterla in moto e con essa partì scoppiettando, proseguendo nella direzione in cui doveva andare da prima di "accorciare", con quell'incomprensibile incidente, la strada da percorrere.
A sera Sara lo vide seduto fuori dalla sua casa, all'epoca la migliore del paese, con un cerotto in fronte. Sempre tranquillo la rassicurò sul suo stato di salute: aveva solo un taglietto che aveva lavato dalla polvere, disinfettato ed incerottato: niente ospedale, per carità, troppo lontano, e dunque niente punti.
In effetti gli usi del tempo e del posto erano tali che si ricorreva all'ospedale, distante una decina di chilometri, solo per disturbi gravissimi, incidenti quasi mortali e parti.
Nazareno era un bel ragazzo, somigliante a sua madre, fattrice di una numerosa figliolanza.
Insieme al ricordo di quello strano incidente ora pensava che allora non avrebbe mai immaginato quello che, con la semplicità che la distingueva, sua madre le aveva rivelato: la madre di Nazareno era la donna, allora più che trentenne, sposata e già mamma di alcuni dei suoi figli, che aveva tolto la verginità a suo padre allora sedicenne. Confidenza che Sara trovava normale che suo padre avesse rivelato a sua moglie... Ma dopo non poteva guardare senza meraviglia quella donna ormai non certo avvenente, vestita con abiti contadini, piuttosto trascurata, e immaginarla mentre attirava nella sua stalla suo padre adolescente.
Le dava inoltre un certo turbamento guardare il marito di lei, un uomo dai modi garbati e spicci ad un tempo che, quando era morto suo padre senza diventare vecchio, le aveva detto parole di stima verso di lui: "Era uno intelligente, non come tutti questi altri: dopo la guerra eravamo solo io e lui che ci davamo da fare qui, commerciavamo." Lei lo aveva ringraziato per l'apprezzamento nei riguardi di suo padre sentendosi però un po' in colpa e un po' a disagio per quel segreto rivelatole da sua madre.
Alcuni di questi segreti in un posto così circoscritto restavano sotto la cenere, e questo era uno di essi, ma altri venivano passati di bocca in bocca, silenziosamente accettati, mai rivelati apertamente, proprio perché certezze, godevano di una strana forma di rispetto: forse perché parlarne a voce alta avrebbe umiliato delle persone, minando equilibri familiari che comunque andavano avanti, sia pure nella consapevolezza di una non normalità.
Era questo il caso della famiglia di Emanuele.
Eppure certe immagini, che ad una mente innocente rimangono inspiegabili, si fissano nella memoria per qualcosa in esse che è come una stonatura, una stranezza minima, e tornano ad incasellarsi in un insieme quando questo viene rivelato: e sono spiegate.
Ad esempio un modo strano con cui Natalina, la madre di Nazareno, salutò una volta suo padre: con un sorriso e chiamandolo per nome con una confidenziale simpatia superiore a quella del rapporto apparente che due compaesani, che si vedevano ormai solo d'estate, potevano avere. Quel sorriso e quel tono colpirono Sara appena adolescente, pur non avendo ancora ricevuta la confidenza di sua madre.
Dopo capì che era il segno di quello che c'era stato tra loro, molto tempo prima.
Quando i ragazzini del paese parlavano delle coppie di innamorati nominavano, insieme a quelle di fidanzati note a tutti, il nome di un fratello di sua madre, scapolo, e della madre di Emanuele. La sua mente infantile, pur ignara di tutto, non capiva quello strano accostamento: come faceva suo zio Gabriele e fare coppia con Erminia? Ella aveva un marito, Quinto, pallido e con i capelli neri, e due figli: Emanuele e Gabriella, di qualche anno più grande di Emanuele.
Suo zio Gabriele parlava in perfetto italiano, a differenza degli altri abitanti del paesino che, quando non si esprimevano in dialetto e si sforzavano di parlare in lingua, conservavano sempre un'inflessione dialettale e non eccellevano in sintassi...
