Riflessioni sulla morte.
Nel giorno della ricorrenza dei defunti e a due giorni da un malessere che mi ha fatto pensare alla mia fine scrivo serenamente queste riflessioni.
Sono
atea. La visione del mondo che mi hanno dato i miei genitori era di un Dio invisibile
che si preoccupava di me, che leggeva i miei pensieri. Un Dio che aveva creato
l’Universo fin qui conosciuto ma che si rispecchiava in questo mammifero
pensante chiamato Uomo. Ci è voluto poco perché avessi i primi dubbi e siccome
militavo in Azione Cattolica li ho esternati alle Effettive, così si chiamavano
le iscritte più grandi che fungevano da guide spirituali oltre al sacerdote che
si occupava di noi: mi dettero da leggere “Le 5 vie di S. Tommaso D’Aquino” per
arrivare con la semplice ragione a Dio, visto che secondo loro “
Avevo
17 anni: lessi con impegno ma Tommaso D’Aquino non mi convinse.
Ma
continuai a cercare Dio. Lo immaginavo come la mia educazione cattolica lo
prospetta e cercavo di seguire le regole di una vita pulita e giusta. Intanto
scoprivo cose che per la mia famiglia erano inimmaginabili: malvagità estrema,
maldicenza e calunnia, da parte di gente che nemmeno conoscevo ma che aveva
notato me e la mia vita provandone invidia.
E’
stato traumatico come è scoprire l’ingiustizia e la manipolazione della realtà.
Ho superato tutto accettando che se questo avveniva vuol dire che poteva
accadere, che esiste gente così, che comunque c’è questo Dio che avrebbe messo
a posto tutto.
Ma
il male dal quale non ho saputo difendermi mi ha messo con le spalle al muro
dal punto di vista economico e mi ha costretto a scelte che mai avrei voluto
fare per i miei valori.
Quello
è stato il punto massimo della mia credenza che esistesse Dio. Il mio pensiero
silenzioso si è rivolto a Dio chiedendogli solo un segno della sua presenza,
solo un segno che mi avrebbe dato forza per andare avanti per la strada della
bontà, della correttezza, del non reagire se non “porgendo l’altra guancia”
come è il dettato di Cristo e l’idea di Dio che lui ha lasciato: se Dio c’è è
sua
Ero
di fronte ad una scelta cruciale. Volevo solo che non mi abbandonasse.
Ma
il mio pensiero, la mia anima, chiamiamolo come volete, non ha praticato
l’autoinganno di una suggestione e mi ha risposto solo IL SILENZIO ASSOLUTO.
Nessun segno, nessuna ispirazione, solo una TOTALE SOLITUDINE NELLA MIA MISERA
CONDIZIONE.
Da
quel momento, avevo 37 anni, ne erano passati 20 dai miei primi dubbi, ho
smesso di tormentarmi e di soffrire chiedendomi il perché di tanta ingiustizia
che vedevo non solo su di me, ma molto di più nel mondo sugli innocenti.
Da
quel momento tutto era solo sulla mia coscienza, che obbediva comunque ai
principi morali con i quali sono stata costruita ma con una lucidità e
responsabilità maggiore.
Ho
accettato dunque la morte, soprattutto la mia, come ovvia fine biologica.
Non
mi fa paura. Penso di aver già vissuto una vita sufficientemente lunga per la
mia specie e dunque in qualunque momento arriva è fisiologica: 76 anni.
Due
giorni fa credevo fosse giunto quel momento. Ho avuto un arresto di respiro
fino al punto che non riuscivo a chiamare mio marito che era distante da me
meno di
Il
pensiero è veloce come la luce e ho lucidamente pensato che stavo morendo, che
ero nell’età in cui non è sorprendente morire, ma quanto sarebbe durato quel
malessere prima che tutto si spegnesse? Solo quello mi ha preoccupato.
Invece
tutto si è risolto in una ventina di minuti e sono ancora viva.
Ma
di certo il quando e il come, soprattutto il come, è l’unica cosa che mi fa timore
misto a rassegnazione. La morte bisogna guadagnarsela soffrendo.
2 riflessioni sulla morte che mi sono piaciute:
Per chi non l'avesse capita Mark Twain dice con il suo intelligente umorismo quello che penso anch'io: nulla eravamo prima di nascere e nulla saremo quando il nostro cervello si spegnerà per sempre |
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