https://www.quotidianodellumbria.it/quotidiano/storia/storia-ditalia/ballerini-pan-un%E2%80%99altra-coppia-di-%E2%80%9Camanti-diabolici%E2%80%9D
Per Paolo Pan, autore riconosciuto dell’omicidio, nel gennaio 1996 arriverà la grazia del Presidente della Repubblica Scalfaro.
"...una fanciulla che di cognome fa Magliacani, ma par che sia figlia di Paolo Pan. E il Magistrato Carlo Nordio scrive: “Motivato anche (il provvedimento di clemenza) dal perdono concesso dalla figlia della vittima che peraltro non era affatto del povero Magliacani. Così, la figlia perdonava il padre naturale per aver ucciso quello legittimo in quanto marito della madre”. Insomma, una “contorsione” umano – anagrafica, andata ad arricchire il canovaccio della tragedia.
PER SAPERNE DI PIU', oltre all'articolo del Quotidiano dell'Umbria del 2018 riporto il link di un mio post del 2016
http://www.ritacoltelleselibripoesie.com/2016/06/storie-nere-franca-ballerini-e-paolo-pan.html
Mi sono sempre chiesta come mai l'unico sopravvissuto della famiglia Magliacani, il fratello del povero Fulvio, non si sia opposto alla Grazia comminata da Scalfaro all'assassino Paolo Pan. Forse nel 1996 era morto anche lui come i due poveri genitori della vittima?
La figlia della vittima, Stefania Magliacani, mai disconosciuta, aveva 26 anni quando ha dato l'assenso.
Questo farebbe pensare che lei abbia creduto a quanto aveva detto sua madre durante il processo: che lei in realtà era figlia dell'assassino e non della vittima di cui portava il nome.
Altrimenti perché mai concedere all'assassino di suo padre di uscire di galera riacquistando la libertà?
Esiste comunque la prova principe che toglie ogni dubbio: il DNA.
Un altro caso in cui non vi è allo stato disconoscimento di paternità, nonostante la pubblica ammissione della madre e del padre naturale di chi sia la bimba, è quello altrettanto tragico di Denise Pipitone.
Mentre i due genitori si mostrano senza filtri anche nel processo intentato contro la figlia legittima di Piero Pulizzi, padre naturale di Denise, indicata dalla madre della bimba scomparsa come rapitrice della sua bambina per odio verso il frutto del doppio adulterio, tutto il mondo continua a chiamare la povera innocente con il cognome del marito tradito: Pipitone, il quale non ha intrapreso alcun procedimento di disconoscimento di paternità.
Ma cosa dice la Legge sul procedimento di disconoscimento di paternità?
Dal sito STUDIO CATALDI
di Giovanna Molteni - Cos'è l'azione di disconoscimento della paternità, chi può proporla e quali termini bisogna rispettare.
La legittimazione a proporre l'azione per il disconoscimento della paternità compete esclusivamente ai seguenti soggetti:
- il marito
- la madre
- il figlio divenuto maggiorenne
- un curatore nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i quattordici anni o, se si tratta di figlio di età inferiore, del pubblico ministero o dell'altro genitore
- i discendenti o gli ascendenti del presunto padre o della madre se questi sono morti e non è decorso il termine per esercitare l'azione
- il coniuge o i discendenti del figlio morto senza aver promosso l'azione.
Legittimazione passiva
In ogni caso, nel giudizio di disconoscimento il presunto padre, la madre e il figlio sono litisconsorti necessari.
Ciò comporta che se una parte è minore o interdetta o minore emancipato o maggiorenne inabilitato, l'azione va proposta in contraddittorio con un curatore nominato dal giudice.
Se, invece, il presunto padre o la madre o il figlio sono morti, l'azione va proposta nei confronti dei soggetti legittimati ad agire in loro vece o, in mancanza, da un curatore nominato dal giudice.
I termini per proporre l'azione di disconoscimento della paternità
L'azione di disconoscimento di paternità può essere esercitata solo entro termini ben precisi, che variano a seconda di quale sia il soggetto che la propone.
In particolare, la madre deve esercitare l'azione nel termine massimo di sei mesi decorrenti o dalla nascita del figlio o dal giorno in cui è eventualmente venuta a conoscenza del fatto che il marito, al momento del concepimento, era affetto da impotenza di generare. In ogni caso l'azione non può più essere esercitata una volta che siano decorsi cinque anni dalla nascita.
Il marito, invece, può disconoscere il figlio entro massimo un anno, decorrente o dal giorno della nascita (quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è avvenuta) o dal giorno in cui ha avuto conoscenza della propria impotenza di generare o dell'adulterio della moglie al tempo del concepimento (se prova di averli ignorati prima) o dal giorno di ritorno nel luogo in cui è nato il figlio o nella residenza familiare (se il giorno della nascita si trovava lontano da tali luoghi) o, infine, dal giorno in cui ha avuto notizia della nascita del figlio. In ogni caso l'azione non può più essere esercitata una volta che siano decorsi cinque anni dalla nascita.
Per i discendenti o gli ascendenti della madre o del marito, il termine per l'esercizio dell'azione inizia a decorrere dalla morte del presunto padre o della madre o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti.
L'azione di disconoscimento della paternità è invece imprescrittibile per il figlio.
Sospensione del termine
In alcuni casi, il termine per promuovere l'azione di disconoscimento di paternità resta sospeso. In particolare si tratta delle ipotesi in cui chi intende agire:
- si trova in stato di interdizione per infermità di mente,
- versa in condizioni di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi.
La prova del difetto di paternità
Chi esercita l'azione per il disconoscimento della paternità è ammesso a provare che, tra il figlio e il presunto padre, non sussiste rapporto di filiazione.
A tal proposito va innanzitutto detto che la paternità non può essere esclusa dalla sola dichiarazione della madre.
In generale, se è vero che la prova può essere data anche attraverso testimoni, il mezzo più sicuro è rappresentato dall'esame del DNA, che è in grado di stabilire, senza dubbi, se la paternità del figlio è accertata o disconosciuta.
In conclusione trovo che la questione sul piano legale è meno semplice di quel che sembrerebbe. Nei 2 casi che la triste cronaca ci presenta mi sembra di capire che il fratello di Fulvio Magliacani, non essendo un discendente né un ascendente della vittima, come erano i genitori, non avrebbe potuto, anche volendo, togliere il cognome e tutti i benefici ereditari conseguenti alla figlia della Ballerini. Il codice civile, infatti, considera il fratello un parente collaterale. L'ultimo genitore della vittima, ascendente, il padre, è morto nel 1992, quando la nipote "negata" aveva 22 anni, eppure il "nonno negato" dalla Ballerini non ha inteso intraprendere l'iter per il disconoscimento della paternità del suo figlio ucciso, pur avendone avuto il tempo per 5 anni, dal momento in cui la madre ha dichiarato non essere il padre suo marito ma Paolo Pan. Mi sono meno chiari i tempi di prescrizione. Ma credo di aver capito che il padre presunto è legittimato ad avviare il disconoscimento di paternità dal giorno in cui ha avuto conoscenza dell'adulterio della moglie, fatto che può avvenire anche quando il figlio è ormai adulto.
Da quel giorno in cui può dimostrare di averne avuto consapevolezza decorrono i 5 anni di prescrizione.