Sisma
Romanzo inedito di Rita Coltellese
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Il Romanzo viene pubblicato per capitoli, ad ogni nuovo capitolo verrà scritta la data di pubblicazione del precedente in modo che il lettore possa, tramite il calendario che appare a destra, ritrovare facilmente il precedente.
SISMA
Capitolo V
(Il Capitolo IV è stato pubblicato l'11 agosto 2019)
Quelle rovine ispiravano pensieri di altre rovine.
La figlia di Ernesto, la sciocca e tronfia maestrina, si era separata dal marito, un bel giovane che lavorava nel comune negozio di vernici insieme ai suoi fratelli. Ora era sola con l'unica figlia e la vecchia madre.
Le tornavano in mente notizie, che le erano arrivate senza cercarle, di cui non ricordava neppure le fonti, di questo marito gettato fuori di casa che dormiva in un garage o in una cantina... "Che tristezza!" Pensava Sara. Tronfia nel suo nulla, aveva pensato di essere una possidente terriera per quei terreni montani ereditati da suo padre e dai comuni zii, e nella sua piccola, limitata mente si era messa a tramare con due suoi cugini per escludere lei e un'altra cugina da una di queste successioni... L'aveva avvertita Daniela, la cugina che avevano tentato di escludere insieme a lei. Sara non si era nemmeno indignata di fronte a tanta stupidità: come escludere chi entra per diritto successorio come da Codice Civile se lo zio non aveva fatto alcun testamento? "Tre balordi." Questo aveva pensato Sara in tale circostanza e, telefonando a casa della figlia di Ernesto, aveva constatato anche l'infimo livello educativo impartito alla sua figliola ormai adolescente che, dopo aver risposto al telefono a Sara che cortesemente si era interessata ai suoi studi, nel passare il telefono alla madre le aveva chiesto a microfono udibile: "E' quella sciocca. E' vero che è scema?"
Signorilmente Sara aveva finto di nulla quando la cugina, che credeva di essere molto furba, aveva preso la cornetta. La miseria di quelle persone era tale che l'unica cosa che contava per lei era andare tutti a firmare dal notaio e chiudere finalmente con quelle persone. Daniela, dall'animo più semplice, continuava a scandalizzarsi e a ripetere quanto fosse falsa la maestrina mentre Sara, preoccupata per i suoi piccoli scolari, si chiedeva cosa mai potesse insegnare loro...
La rovina era ovunque. Risalì in macchina e percorse piano piano l'ultimo tratto di strada che conduceva alle porte del piccolo borgo.
La natura intorno non mostrava segni di sfacelo: i prati erano sempre verdi, i cespugli di rovi, dove d'estate potevi raccogliere more di due qualità, alcune dai tondi frutti violetti un poco aspre e altre, più dolci, dai frutti più piccoli di un nero lucido, con il loro verde scuro contrastavano il verde tenero dei prati, le colline intorno facevano da scalini per salire ai monti, più in alto, che lasciavano poi spazio all'azzurro del cielo.
Temeva di incontrare qualcuno. Voleva vivere quella solitudine di case crollate pensando alle vite assenti.
Appena all'imbocco del paesino vide a destra i primi crolli: era tutta una rovina di antichi sassi ammucchiati. Fino ad ora non c'era anima viva...
A sinistra costruzioni rurali fatte di assi sconnesse con coperture di lamiera, recinti per pollai o per maiali. Spinse lo sguardo oltre quelle povere stie improvvisate che, data la loro inconsistenza, erano state ignorate dalle scosse del terremoto non avendo potuto opporre ad esso alcuna resistenza. Attraverso i cespugli che crescevano dietro quei recinti intravide la famosa stalla dove Erminia consumava i suoi adulteri con suo zio Gabriele... Poco più avanti le sovvenne un altro triste ricordo della povertà dell'animo di un'altra persona: Clara, suocera del fratello di suo padre dove lavorava Emanuele, il figlio di Erminia e di suo marito Quinto.
Odi ed invidie meschine spenti da quelle rovine che ne mostravano ancora di più l'effimera meschinità .
Ed ecco le immagini scorsero nella sua mente.
"Mamma, - il bel faccino del suo figlio più piccolo, entrando nella casetta che suo padre aveva acquistato e riattato per le vacanze, mostrava un'espressione di meraviglia e stupore negli occhi - ma che la nonna di Alberto è matta?"
Lei capì subito che si trattava di Clara. I suoi figli conoscevano Alberto, figlio dello zio dove lavorava Emanuele, per averlo visto lì d'estate, anche lui in vacanza dalla nonna materna che abitava vicino alla casa di suo padre. Ignari degli odi meschini e sotterranei, purtroppo noti a Sara, gironzolando davanti ad uno di quei pollai avevano incontrato Clara, che per loro era la nonna del cugino della mamma e null'altro. Erano dunque rimasti di stucco quando quella, profittando del fatto che i bambini erano soli e intorno non passava nessuno, aveva fatto una faccia maligna dicendo loro: "Voi siete matti perché vostra nonna è matta!" I ragazzini sorpresi da quell'atteggiamento e da quelle assurde parole avevano giustamente pensato che se una matta c'era era lei, Clara.
