La Sig.ra Anteri e altre mille vite
Capitolo V
Inutile combattere contro quello che non appartiene alla propria natura, l'indole di Giulia era evitare.
Così non avendo nulla da rimproverarsi nei riguardi di Fabrizia non la cercò più, pur trovando assurdo che facesse finire un'amicizia durata sessanta anni.
Sapeva che i motivi erano necessariamente tutti dentro di lei e che non erano nobili. Qualcuno le diceva che un'amicizia che finisce così non è mai esistita, ma Giulia non si sentiva di dire questo, perché sapeva che, pur sopportando piccole cattiverie meschine con cui Fabrizia sfogava sue mancanze interiori, piccole invidie, aveva potuto ricorrere a lei per confidare dolori e momenti difficili e lei l'aveva sempre ascoltata. E questo era stato per lei di sostegno e conforto.
Come l'acqua scorre in rivoli sull'acciottolato, così lei lasciava che l'errore altrui si compisse fino in fondo e chi lo compiva ne prendesse coscienza o rimanesse nell'errore. Ma quello che sarebbe stato bello essere diverso nelle intenzioni di Giulia, in qualunque rapporto umano, scorrendo nell'errore diventava qualcosa che Giulia non voleva più e se ne allontanava senza ripensamento.
A persone appena conosciute, se inquinate da qualche pregiudizio o idea sbagliata su di lei, Giulia Anteri non cercava di far cambiare loro idea, ritenendolo inutile: se erano così stupide da avere idee preconcette nell'accostarsi per la prima volta ad una persona, agendo come se quella persona fosse quella che qualcuno aveva loro descritta, meritavano di rimanere nella loro idea errata. Ormai si divertiva a vedere come le parlavano, convinti di parlare alla persona che pregiudizialmente avevano in mente, senza rendersi conto della meschina figura che facevano.
Capitava poi che, di fronte a delle evidenze, si rendessero conto che ciò che era stato loro detto non doveva essere vero, e tentavano di rimediare cambiando il loro atteggiamento, correggendolo goffamente, ma a Giulia non interessava, non riusciva a rivalutare persone che non erano in grado di ponderare e valutare informazioni provenienti da altri, senza un dubbio che potessero essere inquinate da ragioni personali di chi gliele aveva date e, conseguentemente, rivolgersi a lei con la sicurezza che lei fosse come gli era stata descritta.
Queste persone finivano in un limbo di indifferenza e Giulia era infastidita da eventuali tentativi di costoro di porre rimedio all'errore, di cui ora erano consapevoli, diventando gentili, cercando di ingraziarsi la Giulia che ora intravedevano.
A lei non era mai capitato di rivolgersi a qualcuno avendo in mente l'idea che colui fosse come descrittole da altri. Il suo atteggiamento era civile, moderatamente gentile, non sapendo chi aveva davanti: l'idea che doveva farsene era sua, soltanto sua. Giulia pensava che solo persone dalla mente poco intelligente possono rivolgersi a qualcuno come se sapessero chi è senza conoscerlo affatto.
E' infatti solo una questione di intelligenza. Giulia conosceva persone poco acculturate, perché per ragioni economiche non avevano potuto compiere studi regolari, che sapevano valutare la realtà che gli si parava davanti perché intelligenti. Al contrario conosceva persone che avevano compiuto un minimo di studi e apparentemente normali, che credevano alle panzane di una persona visibilmente squilibrata, senza una minima capacità personale di analisi della realtà che avevano davanti, assumendo per buone le invenzioni di una personalità mitomane e comportandosi di conseguenza, come se tali invenzioni fossero vere.
Come cambiare queste persone? Come spiegare quello che avrebbero dovuto capire da soli tanto era visibile? Questa genìa di persone, prive degli strumenti fondamentali di valutazione della realtà oggettiva, non poteva che essere lasciata a sé stessa, nella propria stupidità.
Se in gioventù il travisamento della realtà, a volte voluto per ostilità o astio e a volte per stupida buonafede, le creava angoscia, essendo la sua mente fortemente pragmatica, con l'esperienza e la raggiunta consapevolezza che la mente altrui non si può cambiare, Giulia semplicemente evitava chiunque non fosse in grado di vedere la realtà.