Gabriele era atipico con quel suo parlare senza accento di alcun tipo, e aveva un eloquio forbito, sicuramente affascinante. Era inoltre un bell'uomo, alto magro, dinoccolato, con i capelli e gli occhi di un nocciola dorato. Erminia ne era palesemente innamorata e non riusciva a nasconderlo: come lo guardava, come pronunciava il suo nome... Sara non capiva come questo potesse coesistere con il silenzioso Quinto che in paese, dove ognuno aveva un soprannome, chiamavano "il Sordo". Egli si mostrava tranquillo e, via via che Sara cresceva e che le informazioni su quella coppia si delineavano meglio, ella notava altre stranezze. Come quella volta che Erminia, che la salutava sempre con simpatia e trasporto, incontrandola per via insistette perché andasse a vedere i lavori di ristrutturazione che aveva apportato alla sua casa. Timidamente Sara, allora adolescente, la seguì e con imbarazzo salutò Quinto che era in casa, il quale, in quell'occasione, sorrideva educatamente all'ospite mentre Erminia mostrava contenta le scale nuove e lucide, i muri dell'antica casa rurale risalente al 1300 abbattuti per creare con nuove tramezzature altri spazi, tutto pagato con i soldi di Emanuele, che lavorava nella ditta di uno zio paterno di Sara laggiù in città, e mandava i soldi ai genitori che non avevano reddito, vivendo solo del loro lavoro di agricoltori diretti aiutati da Gabriella.
Ora, dalle immagini trasmesse dai vari filmati sulla zona del sisma, quella casa ristrutturata senza i dovuti permessi da richiedere al Comune, come quasi tutte le ristrutturazioni fatte in quelle antiche costruzioni da muratori più o meno improvvisati, era in briciole. Sara aveva riconosciuto, fra i sassi e i cordoli di cemento posticci, una balaustra in legno di un soppalco che Erminia le aveva mostrato con felice orgoglio..
Come i piccoli sogni di quelle persone erano stati brutalmente distrutti dal terremoto.
Forse il pallido e silenzioso Quinto e la sorridente Erminia prima, incomprensibilmente acida verso Sara dopo, erano morti da tempo e nulla avevano visto di quella distruzione.
Ricordò che dietro la maschera di tranquillità Quinto doveva covare un odio frustrato nei riguardi di Gabriele e della sua genìa, e fra questa doveva annoverare anche l'innocente Sara e le sorelle dell'amato di sua moglie.
Glielo facevano pensare tre distinti episodi: uno lo raccontava con sconcerto sua madre.
Quinto si trovò a passare sotto le finestre della casa di Gabriele mentre, secondo gli usi del tempo, gettavano dell'acqua sporca dalla finestra, non essendoci tubature né di carico né di scarico delle acque. Era acqua rossa del sangue mestruale della più piccola delle sorelle di Gabriele, che aveva un mestruo particolarmente abbondante e all'epoca si usavano pannolini che poi andavano lavati.
Quinto fu udito gridare la frase: "E che ci stanno le "sbortitore"?!!!" In dialetto voleva dire donne che hanno abortito.
Le sorelle di Gabriele si adontarono per questa frase immotivatamente offensiva e infamante, ma non fecero nulla contro il velenoso autore di tale insinuante insulto.
L'altro episodio riguardava proprio lei, Sara, nipote di Gabriele, che non capì il comportamento di Quinto, dovette pensarci dopo per trovare una possibile spiegazione.
D'estate si andava tutti a vedere gli spettacoli televisivi più noti, tipo "Lascia o raddoppia?" e altri, nella saletta dell'unica locanda, negozio di alimentari, spaccio e osteria del paese, gestita dalla famiglia di Natalina. Ci si sedeva su delle sedie a pioli messe in file, una dietro l'altra. Spenta la luce per vedere meglio la TV in bianco e nero si assisteva allo spettacolo. Sara avrà avuto non più di quattordici anni e ad un certo punto sentì qualcuno muovere la sua sedia poggiando, da dietro, i piedi sul piolo che legava le due zampe del retro della sedia dove sedeva. Si era girata sorpresa e aveva visto che era il padre di Emanuele. Aveva pensato ad un gesto involontario che, con il suo semplice girarsi, sarebbe cessato, invece si ripetette e Sara, meravigliata dalla maleducazione maldestra di quell'uomo, si girò di nuovo, stavolta con espressione seccata, ma quello non smise, anzi dava continuamente scossette alla sua sedia disturbando la sua tranquilla visione della trasmissione e, quando Sara si rigirò per la terza volta con espressione fra l'arrabbiato e l'interrogativo, vide sul volto di quell'uomo, che per età poteva esserle padre, un sorrisetto fra il maligno e lo sfrontato a sottolineare che la cosa era proprio voluta, con quali intenti Sara non lo capì, visto che con quell'uomo non aveva mai avuto confidenza.