Sara provò a spiegare ai suoi bambini che quella donna era piena di livore poveretta e, con quella frase, voleva colpirli, senza sapere, perché troppo distante per livello di intelligenza e civiltà, che il suo intento si infrangeva contro la mentalità di persone cresciute in un altro ambiente, la cui apertura mentale le era sconosciuta.
Chiusa in un piccolo mondo rurale, dotata di un carattere aggressivo ed invidioso, Clara odiava il padre di Sara per aver questi sconsigliato suo fratello dallo sposare la figlia.
La ragione apparente poteva sembrare essere un omicidio avvenuto nella famiglia di Clara: una sua sorella aveva commesso un fratricidio. Più che la morale in quei luoghi contava la ferocia con cui si gettava la croce addosso a chi avesse avuto una qualsiasi disgrazia in famiglia. Invece di pietà per chi innocente soffriva un dramma avvenuto in famiglia, gli si rinfacciava per generazioni l'essere, in questo caso, "una razza di assassini". Forse, si chiedeva Sara, era stato quel devastante dolore, insieme alla malvagità della gente, ad inasprire così il carattere di Clara? Non lo sapeva, ma di certo la sua dolce madre, che ora colei bollava come matta e che dunque anche i suoi bambini dovevano essere tali, le aveva sempre parlato con rispetto e pietà della povera assassina, distinguendosi totalmente dalla feroce mentalità dei luoghi dove pure era nata. Segno che ci si può evolvere in tanti modi diversi se si ha intelligenza del cuore. Suo padre era diverso, pur essendo un uomo che amava il suo prossimo, davanti alla cattiveria e all'ostilità, reagiva con parole crude e spietate. Di quel fatto di sangue, raro in quelle zone, disse a sua figlia: "Tu non sai che razza di gente è questa: per sollevarla dal gesto che aveva compiuto accoltellando suo fratello, nel processo dissero che lui la insidiava! Ti rendi conto dell'abiettume?!"
Sara pensò che magari poteva essere vero.. Anche se quando suo padre le diceva queste cose era molto giovane e certe brutture che esistono le allontanava dal pensiero con orrore. Sua madre non prese mai in considerazione una simile versione, con tristezza dolorosa diceva brevemente: "Pare che lui la rimproverasse dicendole che non sapeva potare le viti e lei aveva in mano il coltello con cui scacchiava i tralci e, reagendo con un gesto di ira, l'aveva colpito."
Sara disse a suo padre che in fondo Clara e sua figlia erano vittime di qualcosa che certo non avevano commesso loro e quindi lui aveva sbagliato a dire a suo fratello che non doveva sposare Filomena, anche perché, gli confessò, lei era bambina piccola e dormiva in braccio a sua madre quando lui, avendo accanto la nonna di Sara silente, diceva queste cose allo zio, e sua madre, volendo intervenire per dire qualcosa, subito zittita da lui, si muoveva disturbando il suo sonno e lei seccata aveva pensato: "Ma papà non vede la faccia dello zio, non si accorge che quello che gli sta dicendo non gli va bene? Poi se la sposerà lo odierà.." Sara si stupiva della precoce perspicacia di quella bambina che era stata. Aveva molti nitidi ricordi dei suoi primi anni, ricordava le immagini e i pensieri che faceva in un'età in cui spesso altri non ricordano nulla..
Ma suo padre le rivelò che non era stato quello il motivo.
La rovina era ovunque. Risalì in macchina e percorse piano piano l'ultimo tratto di strada che conduceva alle porte del piccolo borgo.
La natura intorno non mostrava segni di sfacelo: i prati erano sempre verdi, i cespugli di rovi, dove d'estate potevi raccogliere more di due qualità, alcune dai tondi frutti violetti un poco aspre e altre, più dolci, dai frutti più piccoli di un nero lucido, con il loro verde scuro contrastavano il verde tenero dei prati, le colline intorno facevano da scalini per salire ai monti, più in alto, che lasciavano poi spazio all'azzurro del cielo.
Temeva di incontrare qualcuno. Voleva vivere quella solitudine di case crollate pensando alle vite assenti.
Appena all'imbocco del paesino vide a destra i primi crolli: era tutta una rovina di antichi sassi ammucchiati. Fino ad ora non c'era anima viva...
A sinistra costruzioni rurali fatte di assi sconnesse con coperture di lamiera, recinti per pollai o per maiali. Spinse lo sguardo oltre quelle povere stie improvvisate che, data la loro inconsistenza, erano state ignorate dalle scosse del terremoto non avendo potuto opporre ad esso alcuna resistenza. Attraverso i cespugli che crescevano dietro quei recinti intravide la famosa stalla dove Erminia consumava i suoi adulteri con suo zio Gabriele... Poco più avanti le sovvenne un altro triste ricordo della povertà dell'animo di un'altra persona: Clara, suocera del fratello di suo padre dove lavorava Emanuele, il figlio di Erminia e di suo marito Quinto.