La sua compagnia erano le belle menti che avevano scritto libri pregevoli, menti dalle quali poteva trarre illuminazioni ulteriori oltre ciò che era il suo patrimonio personale di esperienza, e trovare in essi anche conferme alle sue conclusioni.
Questo fenomeno del costruire una realtà inesistente appiccicandola alla sua persona era stato nel tempo di diverse persone per motivazioni diverse. Ma sempre il denominatore comune era assenza di bella intelligenza.
Solo nella maturità questa volontà altrui l'avrebbe lasciata indifferente. Dandole, come detto, in gioventù angoscia.
Era questa una caratteristica di Giulia Anteri, dato che il fenomeno è diffuso e non soltanto lei ne è oggetto o vittima.
La persona che aveva scelto per vivere insieme era stata oggetto del fenomeno di travisamento della realtà più di lei, e in modo forse più nocivo e pesante... Ma la reazione di quest'uomo, che era diventato suo marito, era del tutto differente: egli ignorava totalmente gli stupidi che si rivlgevano a lui come se egli non fosse ciò che era, non era toccato affatto dal tentativo più o meno cosciente di travisamento della realtà, continuando tranquillamente a rivolgersi a coloro come se non notasse il travisamento, ma ignorandolo e continuando nella propria realtà, indifferente alla costruzione fasulla che abitava nella mente dell'interlocutore.
Giulia trovava che quello era l'atteggiamento giusto: chi è nella realtà non può che agire così, e peggio per chi crede cose che non esistono, perché è lui nell'errore e dovrebbe sentirsi nell'imbarazzo qualora ne prendesse coscienza, ma se nemmeno è in grado di farlo rimarrebbe nel grottesco e nel ridicolo.
Un esempio di quest'ultima possibilità gliela raccontò quasi senza ironia, ma come un caso valutato da lui di umana idiozia, suo marito: voci malevole del suo ambiente di lavoro, volte nelle intenzioni degli autori a screditarlo, dicevano che aveva preso il Diploma di Perito Tecnico alle scuole serali, tipo due anni in uno, tre anni in uno. La fantasia, totalmente infondata dato che lui aveva studiato in uno dei Licei Scientifici più prestigiosi della sua città, era stata presa come buona dalla Segretaria dell'Istituto dove egli lavorava che, un giorno che egli era andato nel suo ufficio per una questione amministrativa, aveva inteso sfotterlo con una battuta allusiva su questi ipotetici studi, ebbene, egli non l'aveva corretta dicendole chi egli era veramente, ma le aveva risposto con un indifferente cenno di assenso tornando a parlare della pratica per cui era andato nell'ufficio dell'idiota, uscendone poi e lasciandola con il suo sorrisetto di scherno sulle labbra. Giulia ammirava suo marito, al quale veniva naturale non considerare affatto i poveretti come la segretaria dell'aneddoto e ciò che di errato avevano in testa, lasciandoli nel loro errore: per lei acquisire questa capacità era stato invece un lungo lavoro.
Questo soprattutto per la sua natura fortemente empatica che, percependo l'anomalia nelle persone affette da idee preconcette su di lei, voleva ristabilire il contatto con loro spiegando come invece stavano le cose. Giacché non può esserci contatto alcuno se non su basi di realtà e verità, rimanendo altrimenti i rapporti umani nella falsità e nell'ipocrisia, elementi alienanti per Giulia.
Ma l'indifferenza verso il prossimo dell'uomo che aveva amato e sposato era tale che egli non aveva in tal senso alcun problema: i rapporti a cui teneva erano ridotti ai suoi stretti familiari, per il resto peggio per loro se avevano in testa idee sbagliate.
Ma alla fine del suo cammino anche Giulia era giunta alla stessa conclusione.
Quante inutili energie mentali aveva sprecato nel tentativo di avere rapporti chiari con chiunque! Chi vuole vedere la realtà la vede. Non aveva fatto così suo marito senza che lei dovesse spiegargli nulla quando gli era stata presentata in quel modo fuorviante dal ganzo di Fabrizia?