Dopo, ripensandoci, cercò di capire quale fosse l'intento di quell'uomo umiliato da sua moglie e da suo zio, forse lo stesso di screditare le sorelle di Gabriele con quella frase cattiva, quanto insensata, lanciata passando sotto le finestre dell'amante di sua moglie?
Sara non lo sapeva, ma a questo punto le tornò il ricordo di un'immagine che le si era stampata nella mente in modo indelebile per la sua anomalia ai suoi occhi di bambina molto piccola.
Lo zio Gabriele si avviava con un secchio verso la stalla dei maiali per portare loro il pasto. Lei gli aveva chiesto: "Vai a dare da mangiare ai maiali?"
Lui alla piccola aveva risposto distrattamente di si, continuando a camminare con il suo passo lento e dinoccolato. La bimba gli era andata dietro perché voleva vedere i maiali mentre mangiavano, ma con le sue gambette corte non riusciva a stare con il passo accanto allo zio. Era rimasta un poco indietro trotterellandogli dietro a distanza di alcuni metri. Vedeva suo zio camminare davanti a sé lentamente. Ad un tratto una figura adulta la superò frettolosamente sulla sua sinistra ignorandola, camminando a passo veloce raggiunse suo zio e lì rallentò camminandogli accanto. Era Erminia che recava anche lei il secchio per il pasto dei maiali, essendo quella l'ora di quell'incombenza per tutti. La stalla dei maiali di Erminia era una ventina di metri più avanti di quella di Gabriele, dunque fecero un breve tratto di strada insieme, una accanto all'altro, quando il braccio sinistro dello zio, che era libero e dal lato di Erminia, si allungò verso il suo sedere e la mano grande schiusa si chiuse su di esso così appassionatamente che la veste di lei si alzò scoprendole parte delle gambe e continuarono a camminare così, fianco a fianco, con la mano di lui lì, a testa china in avanti entrambi, superando la stalla di lui e continuando verso quella di lei. Sara si fermò senza capire la scena, ma registrandola per la sua anomalia, sentendo che era rimasta sola, che lo zio era dimentico di lei e non capendo perché non si era fermato alla stalla dei maiali dove lei voleva vedere il loro buffo modo di mangiare...
Ma ora, a quattordici anni, tutto le era chiaro e quell'uomo le appariva miserabile nel cercare una vendetta su figure familiari di Gabriele che in nulla entravano in quella sporca faccenda che lo riguardava.
Quando Gabriele morì Erminia cambiò nei riguardi di Sara. Non la salutava più con simpatia e, se la incontrava per via le rare volte che, ormai, Sara tornava in quei luoghi, le diceva frasi insinuanti sulla sua salute mentale dato che la famiglia di Gabriele era ritenuta da molti una famiglia di matti.
L'ultima volta che Sara aveva visto Quinto era in auto e stava uscendo dal paese dove era tornata per sistemare alcune questioni legate alle proprietà ereditate dalle famiglie dei suoi genitori: lui aveva volutamente fermato il somaro, dove fingeva di sistemare una soma di fascine, ostruendo la strada. Il marito di Sara al volante aveva suonato più volte, ma quello aveva finto di non sentire, finché un altro contadino non gli aveva detto: "Ma non vedi che c'è un'automobile?" Con il tono di chi aveva capito benissimo che quello lo stava facendo apposta.
Si scostò mostrando un'aria da tonto.
Sara disse a suo marito, inconsapevole delle storie di quel borgo: "In paese lo chiamano "il Sordo"."
Ora la strada era asfaltata ed erano ricresciuti alberi, cespugli e vegetazione.
Le tornarono alla mente le noiose passeggiate con qualche compagna estiva del posto lungo quel nastro di un bianco abbacinante, senza un punto d'ombra per ristoro. Ormai adolescente non era più felice di tornare in vacanza in quel luogo come da bambina, quando quel posto era la libertà assoluta di uscire di casa e gironzolare in un paese dove tutti si conoscevano da generazioni e bastava chiedere di persona in persona per ritrovare qualcuno e sapere dove fosse.
In uno dei quei pomeriggi, avendo accanto una compagna la cui immagine non ricordava, furono sorpassate da un'Ape guidata troppo velocemente su quei sassi bianchi da Nazareno, un giovane buono, dall'animo sempre pronto alla celia, allo scherzo, per ridere con spirito. Sotto i loro occhi stupefatti l'Ape sbandò spostandosi tutta alla propria sinistra e, tagliando in rapida diagonale la corsia opposta, deserta come tutta la strada, scendere lungo il ripido costone per cadere di sotto, là dove il nastro bianco, formando un'ampia curva, tornava indietro a circondare il costone stesso.
