La Sig.ra Anteri e altre mille vite
Capitolo IV
Si deve scoprire ciò che non ci appartiene. Quello che abbiamo dentro di noi se lo incontriamo nel nostro cammino non ci suscita meraviglia né ci rimane incomprensibile.
E quello che abbiamo dentro di noi in parte è innato e in parte è frutto di ciò che abbiamo ricevuto dal momento della nascita, quando quello che vediamo è da noi incamerato senza critica, assorbendo tutto come un dato di fatto.
Poi inizia la fase della eleborazione nel nostro cervello e, con l'analisi dei dati fin lì immessi, il pensiero critico.
La signora Anteri era stata una bambina straordinariamente precoce in questo. Ricordava molto bene quando, avrà avuto quattro o cinque anni, dormiva saporitamente in braccio a sua madre quando questa iniziò ad agitarsi nel parlare e la svegliò. Disturbata dall'essere tratta da quel sonno così piacevole Giulia vide accanto a sua madre seduta sua nonna, madre di suo padre, che sedeva a sua volta su una sedia accanto alla nonna e di fronte, con una faccia scura, suo zio Alfio, fratello minore di suo padre. Sua madre fu subito zittita da suo padre con un:"Stai zitta tu!" Che a Giulia non piacque, sembrandole irrispettoso verso la sua mamma. E suo padre continuò a parlare con dura sicurezza a suo zio. Giulia capì che parlavano della fidanzata dello zio Alfio e che suo padre lo stava dissuadendo dallo sposarla. Avvertì che sua nonna era d'accordo dall'espressione del viso chiusa come la sua bocca... L'empatia era in quella bambina una dote innata. Ed ella, così piccola, elaborò questo pensiero: "Ma papà non vede l'espressione dello zio? Quando l'avrà sposata e sarà sua moglie lo odierà per quello che gli sta dicendo."
E così fu.
Pur intelligente, come da tutti ritenuto, suo padre dimostrò sempre una strana cecità nell'intuire i sentimenti altrui e le conseguenze di azioni sue o altrui nei rapporti umani.
Un po' come la sua amica Fabrizia. Anche se suo padre era un uomo molto pragmatico e realista e di animo buono, quindi diverso dalla sua amica, ma ugualmente apparentemente cieco sulle conseguenze delle proprie parole.
Ma anche Giulia, pur avendo questa innata sensibilità, pagava il prezzo della non conoscenza di ciò che non le apparteneva, scoprendo aspetti del cosiddetto prossimo che non immaginava neppure lontanamente. Uno di questi era la malvagità gratuita, quella che colpisce senza motivo, con ferocia, sconfinando, pur di colpire, nella menzogna.
Ne fu traumatizzata quando la scoprì, in tutta la sua violenza, in un posto dove le capitò di abitare e dove non si era resa conto di suscitare interesse ed invidia.
Quando cambiò di casa pensava di aver relegato in quel luogo inquinato dall'ignoranza e dal sottosviluppo culturale un'esperienza unica nella sua anomalia. Invece quella era solo la scoperta della realtà umana che è ovunque e da cui lei non si era saputa difendere perché non le era mai capitato prima, finendo così per essere triturata.
A poco a poco iniziò a capire vedendo altrove invidie e rivalità diverse, stupidità, voglia di prevaricare, e imparò a sapersi difendere meglio...
Così, a poco a poco, tutta la vita. Ora sapeva che l'importanza che dava al suo prossimo era in gran parte mal riposta, immotivata, e che l'umanità è in gran parte miserevole.
Ora sapeva che grandi della Letteratura ne avevano scritto, per averlo scoperto prima di lei, avendolo vissuto... Ne "Il Viaggio al termine della notte" Louis Ferdinand Destouches, che ha pubblicato i suoi libri con lo pseudonimo di Céline, nome di sua nonna materna Céline Guillou, a proposito del suo prossimo scrive :
"Con la mia laurea avrei potuto stabilirmi ovunque, è vero... Ma ovunque sarebbe stata la stessa cosa né più né meno... Un po' migliore il posto agli inizi, per forza, che ci vuol sempre un po' di tempo prima che gli altri riescano a conoscervi, e prima che si decidano e trovino il mezzo di nuocervi. Sinché cercano ancora il lato debole dove è più facile farvi del male, s'ha un po' di tranquillità; ma appena l'hanno trovato allora diventa uguale dappertutto. Insomma, il più piacevole è il breve intervallo in cui s'è ancora sconosciuti in ogni nuovo posto. Dopo iniziano le solite carognate. E' nella loro natura."
Non c'è nulla da fare, in ogni tempo, in ogni luogo, la natura umana è questa.
Giulia non si aspettava più nulla. Per questo era serena.
Céline era un Medico, traumatizzato dalla guerra a cui era voluto andare giovanissimo senza sapere cosa fosse... Di sé non da immagini elegiache, si mostra in tutti i suoi difetti, fra cui l'inaccettabile antisemitismo, ma è grande nella sua scrittura perché coglie verità come questa che Giulia aveva scoperto a poco a poco.
