Solitudine al terzo piano
“Vive sola. Viene solo la figlia a portarle la spesa. Non esce più.
Quando ancora usciva sentivo il ticchettio dei suoi tacchi sull’impiantito
quando passava nell’androne del palazzo”.
La parente che così le parlava
era sola come la solitaria del terzo piano.
Due solitudini diverse, eppure
per certi versi simili viste dal punto di vista di Norma.
Pensava a quella donna aspra,
chiusa nel suo grande appartamento, sperduta in quello spazio ormai inutile per
lei soltanto…
Aveva lottato per quel benessere ottenuto con suo marito ed ora un terremoto le aveva lasciato due ville con qualche lesione in un deserto di macerie nel luogo dove era nata e dove era triste e impossibile tornare.
Forse pensava a quei luoghi nelle lunghe ore solitarie; oppure a quel figlio andatosene troppo presto e soffrendo, poi a suo marito, che per fortuna era morto prima senza provare cosa vuol dire perdere un figlio. E lontano nel tempo a quel fratello ucciso da un autobus... La sua solitudine non era stata voluta, cercata, era capitata.
Dura anche con i figli la ricordava Norma.
La vita l'aveva costretta ad accumulare lutti, né quell'unica figlia rimastale era tornata per questo a vivere con lei, pur abitando nella stessa città.
Ormai anziana e nubile preferiva restare nella sua casa, acquistata tanto tempo prima.
Che silenzi viveva lassù sola con i suoi pensieri? Troppo aveva vissuto per vedere solo macerie...
Chi dava sue sporadiche notizie a Norma abitava nello stesso stabile. Parente di Norma ma non della solitaria del terzo piano.
Coscienti entrambe di quell'innominata parente comune, non si erano mai parlate.
Norma con entrambe era stata disponibile all'amore, cosciente che esso è di vantaggio per tutte le parti, ma da entrambe aveva imparato che questa sua lucida visione non era condivisa, preferendo entrambe, così distanti e diverse, l'ostilità e il rifiuto del suo affetto. Gesti, atteggiamenti e parole erano stati sempre improntati alla distanza.
Nel caso della solitudine del terzo piano, il rancore, l'ostilità, della zia acquisita avevano radici lontane e riguardavano il padre di Norma e, in generale, tutta la famiglia di suo marito.
Nel caso della solitudine del piano terra forse si trattava di una inguaribile malata invidia.
La vita era ormai trascorsa e i solchi creati da quelle ostilità ormai invalicabili.
Con la parente del piano terra, che le dava sporadiche informazioni su quella donna che tante cose sgradevoli aveva detto su suo padre, Norma aveva laschi contatti tramite una persona cara che costituiva l'anello di congiunzione parentale fra loro.
Costei aveva costruito con accanimento la sua solitudine servendo persone egoiste ed ipocrite in piena coscienza. A Norma aveva detto di sé stessa: "Sono una serva nata". Avendo in sé questa distorta percezione dei rapporti umani, andava bene solo con chi la sfruttava. Se Norma avesse fatto lo stesso la donna si sarebbe sentita importante: facendosi sfruttare. Ma Norma non poteva accettare rapporti così degradanti e malati, buoni per gente senza dignità e priva di valori. Così aveva mal sopportato quella parente, anch'essa acquisita come la zia del terzo piano, che l'aveva fatta oggetto di critiche e paragoni con le persone a cui dava servilmente aiuto vantandone qualità inesistenti.
Causa quell'anello di congiunzione che Norma amava e da cui era amata capitava che, sia pur raramente, si trovasse a parlarci e capitava che le arrivassero echi della vita lontana di quella parente solitaria del terzo piano, che aveva in comune con la donna sola del piano terra il circondarsi di parenti bisognosi di aiuto ed interessati...
Solitudini simili nell'ostinata ingiustizia perseguita nei loro rapporti umani.
Ci sono persone che creano intorno a sé schermi invisibili, impenetrabili a qualsiasi manifestazione di umano affetto da parte di alcune persone che rifiutano per ragioni mai nobili, se non suffragate da offese o affronti.
Nel caso di Norma le offese e gli affronti li aveva ricevuti lei da quelle due donne. Più dalla donna sola del primo piano che da quella infelice del terzo.
Infelice per forza, giacché nessuno può essere più felice se ha seppellito un figlio.
L'ostilità si manifesta con atteggiamenti, parole e anche fatti e costruisce lo schermo invisibile e rimane così fino alla morte. A lei l'ostilità di quella solitaria del terzo piano era arrivata di rimbalzo dal bersaglio che era suo padre.
"Queste due persone hanno molte cose in comune - Pensava Norma. - Non hanno umiltà, quella luce dell'intelligenza che ti fa pensare a cosa di giusto o ingiusto tu possa aver fatto."
L'aspra solitaria del terzo piano avrebbe dovuto chiedersi perché il fratello di suo marito aveva cercato di dissuaderlo dallo sposarla, invece di odiarlo per questo, covando un rancore che aveva espresso irridendo ogni cosa riguardasse quell'uomo diventato suo cognato.
Avrebbe dovuto ricordarsi che aveva insultato pesantemente la madre e la sorella di colui che poi l'aveva chiesta comunque in sposa.
Ma quella donna non avrebbe mai potuto fare una così umile ammissione con sé stessa, dato che poi aveva ripetuto l'errore urlando insulti della medesima specie alla moglie di un altro fratello di suo marito e alla loro figlia adolescente. Era la sua natura.
Allo stesso modo l'altra del primo piano aveva paura di ammettere con sé stessa altre miserie...
Dietro certe solitudini esistono errori voluti e ripetuti quanto miserabili.