Sara e la sua accompagnatrice, rimaste basite dall'assurdo incidente, costernate e quasi piangenti corsero lungo la strada fino alla grande curva che formava il tornante, convinte che dopo di essa sarebbe apparso ai loro occhi Nazareno morto o gravemente ferito.
Quale fu la loro meraviglia, lieta, nel trovare Nazareno in piedi, accanto all'Apetta mezzo sfasciata, con un rivolo di sangue sulla faccia impolverata che dalla fronte gli scendeva fino al mento: sorrideva con la sua grande bocca simpatica e non diceva nulla. Sara e l'altra, felicemente sorprese, gli fecero mille domande: se stava bene, se dovevano chiamare qualcuno... Ma lui, sempre con quel sorriso tranquillo e sereno, le rassicurò e, ripresa la ormai scassata Ape, fece il secondo miracolo di rimetterla in moto e con essa partì scoppiettando, proseguendo nella direzione in cui doveva andare da prima di "accorciare", con quell'incomprensibile incidente, la strada da percorrere.
A sera Sara lo vide seduto fuori dalla sua casa, all'epoca la migliore del paese, con un cerotto in fronte. Sempre tranquillo la rassicurò sul suo stato di salute: aveva solo un taglietto che aveva lavato dalla polvere, disinfettato ed incerottato: niente ospedale, per carità, troppo lontano, e dunque niente punti.
In effetti gli usi del tempo e del posto erano tali che si ricorreva all'ospedale, distante una decina di chilometri, solo per disturbi gravissimi, incidenti quasi mortali e parti.
Nazareno era un bel ragazzo, somigliante a sua madre, fattrice di una numerosa figliolanza.
Insieme al ricordo di quello strano incidente ora pensava che allora non avrebbe mai immaginato quello che, con la semplicità che la distingueva, sua madre le aveva rivelato: la madre di Nazareno era la donna, allora più che trentenne, sposata e già mamma di alcuni dei suoi figli, che aveva tolto la verginità a suo padre allora sedicenne. Confidenza che Sara trovava normale che suo padre avesse rivelato a sua moglie... Ma dopo non poteva guardare senza meraviglia quella donna ormai non certo avvenente, vestita con abiti contadini, piuttosto trascurata, e immaginarla mentre attirava nella sua stalla suo padre adolescente.
Le dava inoltre un certo turbamento guardare il marito di lei, un uomo dai modi garbati e spicci ad un tempo che, quando era morto suo padre senza diventare vecchio, le aveva detto parole di stima verso di lui: "Era uno intelligente, non come tutti questi altri: dopo la guerra eravamo solo io e lui che ci davamo da fare qui, commerciavamo." Lei lo aveva ringraziato per l'apprezzamento nei riguardi di suo padre sentendosi però un po' in colpa e un po' a disagio per quel segreto rivelatole da sua madre.
Alcuni di questi segreti in un posto così circoscritto restavano sotto la cenere, e questo era uno di essi, ma altri venivano passati di bocca in bocca, silenziosamente accettati, mai rivelati apertamente, proprio perché certezze, godevano di una strana forma di rispetto: forse perché parlarne a voce alta avrebbe umiliato delle persone, minando equilibri familiari che comunque andavano avanti, sia pure nella consapevolezza di una non normalità.
Era questo il caso della famiglia di Emanuele.
Eppure certe immagini, che ad una mente innocente rimangono inspiegabili, si fissano nella memoria per qualcosa in esse che è come una stonatura, una stranezza minima, e tornano ad incasellarsi in un insieme quando questo viene rivelato: e sono spiegate.
Ad esempio un modo strano con cui Natalina, la madre di Nazareno, salutò una volta suo padre: con un sorriso e chiamandolo per nome con una confidenziale simpatia superiore a quella del rapporto apparente che due compaesani, che si vedevano ormai solo d'estate, potevano avere. Quel sorriso e quel tono colpirono Sara appena adolescente, pur non avendo ancora ricevuta la confidenza di sua madre.
Dopo capì che era il segno di quello che c'era stato tra loro, molto tempo prima.