Persino all'interno dei rapporti parentali era stato un continuo constatare meschinità e invidie, miste alla stupidità che sempre le accompagna, per lei motivo di tristezza e incomprensibili per qualsiasi logica di convenienza reciproca. Leggendo Zola aveva scoperto che i sentimenti meschini, il cambiare mutevole della gentarella nei comportamenti verso qualcuno senza autocritica, ritegno e consapevolezza delle conseguenze del proprio agire, era nel tempo da lui vissuto, fine ottocento, uguale a quello che faceva parte della sua esperienza di vita.
I personaggi che Zola ha lasciato sono presi dalla sua esperienza di vita: non importa se si tratta della Parigi della seconda parte dell'ottocento, fatta di operai, artigiani di scarsa cultura... Non erano diversi dagli artigiani di "Cronache di poveri amanti" che Vasco Pratolini descrive nel 1946... Quello che viene fuori è che gli esseri umani sono mossi da passioni basse e miserabili, con ogni tanto un poco di bontà e sprazzi di sentimenti nobili che in parte li riscattano.
Un'altra immagine della fidanzata dello zio Alfio, scolpita nella sua memoria, era sempre collocata nel medesimo luogo: un paesino rurale dove passavano l'estate e dove i suoi genitori, lo zio e la futura zia erano nati.
Il ricordo in cui suo padre parlava a suo fratello, con l'intento di dissuaderlo dallo sposare Filomena con il silenzioso totale assenso di sua nonna, era collocato fuori dalla loro casa paterna, nel piccolo spazio pianeggiante dopo i tre scalini che portavano all'ingresso. Il gruppetto era seduto su delle semplici sedie, tranne Alfio che, cupo in viso, sedeva su uno scalino.
Il ricordo successivo di poco nel tempo e nel luogo era in una casa che veniva subito dopo quella dei nonni paterni, provvista all'entrata di un ampio cortile chiuso in cui Giulia e un gruppo di bambini scatenati come lei giocavano felici; passò tesa, trionfante e felice la giovanissima Filomena che si rivolse a Giulia: "Guarda cosa mi ha regalato tuo zio!" La chiamò distraendola da quei giochi sfrenati e beati allungando la mano verso di lei e mostrandole un anello con una pietra, poi corse via.
Giulia tornò subito a giocare stupita di quel gesto rivolto ad una bambina piccola come lei.
In seguito sentì sempre in quella zia acquisita tensione e malanimo nei suoi confronti, anche se lei nulla mai le aveva fatto di male.
Ma qualche ricordo dolce da quella coppia di zii le era rimasto nel cuore: in una vigna di famiglia dove la lasciarono fare una scorpacciata di uva i cui grappoli pendenti dalle piante le apparivano nel ricordo giganteschi.. Grappoli di uva nera e bianca... E lei prendeva gli acini direttamente da quel bendidìo, felice in mezzo a quella natura generosa mentre i due giovani zii amoreggiavano dimentichi di lei e di una sua eventuale indigestione...
Un'altra volta la portarono al cinema a vedere un film che le piacque tantissimo: "Arrivano i nostri".
Cosa fosse accaduto dunque oltre il ricordo del viso scuro dello zio Alfio, che precedeva quelli felici con gli zii, Giulia non lo sapeva.
La predizione che aveva fatto la mente della piccola Giulia non poteva essere l'unico motivo di quell'ostilità durata tutta la vita se, successivamente, gli zii erano stati così affettuosi nel suo ricordo.
Forse c'entrava il carattere di suo padre, a volte autoritario e atteggiantesi a fratello maggiore?
Di certo Alfio fu sempre critico verso suo fratello. Anche quando la pecora nera della famiglia, il vero fratello maggiore, ospite in casa dei genitori di Giulia, rubò dei soldi per poi non ripresentarsi a casa.
"E' andato a cercarlo sotto casa di parenti urlando! - Si lamentò Alfio al telefono con la nipote dodicenne. - Per diecimila lire! Che se le vedi perterra nemmeno ti chini a raccoglierle!"
In quel tempo quella cifra costituiva circa un quinto dello stipendio di suo padre.
Perché suo zio parlasse così di suo fratello alla sua bambina dodicenne Giulia se lo chiedeva.
Certo lo zio Narciso era sempre stato un carattere dedito a tutte le debolezze: nessuna voglia di lavorare, sigarette e vino. Ma che avesse rubato in casa mentre era loro ospite la piccola Giulia non lo avrebbe mai immaginato. Chiusa la telefonata con l'aspro zio Alfio pensò che prima di sparire lo zio Narciso tutto elegante, in completo giacca e cravatta, l'aveva presa per mano e le aveva detto: "Andiamo a fare una passeggiata." Le aveva offerto un'aranciata al bar poi l'aveva condotta sulla Cupola della Basilica di S. Pietro pagando il biglietto. A Giulia quella passeggiata era piaciuta tantissimo: di lassù aveva visto la meraviglia perfetta dei Giardini Vaticani... Suo padre non l'aveva mai condotta lì... Sempre giustamente attento ai soldi..
