Capitolo VIII
Tutto si era compiuto.
I suoi primissimi anni con sua madre li ricordava nitidamente, come degli spezzoni di un film, con immagini, parole, sentimenti.
Come il ricordo del suo terribile mal d'orecchi.
Serena era una donna dolce, buona.
Rita non si era mai dovuta vergognare di lei. Come quella volta che, invece, si era vergognata di suo padre tornato da una partita di caccia ubriaco, portato da un suo collega letteramente di peso, con un braccio di suo padre intorno al collo di quell'uomo educato e dignitoso, che lo aveva depositato sopra una sedia della loro unica stanza che fungeva da cucina e soggiorno, ma che era anche l'ingresso di quella soffitta abitata da altre famiglie, che di lì dovevano passare perché l'abitazione sotto i tetti era fatta a scatola cinese.
Sua madre ringraziava preoccupata e timida il collega del marito con cui era uscito all'alba per una battuta di caccia, lo sport che suo padre amava: si faceva anche le cartucce da solo e Rita assisteva interessata e divertita a quella preparazione, senza toccare nulla, l'unica cosa che le era concessa era infilarsi nei ditini i cilindri di cartone colorati che costituivano il corpo delle cartucce, mentre lui pesava in un bellissimo bilancino di lucente ottone la polvere da sparo, i pallini, usando i minuscoli pesi di ottone che la affascinavano ma che, guai, suo padre l'ammoniva a non toccare..
Ora era l'ora di pranzo. Serena aveva preparato una delle sue buone minestre di lenticchie. Suo padre, seduto sulla sedia, il suo collega in piedi serio e pronto a congedarsi, iniziò farfugliando ad insistere perché si fermasse a pranzo. L'uomo provò a rifiutare ma, sembrò alla bambina di quattro, cinque anni, che accettasse di sedersi per rispetto a sua madre, vedendola vittima di quella incresciosa situazione.
Serena preparò i piatti con il garbo signorile che le era naturale, ma Rita vide suo padre buttarsi sul piatto che sua madre aveva posto davanti all'ospite e affondarvi il cucchiaio e quasi il volto, insensatamente, visto che già aveva iniziato a mangiare nel suo..
La bambina vide il disgusto sul volto del collega di suo padre. Egli si alzò, questo era veramente troppo, l'ubriaco farfugliò che restasse, sua madre, umiliata, provò a scusarsi, gli avrebbe cambiato il piatto.. Ma l'uomo la ringraziò dimostrandole tutta la sua comprensione in modo contenuto e dicendole: "Non si preoccupi signora, sono rimasto solo per rispetto verso di lei."
Un'altra volta sentì solo la voce di suo padre ubriaco che urlava: "Voglio mia figlia!" Non lo vide perché doveva trovarsi in fondo alle scale che portavano alla soffitta. Sua madre con voce rattenuta e bassa diceva a qualcuno, forse sua sorella che abitava anche lei nella soffitta, "Ho paura." Lei, Rita, sperava che non accondiscendessero al desiderio urlato di suo padre, che non la portassero da lui. Bassa, vedeva tante gambe di uomini e donne che affollavano la sua cucina. Dovevano essere tutti gli abitanti di quel luogo dove i suoi genitori vivevano da quando lei era nata. Erano silenziosi mentre l'ubriaco, due rampe di scale più giù, continuava a gridare: "Voglio mia figlia!"
Una voce sussurrò: "E' andato giù anche Giovanni con..." L'altro nome la bimba non lo capì ma si sentì rassicurata per la presenza accanto a suo padre dello zio Giovanni. Sentì la voce nota del cognato di sua madre che rassicurava l'ubriaco cercando di calmarlo.. Le voci erano due, doveva esserci un altro abitante della soffitta e insieme riuscirono a portarlo a dormire.
Allora sua madre le appariva normale. Suo padre no.
Ricordava anche un episodio in cui Serena, sempre remissiva, nel buio e nel silenzio della loro cameretta diceva a suo marito che dovevano aprire la porta ad Elena, la bambina di sua sorella, che piangendo bussava alla porta della loro camera gridando: "Zia, zia!!" Terrorizzata perché suo padre, Giovanni, stava picchiando sua madre. Prima che la cuginetta di Rita corresse disperata alla loro porta erano arrivate le voci della lite e Serena aveva provato a dire a suo marito che dovevano andare ad intervenire per sedare l'alterco.
Eva era la sorella più piccola di Serena, una donna calma e lavoratrice, tutto il giorno nelle cucine delle trattorie che suo marito prendeva in gestione. Quelle liti erano dovute alle intemperanze dello zio Giovanni, non certo alla povera zia Eva.
Nel silenzio Rita sentì con il cuore stretto Elena invocare la zia piangendo, sentì il magone di sua madre che avrebbe voluto andare in aiuto di sua sorella, e la sua frustrazione alla risposta di suo marito che a Rita sembrò spietata nella sua glaciale indifferenza: suo padre disse no, che non dovevano impicciarsi e rimanere in silenzio facendo finta di dormire e di non aver sentito nulla.
Quando Elena si allontanò senza aver ottenuto né aiuto né consolazione Rita, inerme, sentì nella sua piccola anima la stessa desolata umiliazione di sua madre che aveva ceduto all'imposizione di suo padre.
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