Quando i ragazzini del paese parlavano delle coppie di innamorati nominavano, insieme a quelle di fidanzati note a tutti, il nome di un fratello di sua madre, scapolo, e della madre di Emanuele. La sua mente infantile, pur ignara di tutto, non capiva quello strano accostamento: come faceva suo zio Gabriele e fare coppia con Erminia? Ella aveva un marito, Quinto, pallido e con i capelli neri, e due figli: Emanuele e Gabriella, di qualche anno più grande di Emanuele.
Suo zio Gabriele parlava in perfetto italiano, a differenza degli altri abitanti del paesino che, quando non si esprimevano in dialetto e si sforzavano di parlare in lingua, conservavano sempre un'inflessione dialettale e non eccellevano in sintassi...
Gabriele era atipico con quel suo parlare senza accento di alcun tipo, e aveva un eloquio forbito, sicuramente affascinante. Era inoltre un bell'uomo, alto magro, dinoccolato, con i capelli e gli occhi di un nocciola dorato. Erminia ne era palesemente innamorata e non riusciva a nasconderlo: come lo guardava, come pronunciava il suo nome... Sara non capiva come questo potesse coesistere con il silenzioso Quinto che in paese, dove ognuno aveva un soprannome, chiamavano "il Sordo". Egli si mostrava tranquillo e, via via che Sara cresceva e che le informazioni su quella coppia si delineavano meglio, ella notava altre stranezze. Come quella volta che Erminia, che la salutava sempre con simpatia e trasporto, incontrandola per via insistette perché andasse a vedere i lavori di ristrutturazione che aveva apportato alla sua casa. Timidamente Sara, allora adolescente, la seguì e con imbarazzo salutò Quinto che era in casa, il quale, in quell'occasione, sorrideva educatamente all'ospite mentre Erminia mostrava contenta le scale nuove e lucide, i muri dell'antica casa rurale risalente al 1300 abbattuti per creare con nuove tramezzature altri spazi, tutto pagato con i soldi di Emanuele, che lavorava nella ditta di uno zio paterno di Sara laggiù in città, e mandava i soldi ai genitori che non avevano reddito, vivendo solo del loro lavoro di agricoltori diretti aiutati da Gabriella.
Ora, dalle immagini trasmesse dai vari filmati sulla zona del sisma, quella casa ristrutturata senza i dovuti permessi da richiedere al Comune, come quasi tutte le ristrutturazioni fatte in quelle antiche costruzioni da muratori più o meno improvvisati, era in briciole. Sara aveva riconosciuto, fra i sassi e i cordoli di cemento posticci, una balaustra in legno di un soppalco che Erminia le aveva mostrato con felice orgoglio..
Come i piccoli sogni di quelle persone erano stati brutalmente distrutti dal terremoto.
Forse il pallido e silenzioso Quinto e la sorridente Erminia prima, incomprensibilmente acida verso Sara dopo, erano morti da tempo e nulla avevano visto di quella distruzione.
Ricordò che dietro la maschera di tranquillità Quinto doveva covare un odio frustrato nei riguardi di Gabriele e della sua genìa, e fra questa doveva annoverare anche l'innocente Sara e le sorelle dell'amato di sua moglie.
Glielo facevano pensare tre distinti episodi: uno lo raccontava con sconcerto sua madre.
Quinto si trovò a passare sotto le finestre della casa di Gabriele mentre, secondo gli usi del tempo, gettavano dell'acqua sporca dalla finestra, non essendoci tubature né di carico né di scarico delle acque. Era acqua rossa del sangue mestruale della più piccola delle sorelle di Gabriele, che aveva un mestruo particolarmente abbondante e all'epoca si usavano pannolini che poi andavano lavati.
Quinto fu udito gridare la frase: "E che ci stanno le "sbortitore"?!!!" In dialetto voleva dire donne che hanno abortito.
Le sorelle di Gabriele si adontarono per questa frase immotivatamente offensiva e infamante, ma non fecero nulla contro il velenoso autore di tale insinuante insulto.
L'altro episodio riguardava proprio lei, Sara, nipote di Gabriele, che non capì il comportamento di Quinto, dovette pensarci dopo per trovare una possibile spiegazione.
