Sisma
Romanzo inedito di Rita Coltellese
Romanzo inedito di Rita Coltellese
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Il Romanzo viene pubblicato per capitoli, ad ogni nuovo capitolo verrà scritta la data di pubblicazione del precedente in modo che il lettore possa, tramite il calendario che appare a destra, ritrovare facilmente il precedente.
SISMA
Capitolo VIII
(Il Capitolo VII è stato pubblicato il 28 settembre 2019)
Da quella piazza si dipartivano due sentieri, due tratturi in terra battuta: partivano con un'unica apertura ampia per poi restringersi là dove si biforcavano, uno che saliva il fianco della collina, per poi tornare quasi pianeggiante ma avendo su un lato il terreno digradante con ripida pendenza verso la valle, l'altro che proseguiva dritto costeggiando un orto segreto agli sguardi esterni, protetto da un cancelletto di fitti rami intrecciati e da una spessa siepe da cui traboccavano in profumo e in rosea bellezza delle rose canine.
Sara gettò uno sguardo all'imbocco di quei sentieri che conducevano entrambi ad una valle interna della collina in cui sorgeva quel paesino. Era una valle in dolce pendenza in cui gli abitanti di quel borgo avevano ciascuno un piccolo appezzamento di terreno, giacché la mancanza di elasticità mentale, quando non la grettezza, aveva indotto le famiglie a frammentare i terreni vasti dividendoseli ad ogni successione. Piuttosto che dire: "A te quel podere e a me quest'altro", avevano preferito dividerne ciascuno a striscie più piccole, giacché ogni terreno poteva avere qualcosa in più o qualcosa in meno rispetto all'altro...
Il sentiero in salita portava alla parte più alta di quella valletta fertile e quello dritto alla parte bassa; Sara ricordò i suoi percorsi estivi su quei sentieri e il profumo acuto e dolcissimo ad un tempo della rosa canina... Poi a metà del percorso del tratturo che proseguiva dritto c'era a lato di esso un sorbo: non apparteneva a nessuno, era sorto rigoglioso sul ciglio della strada e Sara non aveva mai più mangiato frutta più buona di quelle sorbe...
Lasciò quei dolci ricordi e girò lo sguardo sulla piazza. L'edificio bianco costruito dal marito di Natalina era ancora lì, in piedi, segno che era stato costruito bene, nonostante fosse il primo edificio nuovo costruito in quel borgo almeno sessanta anni prima.
Un uomo di piccola statura sedeva desolato sul sedile di pietra esterno addossato alle mura.
Si guardarono in silenzio, studiandosi nel tentativo di riconoscersi.
Lei era favorita dal fatto che, se lui era lì, doveva essere uno dei numerosi figli di Natalina... Ma quale? Mentre la donna frugava nella sua mente, cercando di riconoscere con lo sguardo quel volto necessariamente invecchiato per dargli un nome, lui faceva altrettanto senza riuscirci.
"Buongiorno." Salutò lei per prima.
"Buongiorno." Rispose l'uomo scrutandola con timida diffidenza.
"Immagino che sei uno dei figli di Tommaso e Natalina?" Chiese con un gentile sorriso la donna.
"E lei chi è?"
Rispose l'uomo senza rispondere alla domanda.
"Sono la figlia di Giovanni Cassini... "Nanni".." Aggiunse il nomignolo con il quale suo padre era universalmente conosciuto nel suo paese natale.
Il volto dell'uomo si schiarì un poco mantenendo però una patina di malinconia: "Ah! Ho capito! Come ti chiami? Non mi ricordo..."
"Sara." Disse prontamente la donna, mentre percepiva che quello non poteva essere uno dei figli di Natalina, tutti nati prima di lei, perché era un uomo che dimostrava un'età intorno ai cinquanta anni, anche se i tratti del suo volto ne ricordavano altri, in particolare quelli di un figlio di Natalina che una volta era stato in visita nella casa dove lei, bambina, viveva con i suoi genitori in un bel quartiere di Roma. Era venuto con la sua fresca sposa, una bella ragazza un po' in carne, piena di salute e di sorriso. Forse poteva essere suo figlio.
"Io sono Tommaso, sono il figlio di Giuseppe."
Sara capì. L'uomo del suo ricordo era dunque lo zio della persona con cui stava parlando, dato che Giuseppe era l'unico della numerosa prole di Tommaso e Natalina che era rimasto lì a vivere ed a gestire l'attività commerciale della famiglia.
"Hai il nome di tuo nonno." Osservò con un sorriso Sara.
"Come mai sei venuta?" Domandò l'uomo sempre rimanendo seduto sul sedile con l'aria stanca. Poi, senza attendere risposta, fece un gesto ampio del braccio verso il centro del paese: "Qui è tutto distrutto.. Non c'è più niente.."
Sara si sentì stringere il cuore davanti a quella tristezza che leggeva nei gesti e nel viso dell'uomo. Era giustamente annichilito da tanta potenza della natura che aveva distrutto tutto e si sentiva inerme di fronte a tutto questo.
Non osava dirgli nulla perché ogni parola sapeva che sarebbe suonata vana, ma qualcosa doveva pur dire: "Ora chi è rimasto in paese?"
"Nessuno, - disse sempre più desolato Tommaso - due o tre persone perché è tutto zona rossa."
"Certo la vostra attività..." Provò a dire quasi con pudore la donna, dato che la situazione era visibilmente disperata.
