Capitolo IV
L'immensa pietà che provava per lei, mista all'amore protettivo che sempre aveva avuto nei suoi riguardi, l'invadevano ora e la spingevano ad agire verso una speranza che così non fosse.
Arrivarono finalmente all'ospedale vicino alla sua abitazione.
Disse agli infermieri che sua madre non poteva camminare e di fare piano nel passarla dal sedile sdraiato dell'auto alla poltrona a rotelle. Ciò nonostante sua madre in questo passaggio dette un grido.
Lo stesso che aveva dato un mese prima quando, avendo lamentato "un dolore al costato", lei l'aveva condotta ad una visita Cardiologica.
Nello stendersi sul lettino del Cardiologo aveva mandato quel grido acuto e subito lei l'aveva interrogata e sua madre aveva ripetuto, davanti al Cardiologo e all'infermiera che poi le aveva fatto l'elettrocardiogramma, di sentire una fitta al costato.
L'elettrocardiogramma per il dottore andava bene e sul dolore disse che poteva essere un dolore reumatico.
Non convinta aveva chiesto a Diego, che studiando all'università era più disponibile dei suoi fratelli maggiori non avendo vincoli di lavoro, se la poteva accompagnare a fare una radiografia al torace che lei si era affrettata a prenotarle.
Ma anche da quella radiografia non era risultato niente.
Vedendola angosciata dal dover chiedere a suo figlio di sostituirla ogni tanto nelle incombenze nei riguardi di sua madre, una sua collega sindacalista con cui divideva la stanza le disse: "Perché non chiedi la 104?"
"E cosa è la 104?" Chiese Rita.
"E' una legge uscita un paio di anni fa. Se tua madre è anziana, mi hai detto che ha 85 anni no? E ha problemi di salute, puoi chiedere che ti riconoscano il diritto a chiedere dei permessi per assisterla che non si cumulano con quelli personali di cui abbiamo annualmente diritto."
"E cosa bisogna fare per ottenerli?"
"Devi fare domanda, poi chiamano a visita tua madre e tu porti gli esami che avrà fatto per le sue patologie e di sicuro ti concedono i benefici della legge 104."
Sentito che avrebbe dovuto condurre sua madre a controlli medici non per la sua salute, ma per far ottenere a sé stessa dei permessi in più, Rita scosse la testa: "Mia madre si agita anche solo per fare un elettrocardiogramma, non posso sottoporla ad uno stress per ottenere io qualcosa."
La collega non nascose il suo ironico stupore: "Perché devi consumare i permessi normali e le ferie o chiedere a tuo figlio..? Fai come vuoi." Concluse con indifferenza.
Ma Rita ricordava quando aveva condotto sua madre a fare una visita di controllo cardiologica, anni prima, e solo per fare l'ECG, benché rassicurata dalla figlia, si era fatta alzare la pressione sanguigna a 200 per l'interna agitazione e il Cardiologo dell'Ambulatorio di quello stesso Ospedale dove oggi l'aveva portata aveva detto: "Con questa pressione io la ricovero." Lei non si era opposta, temendo il peggio se l'avesse ricondotta a casa in quello stato. Era stato un ricovero breve, ma le avevano dato una terapia oltre quella che già prendeva per l'insufficienza coronarica che le avevano scoperto grazie a lei, che si era preoccupata per l'affanno che aveva nel fare quell'unica rampa di scale per arrivare nell'appartamento dove vivevano insieme dopo la morte di suo padre.
Durante quel breve, imprevisto ricovero ogni gorno dopo il lavoro saliva verso l'Ospedale che era in alto, sulla collina.
Un giorno una compagna di stanza della corsia dove era ricoverata sua madre le disse timidamente: "Guardi signora che sua mamma butta dalla finestra le pillole che l'infermiera le lascia sul tavolino poggiate in una garzina.."
Conoscendo le stranezze anarchiche di sua madre Rita guardò severamente la sua genitrice, sentendosi nel contempo di nuovo a nudo per quei suoi comportamenti anomali: "Mamma, ma davvero?" Serena fece uno dei suoi sorrisetti, ben noti a sua figlia Rita, di quando veniva colta in fallo e non negò.
A questo punto Rita le disse: "Allora cosa ci stai a fare qui se non fai la terapia?"
Prima di andare a casa, dove l'attendevano numerose incombenze essendone uscita la mattina presto per andare in ufficio, passò nella Infermeria del Reparto a comunicare quanto aveva appreso ed esprimendo tutto il suo sconcerto per il sistema che usavano per effettuare la terapia. "Scusate, ma perché non vi accertate che il paziente abbia preso le pillole? Le lasciate lì, poggiate su una garzina.." Sconcertate le infermiere dissero che "lì si faceva così" ma che comunque nel caso di sua madre avrebbero provveduto a fargliele prendere.
Quel giorno era tornata a casa arrabbiata e si era sfogata con suo marito, sempre comprensivo verso quel problema che sua moglie aveva da sempre e di cui gli aveva parlato subito, appena lui aveva parlato di matrimonio. L'indomani decise di non salire su all'Ospedale tornando dal lavoro, voleva punirla, che capisse che non era lì per gioco.. Serena non vedendola le telefonò dal telefono a gettone che era nel corridoio: "Rita, non vieni?" Si capiva dal tono che era rinsavita. Faceva sempre così quando la figlia si arrabbiava.
