Da: DOPPIOZERO 19 maggio 2018
Sunshine: storia di una famiglia
Credo che ormai pochi sappiano che lasciando andare il tempo senz’astio né persecuzioni, gli ebrei sarebbero pian piano spariti dall’Europa come lo furono dall’India e dalla Cina. Qualcuno mi ha detto che in Cina non esiste la parola ebreo, al posto della quale si usa “musulmano blu”, appunto perché il colore azzurro caratterizza la religione giudaica, e il verde quella islamica. Viste da Confucio.
Per poter cavalcare tanti decenni, il film è costretto a procedere per simboli di ogni epoca che la famiglia ha vissuto, dal tempo dello shtetl nell’Oriente ungherese a quello della parità austroungarica, in apparenza definitiva e con la sola messa in guardia di un nonno che dice simbolicamente: “Noi ebrei dobbiamo sempre limitare le nostre carriere, perché non si sa mai”. E invece quei consanguinei della puszta diventano industriali, e poi giudici della Suprema Corte, e poi infernali spadaccini e vincono la medaglia d’oro di scherma per la Patria ungherese alle Olimpiadi hitleriane della Berlino del 1936.
Ed è qui che l’ebreo schermitore diventa simbolo anche lui con il suo martirio. Lui, di una famiglia che ha cambiato cognome da due generazioni, cattolica da una, campione di scherma, avvocato, capitano dell’esercito magiaro, dopo le dimissioni dell’Ammiraglio Horty nel 1944 viene torturato a morte dai nazisti ungheresi perché dice: “Sì, sono ebreo” e invece lui, il simbolo, non lo dice fino alla morte, ripetendo la sua identità acquisita ma vera che è diventata la sua e che è irrinunciabile.
La storia diversa del fratello comunista, medico, eroe della Resistenza francese, che sfiora il trionfo nel 1945 quando viene richiamato in patria come tanti altri ebrei ungheresi per collaborare alla costruzione del socialismo. I comunisti ungheresi si rivelano presto però infide bestiacce, cinici e crudeli anche se la loro miseria storica è differente da quella dei diavoli nazisti.
E così il film arriva al fatidico 1956, quando l’ultimo erede del volto austroungarico giudaico, il figlio dello spadaccino, schiva la marea dei carri armati sovietici, corre all’anagrafe e torna al vecchio cognome yiddish abbandonato da quasi due secoli. Ed è allora che comprendiamo questo simbolo: senza più l’impeccabile scriminatura nei capelli biondastri, lo vediamo con i capelli rossi scarmigliati dell’avo mescolato all’anonima folla di Budapest, con il volto finalmente sereno della sua Aurora, quella del titolo.
Ho cercato invano una recensione particolareggiata di questo film che mi è capitato di vedere per caso ieri sera scorrendo i canali dove c'era il nulla, approdando per caso su Canale 10, mi sembra, dove il film era già iniziato.
Di nuovo si parla di ebrei e di nuovo la mia mente si chiede quale follia accompagni la persecuzione nel tempo e in ogni Paese verso chi è ebreo.
Non comprendo, non capisco, trovo solo che questo fatto storico che si ripete ovunque insensatamente mi toglie ogni speranza residua che l'Uomo sia un animale superiore agli altri su questo piccolo e bel pianeta.
L'Uomo, questo mammifero, ha un'intelligenza apparentemente superiore agli altri animali della Terra, ma in realtà egli è e rimane una bestia in molto del suo modo di essere e di pensare.
Rimane il riscatto dell'individualità ed io, individuo, da quando ho scoperto l'orrore dei campi di sterminio nazisti a 14 anni fino ad ora, 74 anni compiuti da un po', non comprendo come si possa pensare che un individuo sia diverso da me perché di cultura ebraica. Lasciando perdere la religione che attiene ai credenti. Essere ebreo vuol dire avere abitudini, tradizioni, costumi della propria famiglia come tutti.. Come io posso avere quelli della mia famiglia cattolica, pur nella mia evoluzione che mi ha condotta a capire che Dio non c'è e ad essere quindi atea.
Posso aborrire qualsiasi persona, di qualsiasi cultura, se agisce in modo da nuocere agli altri... Ma non perché appartiene a quel tipo di cultura, di tradizione, di usi e costumi..
La discriminante è legata solo al comportamento individuale di ogni essere umano per me.
Ed è sempre stato così, fin da piccolissima quando giocavo nello spazio fra la Fontana di Trevi e i sedili di pietra intorno ad essa con la mia amichetta dai capelli ricci e dalla pelle nera. Percepivo solo che era più educata di me.. Altra differenza non c'era per me.
E il senso di disagio e di imbarazzo, quasi di vergogna in cui mi metteva la maestra Lelli quando creava una discriminazione fra me, le altre compagne di classe e Disegni, la mia compagna dell'ultimo banco, rivolgendosi a lei come se fosse diversa e in difetto rispetto a noi che dovevamo dire la preghierina ad inizio lezione. Non volevo sentirmi io a posto, secondo la maestra, e lei in colpa non si sa di che. Chi mi aveva messo dentro quel sentimento? Nessuno. Me lo sono ritrovato dentro: da piccolissima.
Perché tanti non sono come me?
Cosa hanno nella testa questi esseri appartenenti alla mia specie?
Ora, leggendo questo commento sul Film bello e doloroso, scopro che persino in Cina hanno la loro parte di antisemitismo folle.
L'essere umano in gran parte è rimasto una bestia feroce che si riconosce solo in un certo branco e discrimina gli altri... Forse è così.
La parte del film in cui il capo del poliziotto ebreo pretende che faccia confessare ad un suo superiore, ebreo anch'egli, ciò che non ha mai fatto è roba già letta, non ricordo in quale libro... Ricordi di letture in cui si documentava quello che accadeva nell' U.R.S.S.: chiunque, ebreo e non, pur appartenendo all'apparato, poteva essere accusato di cospirare contro il governo, senza prove, solo per false delazioni e testimonianze, e arrestato, fatto sparire in Siberia o in qualche prigione o giustiziato. Un clima di terrore e di sospetti, un orrore diverso dal nazismo ma non minore orrore.