"Eh!" Proferì con rattenuta e rassegnata desolazione l'uomo alzando le spalle e scrollando la testa.
Non c'era nulla da dire. Cosa poteva chiedere a quell'uomo: "Come fai a vivere? Vi danno qualcosa?" Era improponibile.
Aveva sperato di non incontrare nessuno ma era inevitabile che, sia pure in una zona desertificata dal terremoto, qualcuno ci poteva essere.
Girando la testa verso la strada che portava al centro del borgo chiese: "Ma si può entrare nella zona rossa?"
Sara gettò uno sguardo all'imbocco di quei sentieri che conducevano entrambi ad una valle interna della collina in cui sorgeva quel paesino. Era una valle in dolce pendenza in cui gli abitanti di quel borgo avevano ciascuno un piccolo appezzamento di terreno, giacché la mancanza di elasticità mentale, quando non la grettezza, aveva indotto le famiglie a frammentare i terreni vasti dividendoseli ad ogni successione. Piuttosto che dire: "A te quel podere e a me quest'altro", avevano preferito dividerne ciascuno a striscie più piccole, giacché ogni terreno poteva avere qualcosa in più o qualcosa in meno rispetto all'altro...
Il sentiero in salita portava alla parte più alta di quella valletta fertile e quello dritto alla parte bassa; Sara ricordò i suoi percorsi estivi su quei sentieri e il profumo acuto e dolcissimo ad un tempo della rosa canina... Poi a metà del percorso del tratturo che proseguiva dritto c'era a lato di esso un sorbo: non apparteneva a nessuno, era sorto rigoglioso sul ciglio della strada e Sara non aveva mai più mangiato frutta più buona di quelle sorbe...
Lasciò quei dolci ricordi e girò lo sguardo sulla piazza. L'edificio bianco costruito dal marito di Natalina era ancora lì, in piedi, segno che era stato costruito bene, nonostante fosse il primo edificio nuovo costruito in quel borgo almeno sessanta anni prima.
Un uomo di piccola statura sedeva desolato sul sedile di pietra esterno addossato alle mura.
Si guardarono in silenzio, studiandosi nel tentativo di riconoscersi.
Lei era favorita dal fatto che, se lui era lì, doveva essere uno dei numerosi figli di Natalina... Ma quale? Mentre la donna frugava nella sua mente, cercando di riconoscere con lo sguardo quel volto necessariamente invecchiato per dargli un nome, lui faceva altrettanto senza riuscirci.
"Buongiorno." Salutò lei per prima.
"Buongiorno." Rispose l'uomo scrutandola con timida diffidenza.
"Immagino che sei uno dei figli di Tommaso e Natalina?" Chiese con un gentile sorriso la donna.
"E lei chi è?"
Rispose l'uomo senza rispondere alla domanda.
"Sono la figlia di Giovanni Cassini... "Nanni".." Aggiunse il nomignolo con il quale suo padre era universalmente conosciuto nel suo paese natale.
Il volto dell'uomo si schiarì un poco mantenendo però una patina di malinconia: "Ah! Ho capito! Come ti chiami? Non mi ricordo..."
"Sara." Disse prontamente la donna, mentre percepiva che quello non poteva essere uno dei figli di Natalina, tutti nati prima di lei, perché era un uomo che dimostrava un'età intorno ai cinquanta anni, anche se i tratti del suo volto ne ricordavano altri, in particolare quelli di un figlio di Natalina che una volta era stato in visita nella casa dove lei, bambina, viveva con i suoi genitori in un bel quartiere di Roma. Era venuto con la sua fresca sposa, una bella ragazza un po' in carne, piena di salute e di sorriso. Forse poteva essere suo figlio.
"Io sono Tommaso, sono il figlio di Giuseppe."
Sara capì. L'uomo del suo ricordo era dunque lo zio della persona con cui stava parlando, dato che Giuseppe era l'unico della numerosa prole di Tommaso e Natalina che era rimasto lì a vivere ed a gestire l'attività commerciale della famiglia.
"Hai il nome di tuo nonno." Osservò con un sorriso Sara.
"Come mai sei venuta?" Domandò l'uomo sempre rimanendo seduto sul sedile con l'aria stanca. Poi, senza attendere risposta, fece un gesto ampio del braccio verso il centro del paese: "Qui è tutto distrutto.. Non c'è più niente.."
Sara si sentì stringere il cuore davanti a quella tristezza che leggeva nei gesti e nel viso dell'uomo. Era giustamente annichilito da tanta potenza della natura che aveva distrutto tutto e si sentiva inerme di fronte a tutto questo.
Non osava dirgli nulla perché ogni parola sapeva che sarebbe suonata vana, ma qualcosa doveva pur dire: "Ora chi è rimasto in paese?"
"Nessuno, - disse sempre più desolato Tommaso - due o tre persone perché è tutto zona rossa."
"Certo la vostra attività..." Provò a dire quasi con pudore la donna, dato che la situazione era visibilmente disperata.
"Eh!" Proferì con rattenuta e rassegnata desolazione l'uomo alzando le spalle e scrollando la testa.
Non c'era nulla da dire. Cosa poteva chiedere a quell'uomo: "Come fai a vivere? Vi danno qualcosa?" Era improponibile.
Aveva sperato di non incontrare nessuno ma era inevitabile che, sia pure in una zona desertificata dal terremoto, qualcuno ci poteva essere.
Girando la testa verso la strada che portava al centro del borgo chiese: "Ma si può entrare nella zona rossa?"