"No mamma, non vengo! Perché mi hai fatto inquietare. Butti le medicine dalla finestra! Così impari!" Lei sembrava dispiaciuta. "Domani vieni?"
"Si, domani vengo e ti riporto al pensionato, tanto è inutile che tu stia lì."
Aveva dovuto prendersi cura di sua madre da quando era morto suo padre lottando anche contro le sue stranezze.
Da quando era stata costretta a fare la scelta di farla vivere nel piccolo pensionato di suore che conosceva perché era lì che suo padre, d'accordo con i suoi fratelli, aveva ricoverato sua madre per sottrarla alla convivenza con il figlio maggiore, alcoolizzato e violento, le telefonava ogni giorno, se non era lei stessa a chiamarla anche ad ore impossibili.
Un giorno che l'aveva chiamata lei, Rita, le disse che da giorni non mangiava più perché aveva un dente che si muoveva: "Ma ieri non mi hai detto nulla! - Proferì costernata. - "Oggi è sabato come posso trovare aperto un dentista?"
Poi come sempre, come al solito, cercò la soluzione immediata, spinta da un acuto senso del dovere indotto forse dalla situazione in cui si era trovata nel nascere: due genitori che sempre rovesciavano su di lei i loro problemi.
Cercò nella mente a chi poteva rivolgersi e lo trovò. Il Dott. Franceschi, un Medico Chirurgo Dentista, di quelli della vecchia scuola, in cui bastava la Laurea in Medicina e Chirurgia per esercitare la professione di Dentista. L'aveva scovato tanto tempo prima sulle Pagine Gialle, quando il suo allora fidanzato lamentava un problema ai denti che, per conformazione, avevano le radici "uncinate" e per questo egli raccontava di una terribile esperienza con un dentista che non riusciva a completare un'estrazione. Ora aveva male ad un dente che doveva essere estratto ed egli era terrorizzato al pensiero e non sapeva da chi andare. Pur essendo solo una ragazzina di 18 anni Rita era abituata da sempre a risolvere problemi e dunque spiegò al dentista al telefono la problematica e quello si disse in grado di risolvere il problema, come infatti fece con grande meraviglia e gratitudine del suo fidanzato, sia verso il dottore che verso la sua giovane fidanzata che lo aveva saputo trovare.
Da allora il Dott. Franceschi era diventato il dentista di tutta la famiglia. Era un siciliano di altri tempi, un vero signore, che somigliava sia nell'aspetto che nei modi, nervosi e comici ad un tempo, all'attore francese Louis De Funès.
Tutte le sue infermiere duravano poco, perché, pur restando sempre un signore, le rimproverava nervosamente e comicamente davanti ai pazienti, scaricando su di loro il suo nervosismo.
Alla fine, fuggite tutte, era rimasta la sua dolce e paziente moglie a fargli da assistente e a prendersi tutte le sfuriate, ben capendo che quella per suo marito era una necessaria valvola di sfogo alla tensione che accumulava nell'esercizio della sua non facile professione. Egli era una persona attiva, faceva corsi di aggiornamento sulla implantologia e infatti risolse un problema del marito di Rita con un impianto al titanio, all'epoca una novità.
Rita lo chiamò prospettandogli il caso di sua madre e lui, come lei si aspettava, aprì lo studio di domenica solo per sua madre.
Quando andò a prelevarla le suore erano stupite ed ironiche per quella che a loro sembrava una esagerazione, e forse lo era, ma Rita non riusciva a sottrarsi ad un obbligo urgente, tale per lei era un bisogno di sua madre.
Quando il Dott. Franceschi si trovò davanti alla bocca di sua madre le disse, chiamandola da parte, che il dentino che si muoveva e che aveva levato via semplicemente con una mano, era niente: La bocca di sua madre è un cimitero! Ci sono radici marce di denti spezzati che vanno tolte, perché possono dare delle infezioni all'organismo!" Ancora una volta Rita dovette decidere per sua madre. Disse al Dottore che poteva procedere a toglierle senza dire alla mamma quello che aveva detto a lei, perché si sarebbe agitata.
Tutto andò bene. Ma quando Serena iniziò a sciacquare la bocca, vedendo tutto quel sangue, capì che non poteva essere per un solo dente e disse: " Ma questo non è per un dente solo.." Rita non mentì, ormai la sua bocca era stata bonificata e senza dolore e agitazione per lei. "Mamma il dentino te l'ha tolto subito, ma è stata una buona occasione per togliere tutte quelle radici marce di denti spezzati che io non sapevo tu avessi."
"Erano denti che si erano spezzati da soli, un po' per volta.. Ma che bisogno c'era..."
"Signora, - intervenne il Dottore che era rimasto in silenzio - è stato necessario e provvidenziale che sua figlia l'abbia portata qui, non era il dentino che si muoveva il problema, lei aveva in bocca dei focolai di infezione. Ora è a posto. Ha sentito dolore? No! Tutto a posto. Ora prenderà un po' di antibiotici per pochi giorni e basta." E si sedette per scrivere la prescrizione mentre la madre, non convinta, diceva: "E' colpa di mia figlia, è colpa di mia figlia... Tutto quel sangue..."
Rita incassò come sempre, anche se ogni tanto però perdeva la pazienza e strillava esasperata.
Per questo preferì non sottoporla a visite per ottenere i benefici della Legge 104: conosceva sua madre.
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