La Sig.ra Anteri e altre mille vite
Capitolo I
Stava tranquillamente preparando la cena quando squillò il telefono fisso della bella e comoda villa vicino al mare dove ormai passava gran parte del suo tempo.
"Ciao Ianira!" Salutò la sua antica amica: lei ancora amica nonostante tutto.
Oh, non perché lei, Giulia Anteri, avesse avuto qualcosa da rimproverarsi negli oltre sessanta anni della loro amicizia! Lei era stata sempre leale perché quella era la sua natura. Per quanto possibile, senza ferirla, anche sincera. Perché anche con la sincerità bisogna andarci cauti, non tutti la gradiscono, anche quando è detta a fin di bene nelle intenzioni di chi la dice. E lei aveva sempre cercato di dire qualcosa di saggio alle sue amiche che potesse indirizzarle al meglio. Ma quello che era il meglio per lei, Giulia, non appariva altrettanto per l'amica.
Ciò nonostante Ianira era sempre sua amica, anche se a volte si era dimostrata urtata dai suoi saggi consigli.
L'altra annosa compagna di cammino dai tempi della Scuola Superiore, dove si erano incontrate, da qualche anno aveva interrotto bruscamente ogni rapporto con Giulia, senza un motivo. Ripensandoci Giulia aveva poi ricordato stranezze nel comportamento di Fabrizia nei due o tre anni precedenti quella drastica rottura, stranezze che lei aveva voluto ignorare come molte, troppe cose del comportamento di Fabrizia, accettandola così come era: a volte immotivatamente offensiva.
Ogni giorno aveva insegnato qualcosa a Giulia Anteri e ora nulla più la feriva perché accettava tranquilla quello che gli altri volevano fare, avendo la consapevolezza che verso ciascuno nulla aveva da rimproverarsi.
Molti anni addietro, pur non avendo mai malanimo né slealtà verso nessuno, quando gli altri le dimostravano acredine o ostilità si poneva delle ansiose domande, di dove e cosa poteva aver sbagliato.
Ora non più. La vita, le vite degli altri che l'avevano attraversata, anche solo sfiorata, sorprendendola con i loro effetti speciali, le avevano dato la presente certezza che non avrebbe potuto fare di meglio e di più.
Ianira iniziò la telefonata con tono lieve per poi dirle che un mese prima aveva appreso da un'assistente sociale, che l'aveva contattata tramite telefono, che suo fratello era stato ricoverato in Ospedale, lei, accompagnata da sua figlia, era accorsa , ma nei pochi giorni che lui aveva vissuto lì prima di morire non glielo avevano fatto vedere.
Un mondo di dolore si schiudeva nei suoi ricordi.
Non che lei giovinetta fosse felice con un padre infelice che si ubriacava per non soffrire ed una madre la cui mente, in parte, si era rifugiata in una innocua schizofrenia per sfuggire alla delusione del suo matrimonio, ma la sua famiglia aveva retto grazie alla morale dei suoi genitori che non avevano deragliato dai doveri e dagli obblighi verso il loro nucleo, pur con le debolezze delle loro menti. Ianira le fece scoprire come una famiglia possa finire in frantumi provocando rovina e dolore in tutti i suoi componenti.
Ianira aveva quel nome che evocava la mitologia greca perché l'aveva scelto sua madre, donna colta e musicista suonatrice di violoncello. D'altronde anche al figlio maschio aveva dato un nome che evocava un grande dell'Arte... Michelangelo... Come alla sua sorella maggiore: Manon, in onore dell'Opera Lirica di Puccini.
Eppure questa donna era la causa della deflagrazione di quel nucleo familiare.
Quando Ianira, a metà del quarto anno della Scuola Superiore, si ritirò dagli studi, perché a casa sua era scoppiato un incendio e l'ultimo lavoro scientifico a cui suo padre stava lavorando e su cui contava, quale ultima speranza dopo una serie di accadimenti fallimentari, Giulia Anteri scoprì un mondo in sfacelo.
Ianira pianse per quell'ennesima sciagura che colpiva suo padre e disse a Giulia come a Fabrizia che sarebbe dovuta andare a lavorare data la disastrosa situazione economica della sua famiglia.
Ma cosa era accaduto per arrivare a tanto? La casa dove abitavano, nel quartiere borghese dove sorgeva anche la loro Scuola, era un grande appartamento in affitto le cui finestre davano sugli alberi del viale, ma i mobili, scuri, pesanti, erano sporchi e in abbandono, come tutto il resto della casa. La madre non dormiva con il padre ma in fondo al corridoio, dietro ad uno straccio di tenda appesa ad una corda tesa da una parete all'altra, lì c'era una branda con il letto perennemente sfatto. Michelangelo aveva una sua stanza, piena di libri, ma anche questa trascurata quanto ad ordine e pulizia, e il giovane, ventunenne quando lo conobbe Giulia, era un intellettuale disordinato, esagerato nelle sue espressioni. Fabrizia, che lo aveva conosciuto prima, le riferì che le aveva dato della puttana "perché le donne sono tutte puttane".
Poi si capì lo sconvolgimento psicologico del giovane: fin da piccolo aveva assistito alla caduta inarrestabile del padre, un ingegnere proveniente da una importante famiglia Emiliana, da quando l'uomo molto importante per il quale lavorava sugli idrocarburi morì ucciso.
La frattura fra i genitori avvelenava la vita quotidiana dei tre bambini. La madre insegnava musica nella Scuola Media e dava lezioni private a domicilio, in questo modo manteneva sè stessa e, in parte, i figli. Oltre al maschio frequentava l'università anche Manon. Ma anche questa era stramba non poco. In fondo la più normale era Ianira allora come sempre, anche presentemente, eppure avrebbe dovuto essere lei quella più colpita da quello sfacelo. Aveva diciassette anni quando ci fu l'incendio e la distruzione del lavoro di suo padre per il quale pianse e da cinque anni sapeva che, quello che fino a dodici anni aveva chiamato papà, non era suo padre. Un'ennesima lite fra il fratello e il padre era giunta al punto che Michelangelo, allora un adolescente, brandì un coltello e la piccola Ianira si mise fra il ragazzo e il padre, ma questi la spinse via con queste parole: "E vattene tu che non sei nemmeno mia figlia!" La piccola rimase annichilita da quelle parole e andò dalla madre, la quale le disse che era vero: lei era nata mentre suo marito era in guerra. Il dolore di Ianira, Giulia, che di dolore morale se ne intendeva, non riusciva a immaginarlo, ma doveva essere tanto, tanto più grande del suo.. Grande l'insicurezza e lo stordimento, anche perché alla domanda di chi fosse suo padre la madre fece un sorriso fra l'incosciente e il compiaciuto e disse: "Dicevano fosse un inglese."