Odi ed invidie meschine spenti da quelle rovine che ne mostravano ancora di più l'effimera meschinità .
Ed ecco le immagini scorsero nella sua mente.
"Mamma, - il bel faccino del suo figlio più piccolo, entrando nella casetta che suo padre aveva acquistato e riattato per le vacanze, mostrava un'espressione di meraviglia e stupore negli occhi - ma che la nonna di Alberto è matta?"
Lei capì subito che si trattava di Clara. I suoi figli conoscevano Alberto, figlio dello zio dove lavorava Emanuele, per averlo visto lì d'estate, anche lui in vacanza dalla nonna materna che abitava vicino alla casa di suo padre. Ignari degli odi meschini e sotterranei, purtroppo noti a Sara, gironzolando davanti ad uno di quei pollai avevano incontrato Clara, che per loro era la nonna del cugino della mamma e null'altro. Erano dunque rimasti di stucco quando quella, profittando del fatto che i bambini erano soli e intorno non passava nessuno, aveva fatto una faccia maligna dicendo loro: "Voi siete matti perché vostra nonna è matta!" I ragazzini sorpresi da quell'atteggiamento e da quelle assurde parole avevano giustamente pensato che se una matta c'era era lei, Clara.
Sara provò a spiegare ai suoi bambini che quella donna era piena di livore poveretta e, con quella frase, voleva colpirli, senza sapere, perché troppo distante per livello di intelligenza e civiltà, che il suo intento si infrangeva contro la mentalità di persone cresciute in un altro ambiente, la cui apertura mentale le era sconosciuta.
Chiusa in un piccolo mondo rurale, dotata di un carattere aggressivo ed invidioso, Clara odiava il padre di Sara per aver questi sconsigliato suo fratello dallo sposare la figlia.
La ragione apparente poteva sembrare essere un omicidio avvenuto nella famiglia di Clara: una sua sorella aveva commesso un fratricidio. Più che la morale in quei luoghi contava la ferocia con cui si gettava la croce addosso a chi avesse avuto una qualsiasi disgrazia in famiglia. Invece di pietà per chi innocente soffriva un dramma avvenuto in famiglia, gli si rinfacciava per generazioni l'essere, in questo caso, "una razza di assassini". Forse, si chiedeva Sara, era stato quel devastante dolore, insieme alla malvagità della gente, ad inasprire così il carattere di Clara? Non lo sapeva, ma di certo la sua dolce madre, che ora colei bollava come matta e che dunque anche i suoi bambini dovevano essere tali, le aveva sempre parlato con rispetto e pietà della povera assassina, distinguendosi totalmente dalla feroce mentalità dei luoghi dove pure era nata. Segno che ci si può evolvere in tanti modi diversi se si ha intelligenza del cuore. Suo padre era diverso, pur essendo un uomo che amava il suo prossimo, davanti alla cattiveria e all'ostilità, reagiva con parole crude e spietate. Di quel fatto di sangue, raro in quelle zone, disse a sua figlia: "Tu non sai che razza di gente è questa: per sollevarla dal gesto che aveva compiuto accoltellando suo fratello, nel processo dissero che lui la insidiava! Ti rendi conto dell'abiettume?!"
Sara pensò che magari poteva essere vero.. Anche se quando suo padre le diceva queste cose era molto giovane e certe brutture che esistono le allontanava dal pensiero con orrore. Sua madre non prese mai in considerazione una simile versione, con tristezza dolorosa diceva brevemente: "Pare che lui la rimproverasse dicendole che non sapeva potare le viti e lei aveva in mano il coltello con cui scacchiava i tralci e, reagendo con un gesto di ira, l'aveva colpito."
Sara disse a suo padre che in fondo Clara e sua figlia erano vittime di qualcosa che certo non avevano commesso loro e quindi lui aveva sbagliato a dire a suo fratello che non doveva sposare Filomena, anche perché, gli confessò, lei era bambina piccola e dormiva in braccio a sua madre quando lui, avendo accanto la nonna di Sara silente, diceva queste cose allo zio, e sua madre, volendo intervenire per dire qualcosa, subito zittita da lui, si muoveva disturbando il suo sonno e lei seccata aveva pensato: "Ma papà non vede la faccia dello zio, non si accorge che quello che gli sta dicendo non gli va bene? Poi se la sposerà lo odierà.." Sara si stupiva della precoce perspicacia di quella bambina che era stata. Aveva molti nitidi ricordi dei suoi primi anni, ricordava le immagini e i pensieri che faceva in un'età in cui spesso altri non ricordano nulla..
Ma suo padre le rivelò che non era stato quello il motivo.