Ma lei capiva suo padre: era l'unico in famiglia che si era tolto dalle spese a soli sedici anni andando via di casa a lavorare nella grande città e sempre aveva mandato soldi alla madre per i suoi fratelli che erano rimasti a vivere nella casa paterna.
Dopo di lui era sceso in città dai monti Alfio e aveva trovato accoglienza nella modesta casa in cui i genitori di Giulia, ormai sposati, abitavano.
Un giorno che egli era in giro a cercare lavoro il fratello aprì indiscretamente la sua valigetta ed ebbe la prova di quello che in cuor suo sospettava: "Guarda, - disse con amarezza alla sua timida consorte - quarantamila Lire!"
Anche la moglie rimase meravigliata: era davvero una grossa cifra nel 1946.
"Mia madre, - disse subito il futuro padre di Giulia - con i soldi che le mandavo io più altri suoi risparmi ha dato questa cifra al figlio prediletto per le prime spese in città. Proprio come me quando venni qui a sedici anni! - Disse con dolore. - Avevo pochi spiccioli nella valigia di cartone insieme alle maglie di lana e alle calze."
Infatti al primo screzio con il fratello più grande, che pretendeva di dargli consigli sul lavoro, Alfio prese la sua valigia e se ne andò a cercarsi un alloggio a pagamento visto che i soldi, grazie a sua madre, li aveva.
Suo fratello, molti anni prima, invece non aveva potuto scegliere, ma era stato ugualmente grato ad una cugina che gli aveva affittato un lettino in un corridoio dove, accanto alla brandina dove dormiva, teneva la sua ordinata valigia di cartone, da cui prendeva quel che gli serviva al buio, per non disturbare i figli della cugina che dormivano nella stanza adiacente, di cui dovevano tenere la porta schiusa per poter respirare dato l'affollamento...
Alfio fece fortuna e Giulia, come suo padre e sua madre, ne furono felici.
Ma Filomena derideva il lavoro impiegatizio del fratello di suo marito, rivelandosi una donna volgare. Alfio disprezzava la moglie di suo fratello e parlava male dei fratelli di lei definendoli dei pidocchiosi perché svolgevano mestieri umili, come ad esempio l'inserviente negli alberghi, oppure il cameriere di ristorante.
I parenti di Filomena non erano da meno, ma lei se ne circondò dando loro lavoro nell'attività del marito e creandosi così un cuscinetto di parenti grati e servizievoli.
Il suo carattere aspro non smentì il soprannome che le avevano affibbiato nel comune paesello natìo: la "iena".
Giulia sentiva su di sé con meraviglia quell'asprezza nei rari incontri con quei parenti. Suo zio Alfio non era da meno, ma viveva in lui un residuo del sentimento di consanguineo misto ad un imbarazzo, quasi un senso di colpa.
Ci fu un momentaneo riavvicinamento quando il padre di Giulia morì... Ma durò poco. Giulia sentì, soprattutto nei cugini, un'insanbile frattura.
I casi della vita vollero che abitassero nel medesimo palazzo molto borghese, ad una scala sola, dove abitava un parente del marito di Giulia.
Accadde che per due volte, in visita a questo parente con l'intera sua famiglia, incrociasse una volta la cugina e una volta il cugino: nel piccolo androne non le fu possibile salutarli giacché abbassarono lo sguardo e la testa guardando a terra e sui loro visi avevano un'espressione scostante e dura.
Giulia apprese poi dal parente di suo marito che il cugino era morto prematuramente per un tumore con cui combatteva da tempo e, con grande meraviglia, ricostruì che quando l'aveva incrociato su quel portone già doveva essere malato.
Provò un'immensa pietà per Filomena. La vita l'aveva colpita fortemente. Vedere un figlio morire prima di te madre è il dolore più grande che si possa provare.
Ripensò al suo carattere aspro anche con il figlio maschio quando, bambino irrequieto, si abbandonava in giochi sfrenati d'estate e lei lo richiamava a casa per il pranzo urlando il suo nome dalle scale, con la voce perforante le orecchie di Giulia che, ragazzina, passava le estati nella casa che suo padre aveva acquistato per le vacanze e che era quasi adiacente a quella natale di Filomena, dove lei tornava con i figli.
Quando trafelato arrivava Alessio lei continuava a rimproverarlo aspramente e un giorno Giulia la vide stenderlo lì, sulle scale esterne della casa, e picchiarlo selvaggiamente...
Sua cugina, un po' più grandicella di Alessio, in un raro momento di confidenza le disse che le urla e le scenate fra la madre e il fratello minore avvenivano anche in città... E che lei si vergognava dei vicini che non potevano non sentire quegli strepiti...
Giulia ora pensava a quella madre così punita dal destino, se mai le tornavano alla mente quei rimproveri che aveva inflitto a quel suo irrequieto figlio maschio... E che sensi di colpa la poveretta poteva avere...