D'estate si andava tutti a vedere gli spettacoli televisivi più noti, tipo "Lascia o raddoppia?" e altri, nella saletta dell'unica locanda, negozio di alimentari, spaccio e osteria del paese, gestita dalla famiglia di Natalina. Ci si sedeva su delle sedie a pioli messe in file, una dietro l'altra. Spenta la luce per vedere meglio la TV in bianco e nero si assisteva allo spettacolo. Sara avrà avuto non più di quattordici anni e ad un certo punto sentì qualcuno muovere la sua sedia poggiando, da dietro, i piedi sul piolo che legava le due zampe del retro della sedia dove sedeva. Si era girata sorpresa e aveva visto che era il padre di Emanuele. Aveva pensato ad un gesto involontario che, con il suo semplice girarsi, sarebbe cessato, invece si ripetette e Sara, meravigliata dalla maleducazione maldestra di quell'uomo, si girò di nuovo, stavolta con espressione seccata, ma quello non smise, anzi dava continuamente scossette alla sua sedia disturbando la sua tranquilla visione della trasmissione e, quando Sara si rigirò per la terza volta con espressione fra l'arrabbiato e l'interrogativo, vide sul volto di quell'uomo, che per età poteva esserle padre, un sorrisetto fra il maligno e lo sfrontato a sottolineare che la cosa era proprio voluta, con quali intenti Sara non lo capì, visto che con quell'uomo non aveva mai avuto confidenza.
Dopo, ripensandoci, cercò di capire quale fosse l'intento di quell'uomo umiliato da sua moglie e da suo zio, forse lo stesso di screditare le sorelle di Gabriele con quella frase cattiva, quanto insensata, lanciata passando sotto le finestre dell'amante di sua moglie?
Sara non lo sapeva, ma a questo punto le tornò il ricordo di un'immagine che le si era stampata nella mente in modo indelebile per la sua anomalia ai suoi occhi di bambina molto piccola.
Lo zio Gabriele si avviava con un secchio verso la stalla dei maiali per portare loro il pasto. Lei gli aveva chiesto: "Vai a dare da mangiare ai maiali?"
Lui alla piccola aveva risposto distrattamente di si, continuando a camminare con il suo passo lento e dinoccolato. La bimba gli era andata dietro perché voleva vedere i maiali mentre mangiavano, ma con le sue gambette corte non riusciva a stare con il passo accanto allo zio. Era rimasta un poco indietro trotterellandogli dietro a distanza di alcuni metri. Vedeva suo zio camminare davanti a sé lentamente. Ad un tratto una figura adulta la superò frettolosamente sulla sua sinistra ignorandola, camminando a passo veloce raggiunse suo zio e lì rallentò camminandogli accanto. Era Erminia che recava anche lei il secchio per il pasto dei maiali, essendo quella l'ora di quell'incombenza per tutti. La stalla dei maiali di Erminia era una ventina di metri più avanti di quella di Gabriele, dunque fecero un breve tratto di strada insieme, una accanto all'altro, quando il braccio sinistro dello zio, che era libero e dal lato di Erminia, si allungò verso il suo sedere e la mano grande schiusa si chiuse su di esso così appassionatamente che la veste di lei si alzò scoprendole parte delle gambe e continuarono a camminare così, fianco a fianco, con la mano di lui lì, a testa china in avanti entrambi, superando la stalla di lui e continuando verso quella di lei. Sara si fermò senza capire la scena, ma registrandola per la sua anomalia, sentendo che era rimasta sola, che lo zio era dimentico di lei e non capendo perché non si era fermato alla stalla dei maiali dove lei voleva vedere il loro buffo modo di mangiare...
Ma ora, a quattordici anni, tutto le era chiaro e quell'uomo le appariva miserabile nel cercare una vendetta su figure familiari di Gabriele che in nulla entravano in quella sporca faccenda che lo riguardava.
Quando Gabriele morì Erminia cambiò nei riguardi di Sara. Non la salutava più con simpatia e, se la incontrava per via le rare volte che, ormai, Sara tornava in quei luoghi, le diceva frasi insinuanti sulla sua salute mentale dato che la famiglia di Gabriele era ritenuta da molti una famiglia di matti.
L'ultima volta che Sara aveva visto Quinto era in auto e stava uscendo dal paese dove era tornata per sistemare alcune questioni legate alle proprietà ereditate dalle famiglie dei suoi genitori: lui aveva volutamente fermato il somaro, dove fingeva di sistemare una soma di fascine, ostruendo la strada. Il marito di Sara al volante aveva suonato più volte, ma quello aveva finto di non sentire, finché un altro contadino non gli aveva detto: "Ma non vedi che c'è un'automobile?" Con il tono di chi aveva capito benissimo che quello lo stava facendo apposta.
Si scostò mostrando un'aria da tonto.
Sara disse a suo marito, inconsapevole delle storie di quel borgo: "In paese lo chiamano "il Sordo"."